Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Damla” di Marco Gallo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Ci misi un po’ di tempo a trovare l’album di foto che stavo cercando, lo aprii e subito fui inondato da ricordi che mi tolsero il respiro, facendo riemergere il dolore.

Avevo fermato il suo volto in decine di foto, forse perché avevo la premonizione che tutto sarebbe finito ma non avrei mai immaginato che l’avrei rivista in televisione in quel modo, mai.

Quella sera, quella maledetta sera, andai a cercare l’album dopo che la vidi in un reportage sulle donne curde combattenti durante il telegiornale. La vidi lì, insieme ad altre giovani donne, erano sorridenti davanti la telecamera ma avevano dichiarato all’intervistatore che la guerra è la peggior cosa che possa capitare ad un essere umano, la odiavano ma il dolore di vedere i bambini e gli anziani sottoposti a tremende sofferenze era per loro insopportabile, le faceva impazzire. Il suo viso mi apparve affaticato, provato, poi, in un allargamento d’immagine, la vidi con un Kalashnikov in spalla. In un attimo compresi quello che non avevo capito in tutto quel tempo, da quando se ne era andata. Sentii la sua voce, la riconobbi ma feci fatica a mettere a fuoco la scena. Ascoltarla parlare mi aveva riportato lì, a casa e per un momento mi aveva dato l’impressione che stesse vicino a me, come se nulla fosse cambiato. Ritornare al presente mi dette un senso di angoscia latente. Vidi nel fondo dei suoi occhi un’ombra scura che non poteva nascondere e non avevo mai visto prima. Era lei ma sembrava un’altra persona, mi resi conto che la guerra l’aveva cambiata. Trovai finalmente la foto che cercavo, socchiusi gli occhi cercando di ritornare in quel momento, quando la incontrai.

Tutto iniziò quando mi proposero di andare a lavorare a Istanbul per un anno, non era molto e io avevo un tremendo bisogno di cambiare aria, forse vita. Avevo iniziato ad andare di lunedì e tornare nei fine settimana, mentre organizzavo il trasloco e cercavo un’abitazione. Fu una mattina che la incontrai, aveva uno stand dentro l’hotel dove alloggiavo e io stavo tornando nella mia camera dopo aver fatto colazione. La notai, la sua bellezza mi lasciò senza respiro, mi fermai al suo stand e iniziammo a parlare. Fu solo dopo un po’ che mi accorsi che la nostra conversazione aveva preso altri percorsi, era come se le nostre parole facessero da cornice all’incontro delle nostre anime. Solo dopo un po’ ci presentammo, mi disse di chiamarsi Damla, Giorgio, le dissi.

Quando udì il mio nome mi raccontò una storia. Mi disse che all’Isola Grande, Büyükada, nel mar di Marmara c’era un santuario dedicato a San Giorgio e una leggenda narrava che se una ragazza avesse annodato un filo sui rami delle piante sul bordo della strada che portava al santuario avrebbe trovato marito. Mi fece notare che era buffo ma molte ragazze, anche se avevano un credo diverso, facevano questo strano rito.

Rimasi in silenzio per qualche secondo.

“Cosa significa Damla?“ Le chiesi improvvisamente.

“Damla significa goccia, goccia di pioggia e di rugiada, ma anche lacrima. Mi rispose.

Non ricordo per quanto tempo continuammo a parlare immersi in un mondo che stavamo creandoci intorno, poi la invitai a cena. Anche la sera successiva ci vedemmo e mentre passeggiavamo a Ortaköy sulla riva del Bosforo in cerca di un taxi dopo cena le proposi di farci un selfie. Fu in quel momento che la baciai.

“In Italia andate sempre così veloci?” Mi chiese con un sorriso, senza ritrarsi.

Quella sera si fermò a dormire nella mia stanza.

 

Tenevo in mano quella foto del selfie e ritrovai anche il foglietto che mi scrisse quando sparì dalla mia vita che lessi più e più volte fin quasi a consumare la carta, incapace di trovare significati. Guardai il foglietto ripiegato, non lo aprii, lo guardai solamente, poi lo poggiai sul tavolo.

 

Durante i nostri discorsi spesso mi raccontava di quando era bambina, della sua vita nel sud est della Turchia, una zona abitata dai curdi, come lei. Mi disse che si era trasferita a Istanbul qualche anno prima a seguito di sua sorella che aveva trovato lavoro. Trovavo nelle sue storie qualcosa di familiare che mi riportava alle mie vacanze da bambino quando i miei genitori mi portavano al loro paese, al sud. Passavamo interi fine settimana a perderci nella città in zone che nemmeno lei conosceva e che facevo fatica a ricordarne i nomi. Ricordo che amavamo andare di sabato al Gran Bazar e all’uscita passare per i vicoli che si districavano verso Eminönü con le bancarelle, i loro prodotti, alcuni comuni, altri inusuali. Mi piaceva sentire il profumo delle spezie che avvolgeva i vicoli con i loro pergolati che ne incorniciavano la volta. I ricordi passarono tutti come un film davanti gli occhi della mia mente, potevo vederne i colori, sentire i profumi, i sapori, ascoltare i suoni, le voci, la vita. Rividi le nostre serate a parlare, guardarci e a fare l’amore; la vita era perfetta.

