Premio Racconti nella Rete 2018 “La prova dell’onestà” di Giada Guassardo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Roberto provava una sazietà fastidiosa, ai limiti dei conati di vomito. Reclinò la testa sull’alto schienale della sedia di antiquariato; gli occhi gli si chiusero in fessure sulla suocera, la vide che trafficava, riordinava, si puliva le mani nel grembiule. La pendola suonò le dieci. Roberto volle alzarsi per farsi uno spinello in giardino, ma si sentiva troppo pesante.
– E tutti questi avanzi, dove li mettiamo? – gridò tutt’a un tratto la suocera, voltandosi di scatto verso il resto della famiglia, in mano un cucchiaio ancora gocciolante. – Pietro, vai a prendere delle vaschette! –. In pochi secondi il marito era già sparito dietro la tenda che separava la cucina dal ripostiglio.
In effetti, a guardare la tavola si sarebbe detto che la cena dovesse ancora cominciare: molti vassoi da portata non erano stati toccati. La signora Giovanna iniziò a radunare su un piatto le polpette che avanzavano. Clara, mentre sparecchiava, accennava intanto una protesta: – Ma no, mamma, per noi è troppa roba… –, dando così la stura all’ennesimo di quei finti battibecchi a cui Roberto si era ormai rassegnato ad assistere, ogni volta che cenava dai suoceri.
Finti, perché a spuntarla era immancabilmente la signora Giovanna, e con argomenti di ferro: “Il bambino deve crescere. È troppo piccino per avere cinque anni. E tu, figlia mia, lo vedo che non ti nutri a sufficienza; dì, ti privi del cibo, è vero? Sei sempre più magra!”. Per lui, Roberto, mai una parola – salvo, è chiaro, le frecciatine che la signora Giovanna non mancava di far discretamente scivolare in qualsiasi conversazione, per imputargli tutti disagi della famigliola. Anche in quel momento la sua occhiataccia incombeva, pronta ad aggredirlo non appena lui avesse disserrato le palpebre. Roberto ci avrebbe scommesso qualunque cosa.
– Roberto, svegliati, è ora di andare – il sussurro di Clara gli si insinuò nell’orecchio, come una mosca molesta.
– Mmh?
– Su, sono già le undici. Porta qui Tommaso; io sistemo in macchina le cose da mangiare.
Roberto si sollevò dalla poltrona e sentì un tumulto nello stomaco. Si trascinò in salotto. Vide che la televisione era ancora accesa, e il bambino dormiva con il capo poggiato sulla credenza in radica – mobile che, con quel finissimo intarsio floreale e racemato che correva lungo i bordi, costituiva l’orgoglio dei suoceri, e che Roberto invece odiava.
Con qualche fatica, si caricò il figlio in braccio e tornò in cucina, dove Clara e la signora Giovanna parlottavano. Mentre entrava, si sentì toccare con dolcezza il gomito. Si voltò e vide il signor Pietro, che gli porgeva un grosso barattolo: – Prendi queste ciliegie sotto spirito – disse. – Le abbiamo fatte domenica scorsa.
– Ma Pietro – rispose Roberto, gettando solo un breve sguardo ai frutti, che rosseggiavano come gemme, – dovresti sapere che le detesto –.
Il suocero rimase col braccio a mezz’aria; le donne ammutolirono. Si udì lo scocco delle undici e mezza. Clara iniziò ad accomiatarsi e fece strada al marito verso la porta, mentre il signor Pietro li seguiva borbottando: – Già, già, me lo dimentico sempre.
– Roberto, te la senti di guidare a quest’ora? – fece la signora Giovanna sulla soglia, con una punta di apprensione. – Perché non aspettate un po’? Potreste anche dormire qui. C’è spazio, tante stanze che non usiamo mai…
– Sono lucidissimo. Grazie lo stesso – rispose Roberto seccamente, e si chiuse il portone alle spalle.
***
– Ci risiamo – mormorò Clara a denti strettissimi, guardando davanti a sé paonazza, mentre Roberto avviava l’auto. Tommaso era sul sedile dietro, e già aveva ripreso sonno.
– Ma smettila.
