Premio Racconti nella Rete 2018 “E se lo dice Branko…” di Anna Gogosi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018E se lo dice Branko…
“Che volesse abortirmi, mia madre, l’ho sempre saputo.
Prima di morire me lo ha anche detto. Avrebbe potuto lasciarmi il dubbio, la speranza che fosse una mia paturnia. Ma lei no, lei voleva andar via con la coscienza a posto… Certo… poi mi voleva…forse solo per senso di colpa ma mi voleva….quando mi teneva tra le sue braccia no…non ce la faceva…Da piccola me la sono passata tra rigurgiti e vomiti, succhiavo il latte con voracità e vomitavo tutto, così dicono, febbre a quaranta da acetone, caduta dal tavolo dove la mamma mi aveva posizionato e poi s’era voltata, senza tenermi manco con una mano, e io giù…nel vuoto…e poi il tonfo sul pavimento. Dice che sembravo morta. Certo si sarà spaventata la poveretta… è una fortuna non ricordare nulla di tanto disastro…
Lo so, ho avuto un sacco di angeli a protezione…se no da un pezzo sarei volata via…
Che noia…mettersi in questi ricordi prima di addormentarsi…sarà il caldo… quest’afa mi toglie il respiro…”
Stefania non riusciva a prender sonno, teneva gli occhi sbarrati nel buio della stanza, come stesse guardando un film: le immagini arrivavano, da quel vuoto fissato, in automatico.
L’apparecchio di silicone che aveva in bocca le strinse forte la mandibola, Stefania sentì il bisogno di aprire la bocca e toglierlo, fece un paio di respiri prima di riposizionarlo.
“Mamma era un’anima giovane, tutto quello che aveva era scontato per lei… l’importante era quello che non c’era, era lamentarsi… mamma era tutto un lamento. Si preoccupava però… per mio fratello per mia sorella… per me no… io ero la forte …io ce la facevo… da sola…e che potevo fare…dovevo farcela…
‘Ma cosa tocchi…non la vedi? È una bambola! Vergognati! Sei grande tu!’ L’ultima volta che ho desiderato una bambola, era su una bancarella al mare, mi ero avvicinata, la stavo prendendo in mano… a otto anni le manine sono svelte a poggiarsi su quello che ti attrae…
Che infanzia sprecata la mia… negata si dice ‘infanzia negata’ … Però… Che fortuna!… Non essere vista da mia madre… vuoi mettere?… Mi sono risparmiata tutte quelle preoccupazioni gettate addosso con gli occhi della paura…Eh sì…la mamma ce n’aveva di paura…E poi mi puntava il dito ‘Devi mettere la gonna! Sempre con quei pantaloni addosso…e quando lo troverai un ragazzo tu!? Sei distratta sei distratta! Lasci tutto in giro…attenta a non perdere la testa!”
L’apparecchio di silicone era insopportabile. Stefania ebbe la sensazione di soffocare, infilò le dita in bocca, lo tirò via, si addormentò.
Il mattino seguente era alle prese col coperchio di un barattolo di vetro che non riusciva a trovare: era indispensabile a shekerare il suo caff?. Il caldo era insostenibile, un caffè freddo le avrebbe ridato tono.
Il coperchio del barattolo non si vedeva. Impossibile, che fine poteva aver fatto? Doveva essere sul ripiano dello scolapiatti, lo aveva messo lei lì, la sera prima. ‘Distratta…sei distratta…lasci tutto in giro tu!’
Eppure era sicura d’averlo messo lì. Stefania cominciò a cercare prima con gli occhi, poi ci infilò la mano, sino in fondo, dove non si vedeva nulla. Continuò a tastare e sentì qualcosa che, con un ultimo sforzo, riuscì ad afferrare. Si ritrovò in mano il bricco dell’Alessi, scomparso un paio d’anni prima e cercato in cucina per lungo tempo. Stefania lo aveva comprato a caro prezzo: non aveva saputo resistere alla bellezza di quell’oggetto e alla dignità quasi regale che avrebbe dato al suo caffè turco, non tanto per il caffè quanto piuttosto perché dopo si divertiva a leggerne le pose, un gioco per lei.
“Ma come posso essermi dimenticata di te… bricco dei miei sogni… e già…ne ho comprato un altro qualsiasi e tu sei finito nel dimenticatoio … Che storia la vita…uno rinuncia …si accontenta va avanti …Ti accontenti e vai avanti… Già…È successo così…anche con Domenico…proprio così…”
Sentì il respiro mozzato in gola. Nella sua mente si era aperto il file Domenico e il ricordo scorreva veloce con immagini e sensazioni.