Ma la perfezione, lo sapevo, aveva una durata limitata e io avevo la percezione che quel momento stava per finire. Era come se sapessi che in fondo la strada, dietro l’angolo, mi aspettasse una folata di vento gelida e pur sapendolo non potevo cambiare direzione. Quella raffica di vento arrivò potente e improvvisa, mi scaraventò pesantemente e dolorosamente a terra, senza che io potessi far nulla.

Era un po’ di tempo che percepivo in lei una sorta di tristezza nel profondo del suo animo ma non riuscivo a comprenderne le cause. Provai a chiederle se c’erano cose che la turbavano ma trovava ogni volta il modo di eludere la domanda. Non riuscii a trovare una risposta ma coglievo il suo duro conflitto interiore, era come se avesse una stanza segreta nel proprio cuore alla quale non permetteva l’accesso, a nessuno. E nessuno ebbe il sentore di cosa sarebbe accaduto.

Quella sera quando rincasai trovai tutte le luci spente e un silenzio surreale, notai subito la busta sul tavolo della cucina e provai immediatamente un senso di mancamento, come se avessi già saputo tutto. La aprii, c’era un biglietto, come temevo, riconobbi la sua calligrafia.

La cercai per giorni, tempestai di telefonate sua sorella, le sue amiche, ma nessuno sapeva niente. Provai ad andare avanti, ma ormai nulla aveva più senso e la fine del mio mandato di lavoro e il rientro arrivò prima di quanto mi aspettassi ma fu quasi salvifico. Ogni angolo della città, ogni profumo mi riportava a lei e al momento che avevamo vissuto insieme e il dolore che provavo era insopportabile.

Quando la vidi nel reportage mi rasserenai un poco, la vedevo, un pensiero latente provava a rassicurarmi che in fondo la guerra era meglio del buco nero dove era finita, ma quando il giornalista, alla fine del servizio, disse di aver appreso che tutte le donne che aveva intervistato erano state uccise durante un’azione mi sentii vacillare, come se la raffica di vento mi avesse colpito nuovamente, gelandomi il cuore e gettandomi nuovamente a terra prostrato.

Guardavo il suo viso, i suoi occhi nelle fotografie e non riuscivo ad accettare che fosse morta. Improvvisamente sentii un refolo di vento tiepido colpirmi il viso, provai un brivido, il vento rinforzò leggermente e la lettera che avevo poggiato sul tavolo volò fino a posarsi sulle mie gambe con la scritta rivolta verso di me. La presi tra le mani e la lessi.

 

A?k?m, can?m, amore mio, anima mia,

perdonami, sono dovuta andare via, non posso spiegarti ma qualsiasi cosa accadrà sappi che io ti amerò sempre e sarò sempre vicino al tuo cuore.

 

Ti bacio,

Damla

 

Sentii una lacrima scendere sul viso e deviare sulle labbra e brividi di freddo pervadermi. Chiusi gli occhi ed ebbi la sensazione che Damla fosse lì, vicino a me, provai una sensazione di dolcezza avvolgermi. Fu come se la mia anima si fosse ricongiunta alla sua.

“Sei tu, sei qui?” dissi a bassa voce.

Un altro refolo d’aria tiepida arrivò e come una carezza mi sfiorò il viso, portandomi una sensazione di benessere, di pace. Assaporai la lacrima, fu come baciarla. Damla, la lacrima, il suo nome, rimasi ad occhi chiusi a trattenere quel momento.

 

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3 commenti »

  1. Che dire ricordi e ancora ricordi legati ad un posto che ha cambiato per sempre la nostra vita….in bene secondo me….e poi la guerra e il terribile periodo che sta attraversando il nostro mondo….quanto dolore….bravissimo l’autore…in poche righe a saputo descrivere il nostro tempo….

  2. Malinconico,ma sobrio. Privo di eccessi nei toni e nei contenuti nonostante la drammaticità degli eventi narrati. Ottimo equilibrio: il lettore è coinvolto ma non sopraffatto. Complimenti!

  3. Nonostante la tristezza della vicenda narrata, la bellezza del sentimento raccontato rimane intatta e commuove il lettore. Molto bello!

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