– Tu devi smetterla – rispose Clara – di trattare così i miei. Papà stava piangendo, quando siamo andati via. Si può sapere che ti salta in mente?…
– E che dovrei dire io, allora?…Ma l’hai sentita, tua madre? Avrei giurato che volesse dare la colpa a me… che non vi do abbastanza per campare.
L’automobile scivolava tranquilla lungo il viale alberato, costeggiando la schiera di palazzine. La sera era limpida, di luna piena. A quell’ora, la zona era deserta.
– Ovvio che alludeva a te – replicò lentamente Clara. – Fino a prova contraria, sei tu quello che ti abbrutisci a poker, e non sai tenerti un lavoro due mesi di fila perché ti presenti fradicio già al mattino.
Iniziò a singhiozzare. Roberto approfittò di un semaforo per guardarla: nascondeva il volto nelle sue mani magre e morbide, ancora infantili, evitando il contatto visivo. “Nemmeno trent’anni e siamo già a questo punto”, pensò lui.
– E però – soggiunse ad alta voce – sei tu, invece, quella che il lavoro non lo cerca proprio, e i pochi soldi che abbiamo li scialacqua dall’estetista. O sbaglio?
Clara lo guardò con ferocia e tentò di elaborare una frase dirompente, del tipo: “Se non torno a fare l’assistente sociale è solo perché non voglio vedere altra gente come te!”. Ma le si inceppò la lingua e le scappavano i collegamenti logici, per cui si adagiò sul sedile e tacque, col petto che sussultava a intervalli.
L’auto stava ora inabissandosi giù dalla sopraelevata, lungo spirali di rampe, che conducevano dritte al sovraffollato quartiere in cui loro abitavano. Clara notò in lontananza il centro sociale degli anarchici. Nato come luogo di ritrovo e discussione, si era degradato da tempo: tanto che molti suoi frequentatori finivano in assistenza (alcool, droga, molto altro) nel centro di recupero dove lei aveva lavorato anni prima.
Ebbe un tuffo al cuore, ricordando che proprio in quel centro lei aveva conosciuto anche Roberto. Nell’incosciente generosità di chi lavora nel sociale, aveva visto in lui un’innocenza perduta da riscattare, e si era attribuita la capacità di farlo.
…E invece, che vitaccia! Il marito usciva una sera sì e l’altra anche, e rientrava Dio sa quando. Entro un anno Tommaso avrebbe cominciato la scuola, e loro non potevano permettersi altro che quella pubblica. In periferia, per giunta. Ma come si poteva campare così?…
Fu riscossa dalla vista improvvisa di una pattuglia. Uno dei due carabinieri sventolò la paletta. “Ci mancava questo”, pensò Clara, mentre Roberto accostava la macchina, deglutendo un’imprecazione.
– Documenti, libretto – intimò il giovane carabiniere. Ricevuta la patente, fece viaggiare lo sguardo più volte fra la foto e l’originale. Sebbene provasse a trattenere una fredda maschera di sospetto, il suo rossore da giovanotto alle prime armi non sfuggì a Roberto.
– Assicurazione.
Anche l’assicurazione era in regola. Roberto avvertiva una leggera vertigine mentre il carabiniere predisponeva l’occorrente per l’alcool test. Nel farlo cercava continuamente lo sguardo del suo superiore, un maresciallo, che lo teneva d’occhio a poca distanza.
– Soffi qui, per favore.
Roberto avvicinò le labbra al sensore e soffiò piano.
Dopo pochi millesimi di secondo, il display si illuminò: 1,8 g/l. Il carabiniere guardò smarrito il maresciallo, che subito intervenne, parandosi davanti all’auto:
– Sono costretto a condurvi in caserma. La prego di consegnarmi la patente e le chiavi – intimò a Roberto; subito dopo, rivolto al giovane: – Paolo, che fai fermo lì? Chiama un carro attrezzi! –.
– …Un momento, c’è un errore. – fece Roberto con voce strozzata. – C’è sicuramente un errore. Io l’alcool non l’ho toccato.
Il maresciallo, senza ascoltarlo, aprì minaccioso la portiera. Sulla cintura baluginavano le manette, con uno sfavillio tagliente. Roberto puntò i piedi e fece resistenza, mentre il gendarme lo attirava fuori dal veicolo tenendolo per i polsi.