L’aveva ospitato anni prima, nella sua casa in Toscana. Era Ferragosto, lei era già lì con un’amica. Domenico, da poco conosciuto tramite suo fratello, le aveva telefonato e avevano deciso di ritrovarsi lì. Sarebbe arrivato il giorno dopo con un amico.
Bella compagnia, stavano bene insieme. Sarebbero ripartiti il 17.
E il 16 lei s’era ritrovata davanti a lui con un abito di garza disegnato con simboli di vari colori e allacciato, dal décolletaé in giù, con una serie di bottoni ben grandi e distanziati che lasciavano intravedere il carnato sottostante, non molto ma quel tanto che aveva attratto l’attenzione di Domenico. Stefania in un primo tempo s’era detta che quello, amante dell’arte, aveva fissato lo sguardo su un qualche disegno. Poi aveva visto che Domenico ci aveva proprio messo gli occhi in quegli spazi, con un desiderio assopito e già risvegliato, che sembrava stesse riscoprendo se stesso, incredulo di esserci e di essersi posato proprio lì. Stefania vide chiaramente quello sguardo entrare dalla fessura all’altezza dell’ombelico e da lì scendere. Era rimasta col fiato sospeso, aveva bloccato il primo istinto a tirare in dentro la pancia, quello se ne sarebbe accorto…quello era già sul monte di Venere… ci stava proprio sopra e se lo stava percorrendo tutto, in salita e in discesa, con la rapidità di un abile scalatore e poi sciatore e sciamano…ma chi era questo che già era arrivato laggiù…Quegli occhi grandi azzurri da normanno calabrese erano ormai stampati sul suo vestito e Stefania li sentiva muoversi in lungo e in largo a loro piacimento. Quando era tornato a guardarla in viso, lei aveva incrociato il suo sguardo ma aveva dovuto distoglierlo, si sentiva spogliata, nuda. Aveva sentito un fuoco salirle su, stringerle la gola e divampare in viso senza possibilità di essere bloccato. Sentiva quel calore sulla faccia come una vergogna stampata lì a ricordarle che non poteva, non doveva desiderare ‘Vergognati…! Cosa fai…? Tu…proprio tu…!’
Uscì dalla stanza.
Passò gran parte della notte in un agitato dormiveglia, si sentiva stretta da una morsa di attrazione mista a paura, incredula che tanto desiderio fosse nato dal nulla e in così breve tempo.
Il mattino seguente erano partiti alla volta della comunità buddista, lei voleva fargli conoscere quell’ambiente prima che lui tornasse in città. Si erano fermati a metà percorso per fare colazione.
Seduti al bar col sole nascente che gli batteva sulla faccia, si ritrovarono con lo sguardo incollato nelle pupille dilatate…il timore ti dilata la pupilla e l’occhio diventa un lago disteso, e come la pancia del cane sdraiato supino ti chiede pietà, quello sguardo ti chiede di entrare, ti chiede spazio nel tuo silenzio più profondo, ti chiede di esserci, senza giudizio senza respiro senza attesa, perchè è lui attesa senza più confini. Se hai visto uno sguardo così, se ti ci sei specchiato dentro, non puoi dimenticarlo.
Si erano avvicinati coi volti, sfiorandosi appena le labbra, senza più il coraggio di andare avanti. In zona di frontiera, tra un confine e l’altro, la dogana, la fottuta dogana da pagare e da attraversare ti può fregare. Avrebbe dovuto chiuderli gli occhi, non guardare e lanciarsi nel vuoto.
Ora capiva che avrebbe dovuto lanciarsi. E invece era andata incontro al suo destino, proprio mentre la vita le stava offrendo un’opportunità di cambiarlo, il suo destino.
Avrebbe semplicemente potuto rischiare. E dire che Branko, in radio, lo aveva detto “Rischiate…voi potete farlo…anche se cadrete sarà nell’acqua… basta una pozza a salvare un Capricorno …”
Alla comunità buddista Stefania aveva rivisto il tipo con cui aveva litigato e da cui voleva staccarsi. In men che non si dica era ritornata nella rete del vecchio, del conosciuto, dell’inesorabile fatalità che l’aveva abbandonata, per poche ore, ma che lei era stata bravissima a ritrovare.
E di Domenico aveva perduto le tracce.
Dio mio…ma quanti anni erano passati…dieci!
Stefania non ne poteva più per il caldo nel suo appartamento. Si tirò dietro la porta di casa e uscì.
Si ritrovò in libreria ai Colli Portuensi, comprò un libro “Solo bagaglio a mano”. Sentiva il bisogno di alleggerire la propria casa, se stessa. Sgombrare, doveva sgombrare il campo, la casa la mente.
Sì ecco, doveva creare un nuovo campo…da gioco si disse…ma per farci che in definitiva?
-Stefania… Stefania…
Si voltò senza capire chi fosse
A soli due metri di distnza Domenico l’aveva chiamata e la stava guardando, abbronzato, nient’affatto invecchiato. Era davvero lui. Si avvicinò, si diedero la mano e un bacio sulla guancia. Stefania non credeva ai propri occhi. Lo sguardo di Domenico era intenso, carico di qualcosa che lei non riusciva a captare, si sentì avvolta e protetta da quello sguardo.
– Dobbiamo rivederci sai… venerdì organizzo un incontro a casa mia, ci saranno un po’ di amici, mangiamo qualcosa insieme e si parlerà di buddismo. Ti va di venire?
– Sì certo…un incontro…di buddismo hai detto?
Nel frattempo era uscita dal negozio retrostante una coppia, un uomo e una donna, si erano avvicinati a Domenico e lui si rivolgeva alla donna
– Ti presento Stefania…è la sorella di un caro amico
Poi rivolto a lei, mentre le due si stringevano la mano con un sorriso:
– Lei è Gisella, la mia compagna. Ci siamo conosciuti in un gruppo buddista e ora pratichiamo insieme e facciamo incontri di diffusione del buddismo
– Certo…interessante…
Un tonfo per Stefania, un tonfo al cuore. Trattenne il fiato, come fa uno lanciato nel vuoto ad alta quota, che non sa come aprire il paracadute e non può aprire la bocca per respirare perché l’attrito dell’aria lo soffocherebbe prima ancora di quello del suolo, dove piomberà miseramente in pochi attimi.
– Lui invece è Alfredo, mio compagno di scuola, ritrovato dopo mille peripezie… Anche lui come te ha viaggiato molto…credo avrete molti argomenti in comune…
Alfredo strinse la mano a Stefania, sorridente solare, una faccia davvero simpatica
– Cosicché hai viaggiato molto…ma non dirmi che sei stata anche in sud America?
– Scherzi? Certo che sì…in sud America ci ho vissuto per otto anni…
– Sette anni in Tibet…otto in sud America…il conto torna…
Il tipo era molto simpatico e poi con quegli occhi verdi scuri, profondi e intensi, le ricordava Omar Scharif in un film dove amava una lei di un amore…così amore…
– Verrai a casa di Domenico vero?
– Sì… ci sarò
– No…non mi fido…dammi il tuo indirizzo…ti passo a prendere e andiamo insieme
Alfredo le suscitava d’istinto qualcosa…qualcosa… Ma sì… Branko l’aveva detto…rischiate…voi del Capricorno… E se lo dice Branko…
E’ un racconto che fa pensare. Non foss’altro che per questo ha una grande qualità. Ma di qualità ne ha altre: la prima parte è un “memento” per tutte la donne che hanno e che avranno dei figli (anche solo uno) e che talvolta per un input inconscio- spesso innocente- assegnano a un figlio, o al figlio, il ruolo di principe o principessa azzurri che la dovrà ripagare dei torti subiti e supportare per sempre; attribuendo al malcapitato una forza che non hanno ma che dovranno mimare per tutta la vita nella speranza di procurarsi affetto e riconoscenza.
Di questa parte del racconto bisognerebbe farne dei volantini da consegnare alle future madri insieme alla prima “morfologica”.
La seconda parte è la conseguenza della prima: il rifiuto.
Ma infondo brilla la luce della speranza e del riscatto che nel racconto ha il nome di BRANKO ma potrebbe avere anche il nome di uno degli amici o delle amiche che la scrittrice sicuramente ha.
Anna cara, brava brava! Leggerti è ritrovarsi in alcuni tratti e situazioni, anche se non si è capricorno! Vivere a briglie tirate da mani, anche fantasma, che avrebbero dovuto insegnare a spiegare le ali e volare. Quanto spreco, hai ragione. Rischiare e buttarsi… decisamente meglio che annegare nel nulla!
Il racconto dell’ esperienza di vita della scrittrice è il racconto di chi ha vissuto – al maschile – la stessa cosa.
BRAVA !
Bellissimo incipit che vale il racconto, che comunque fila via veloce come la gioventù! Brava, veramente.
Quanto desiderio di amore, nella protagonista di questo racconto.
Stefania conserva dentro di sé la bambina non amata che è stata, con una madre che le negava anche una semplice bambola che preferiva vederla adulta non bisognosa di attenzioni ne di regali.
Stefania che con gli oggetti cerca di riempire un vuoto d’amore. Un vuoto difficile da riempire se non si è stati amati da piccoli perchè si pensa sempre di non meritarlo. Lasciando andar via anche la passione di un amore
Finchè il desiderio diventa più forte del rifiuto più forte del rischio.
E’ il volere delle stelle e poi se lo dice Branko…
Un racconto che corre veloce e colpisce al cuore