– Ma mi ha sentito? Io non ho bevuto!
– Non le conviene opporsi. Esca.
Roberto fece capolino dall’auto e si guardò intorno, sudando forte e col cuore in gola. A portata di sguardo c’erano solo alcuni bighelloni del centro anarchico, usciti per fumare. Nessuno sembrava accorgersi di quanto accadeva.
– …Aspettate.
La vocina era di Clara. Era in piedi accanto al carabiniere giovane, con Tommaso in braccio, e piagnucolava flebilmente. – Mio marito non ha bevuto…Ve lo giuro.
I suoi occhi chiari, che irroravano generosamente il suo collo come fontanelle di acqua tersa, ottennero l’auspicato effetto calamita.
– Fategli rifare il test, vi prego. – implorò. – Perché, vedete…se fosse guasto l’etilometro?
Il giovane guardò interrogativamente il maresciallo, che dopo qualche secondo diede un crollo di testa con fare rassegnato.
– Impossibile che sia guasto, signora. Ma se proprio vuole …
Clara rivolse al marito un lembo di sorriso, che durò un istante, per lui infinito.
“Etilometro guasto? Ma che diavolo va a pensare!…” si diceva Roberto, gocciando sudore, mentre gli agenti preparavano nuovamente il test. Non capiva se sua moglie avesse agito per un’ottusa fiducia del momento, o al contrario per umiliarlo, mandandogli per una seconda volta al macero i nervi.
“Che poi, effetti” pensò “1,8 è tantissimo, considerato che non ero certo a stomaco vuoto. Diamine, non credevo di aver bevuto così tanto! Se il test ha ragione, allora forse sono davvero alla frutta”.
Soffiò. Lo schermo tornò a vaticinare. Dalla sua posizione Roberto non distingueva il valore, ma solo tante sbarrette orizzontali e verticali in semitrasparenza.
Ma vide anche, riflesso, il volto attonito di Clara.
– Cosa…Non è possibile! – sbottò quando, torcendo il capo, poté infine decifrare il sibillino verdetto, che era di nuovo 1,8.
Il maresciallo fece spallucce, come a dire: “Che vi aspettavate?”
– Non può essere…non può essere –. Roberto crollò sul sedile anteriore. Levò gli occhi ai gendarmi, che lo fissavano impassibili; allora si accartocciò sul volante, gemendo confusamente fra sé e sé.
Nel frattempo, Clara si era ricomposta. Aveva asciugato il viso con un fazzoletto, sbattuto via le lacrime con mille colpetti di palpebre, tratto un paio di ampi respiri. Quindi, schiaritasi un poco la voce:
– Signori – iniziò – so che parlo contro l’evidenza, ma vi assicuro che mio marito è sobrio. Guardatelo in faccia. Non ha certo l’aspetto di uno che ha bevuto.
Il giovane, un po’ commosso, le ripeteva: “Ci dispiace, non possiamo farci nulla”. Il maresciallo invece osservava Roberto. Senza farsi notare, gli scrutò le pupille e le sclere, e dovette infine dar ragione alla donna.
– Ascoltatemi, ho un’idea – insisteva Clara, amabile – perché non provate l’etilometro anche sul bambino? Così ci togliamo il dubbio.
– E va bene! – ruggì il maresciallo. – Ma dopo, per favore, basta. Non possiamo star qui tutta la notte.
Clara gli sorrise con timida gratitudine. Dopodiché prese l’etilometro dalle sue mani e sussurrò al figlio, che le dormiva placido fra le braccia: – Tommy…sveglia.
Il bambino si stropicciò gli occhi.
– Guarda qui. Sai cos’è questo, piccolo mio?
– Un videogioco! – esultò lui.
– Un videogioco speciale. Se ci soffi sopra, su quello schermo compaiono dei numeri! Vuoi provare?
Tommaso esitò, gli occhi dilatati per l’incredulità. Poi si accostò al dispositivo che la madre le porgeva, soffiò, e scoppiò subito in una risata.
Clara trattenne il fiato e le sue narici tremarono un poco. Roberto, che da cinque minuti non si era mosso dalla posizione fetale, strizzò gli occhi per non guardare.
Per alcuni millesimi di secondo, lo schermo almanaccò nella sua lingua esoterica; lampeggiamenti orizzontali e verticali vorticarono in una sfrenata danza bacchica. Poi la quiete. Fu Tommaso a salutare il responso, puntando il dito: – È vero, mamma! –.
Il rosso geometrico dei numeri si stagliava su fondo nero, simile al fregio di un’anfora greca.
1,8.
Roberto rialzò la testa e lottò per trattenere la risata che gli scoppiava in gola, mentre sentiva diffondersi in tutto il corpo il baldanzoso conforto dell’onestà.
– Ma figuratevi, nessun problema, può capitare… – diceva intanto Clara, sorridendo, ai carabinieri bianchi come strofinacci. – Si sa: la tecnologia gioca brutti scherzi!
Roberto sporse il capo dal finestrino, smanioso di partecipare a quell’indulgente perdono. Ma ciò che attirò la sua attenzione fu, invece, il gruppetto degli anarchici. Negli ultimi minuti si erano accostati, e ora osservavano inferociti lo spettacolo.
– Ehi, sbirri! Avete truccato l’alcool test, eh? – gridò uno di loro, mentre il gruppo si stringeva intorno all’auto.
– Che…Per favore, arretrate!
– Ma sentili! Arretrare, eh?!…Carogne!
– Clara, sali in macchina, presto!
Fra anarchici e gendarmi fu subito polverone. Roberto mise in moto l’auto, che si dileguò come una scheggia nella notte.
***
La signora Giovanna affettò sedano e cipolla nella pentola, versò abbondante olio, accese il fornello a fuoco basso. Il signor Pietro guardava il telegiornale in salotto.
– Giovanna, vieni a vedere…
– Che succede?
– Gli anarchici del Bakunin hanno aggredito due carabinieri. Proprio stanotte.
La donna corrugò la fronte, pensierosa.
– Il Bakunin – mormorò gravemente – è quello che frequentava nostro genero. Povera Clara!…Quando ci penso…
– Dai, sta’ calma – disse il signor Pietro – ne abbiamo già parlato. Roberto fa un po’ il gradasso, ma ormai abbiamo tante prove della sua onestà.
La signora Giovanna sedette sul divano, malinconica, e abbandonò la testa sul petto del marito. Nel frattempo, si domandava dove potessero essere i nuovi barattoli di ciliegie sotto spirito. Li aveva cercati, quel mattino, nella preziosa credenza intarsiata; ma lì c’erano soltanto barattoli vuoti.
Veramente bello. Complimenti
Bentornata Giada e grazie per questo gioiellino in agrodolce che non evita di guardare alle difficoltà della vita ma le supera con un sorriso. Belli tutti i personaggi. In Giovanna hai estratto e concentrato l’essenza minacciosa e orrorifica di ogni suocera, e in Clara hai dipinto (PS grazie grazie per Vincent!) un’altra donna che con semplicità ed esperienza viene a salvare un uomo messo in difficoltà dall’alcol, come il “vecchio” Re Giorgio! In effetti sono poche le figure maschili in questa arena di racconti che ne escono dignitosamente. Dovremmo rifletterci… 🙂
Ciao Giada, ti faccio i miei complimenti anche pubblicamente. Il tuo racconto, oltre ad essere molto divertente, rivela la tua bravura. Il sapiente alternarsi di dialoghi e azioni, i personaggi definiti perfettamente senza bisogno di molte parole, la giusta dose di ironia, concorrono a definire una situazione originale ma verosimile.In bocca al lupo!
Cara Giada, uno spaccato per nulla lontano da molte realtà. Abile il tuo raccontarlo con amarezza e tratti di ironia… il finale è fantastico! Permettimi di omaggiare Clara (nomen omen!) che, pur critica, disperata e ormai quasi rassegnata al fallimento personale e familiare, è capace di difendere il suo uomo, riuscendo incredibilmente anche a spuntarla. I miracoli a volte accadono, ma in questo caso mi sentirei più di affidarmi a “non tutto il male viene per nuocere”! Brava, brava davvero!
Ben arrivata Giada! Bello questo tuo racconto che fa filar via veloce la lettura, intessuto con i fili dell’ironia e dal finale a sorpresa. Ah! Le ciliegie sotto spirito… ;-))
Cara Giada, non mi aspettavo il finale a sorpresa, mi hai davvero spiazzata. E divertita assai. Mi chiedo: Clara aveva intuito tutto? Sicuramente sì, non è stato solo un caso 😉
Formidabile, la figura di Clara!
Davvero complimenti!
Complimenti Giada per il tuo racconto. Seppur breve, è uno spaccato completo di vita familiare, con i dissapori e i compromessi ma anche l’affetto che porta a perdonare tutto.
Cari, vi ringrazio molto per i commenti. Mi fa piacere che il racconto sia stato apprezzato e che abbia dato adito a diverse sfumature interpretative, tutte comunque corrette.
Magari aspetto ancora un po’ (nel caso ci siano altri commenti) prima di dire qualche parola in più sulle intenzioni di partenza!
Ad ogni modo, grazie sinceramente per l’attenta lettura 🙂
Brava Giada ! Anzi bravissima! Scrivi con una scioltezza e una misura straordinaria. Descrizioni e dialoghi sapientemente intrecciati definiscono una prosa unica che, una volta cominciata la lettura, non ti lascia scampo, devi arrivare alla fine e ci arrivi con grande piacere.
Complimenti per essere riuscita in così poche righe ad aver delineato i profili chiari e scuri di tutti i personaggi .
Ottima la struttura e la storia che come tua abitudine spiazza il lettore con un finale imprevedibile.
Vi è nei tuoi racconti questa vena e questo sapore di thriller psicologico, costruito sulle piccole cose che sapientemente riesci a tessere generando un attenzione unica nei tuoi lettori.
Tanti complimenti.
Una storia semplice e al contempo originale. Una godibile alternanza di dialoghi nitidi come fotogrammi. Un finale carico di poesia, ho davvero apprezzato questo tuo racconto scritto divinamente. Complimenti
Sono rimasta, a lettura ultimata,col desiderio conoscere altro ancora della vita dei tuoi personaggi…Credo ci siano tutte le basi per un narrazione lunga: a quando il romanzo?
Giada, sei bravissima.
Ti faccio un grosso in bocca al lupo per il concorso!
Carissima Giada, che gioia ritrovarti!
Un racconto che conferma la tua genialità, bravura, sensibilità.
Una trama fresca e spiritosa – non solo per le ciliegie – che fa girare la testa, ma al punto giusto, sempre con equilibrio, in modo da rimanere sobri per ammirare la perfezione della scrittura, la forza dei dialoghi, e percepire il dolore, i pianti, le contraddizioni di queste storie. Ma, per fortuna, a volte, nasce il desiderio di allontanarsi dal bordo del precipizio e mettersi in salvo, provare a tornare a casa e vedere che accade. Speriamo bene, per loro e per tutto, piccola e grandiosa Giada!
Il tuo racconto, Giada, è bellissimo. La prosa, i dialoghi e i personaggi catturano l’attenzione dall’inizio alla fine. le tematiche che affronti sono rese piacevoli dalla dose di ironia che le avvolge. L’intreccio della trama è interessante. Certo le ciliegie sotto spirito…ma chi sarà il responsabile? Boh! A me personalmente hai lasciato di che riflettere. Bravissima.
Complimenti, Giada, la lettura del tuo racconto è filata via liscia: è scritto bene, i dialoghi funzionano. La suocera poi è odiosa e l’etilometro sballato ha fregato anche me.
Ciao Giada, bentornata! Mi unisco al coro di complimenti: bei personaggi, ben descritti! Un finale che fa empatizzare con Clara e Roberto, simpatico e che fa sperare in una svolta per tutti. Quindi… Perché no un romanzo che ci racconta di più?
Complimenti per il tuo racconto che cattura l’attenzione dall’inizio alla fine e così ben descritto che sembra di esserci dentro. Mi è piaciuta molto la trovata finale. Brava davvero!
Agrodolce davvero, tra il pianto e il riso…miserie e astuzie umane. Brava
Racconto davvero ben scritto.
Hai dato a ciascun personaggio, da quelli principali al giovane carabiniere, lo spazio giusto per esprimere le proprie virtù e i propri umanissimi vizi.
Complimenti!