Premio Racconti nella Rete 2018 “John and Mary” di Marco Stanzani
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018“Perché la vita
è un brivido che vola via.
E’ tutto un equilibrio
Sopra la follia” (Vasco Rossi)
Fu il 13 dicembre che Mary mi portò a casa sua.
Ci eravamo incontrati lo stesso giorno al Bosco di Zan, la serra alla periferia della città gestita dal vecchio pazzo.
Non ho mai capito cosa facesse lì: forse cercava qualcosa da regalare a sua madre o forse solo un quarto d’ora di libertà dalla ruggine di un pomeriggio che scricchiolava come quando gli spiccioli ti cicalano nelle tasche quasi a ricordarti che il giorno ha già detto tutto quel che può dire.
E invece no.
Ora dovreste immaginarvi la neve. Dovreste immaginarvi il contrasto tra fuori e dentro, pieno e vuoto, rumore e silenzio. Non so se capite cosa intendo. La neve insomma. La macchina era parcheggiata fuori della casa di Mary da un pezzo ed io attendevo un cenno nel sedile del passeggero. Il riflesso rossastro di un’insegna si tuffava in una pozzanghera ghiacciata, forse stavamo cinque gradi sotto zero. E anche di più. Per questo quando arrivò il momento di uscire dall’auto, quasi mi intirizzii dal freddo.
Mary non mi nascose la sua relazione e mi disse che da tempo conviveva con John al secondo piano di un bilocale in via del Pratello. Erano due giovani studenti, lei in giurisprudenza mentre lui era ormai prossimo alla laurea al Dams. Mi spiegò che John voleva diventare regista e mentre lo diceva Mary mi parve convinta del suo talento, ma questo contribuì a crearmi ancora più confusione sul vero motivo per il quale mi avesse portato lì.
Voglio dire, sei carina si, non posso negarlo, ma hai un futuro delineato, dei sogni da coltivare e un uomo che ti piace col quale ora non importa ancora pensare se ci costruirai qualcosa insieme. Conta il momento.
O forse no.
Quando Mary passò nell’altra stanza per mettersi in libertà, io rimasi appoggiato al tavolo in soggiorno e cominciai a darmi occhiate in giro. Tutto intorno a me aveva un sapore di trasandato o forse semplicemente di soqquadro tardo-adolescenziale, con briciole sul pavimento e i piatti sporchi ancora da lavare dalla sera precedente.
Sentivo Mary parlottare di là tra la camera e il bagno, la voce mi arrivava incomprensibile fino a quando riapparve in soggiorno completamente a proprio agio nella sua tuta champions color rosso e blu, i capelli raccolti da un elastico di fortuna in una coda che le rendeva comunque giustizia. Del rossetto di quel pomeriggio non vi era più traccia e l’olio struccante aveva liberato il viso di Mary in un leggero pallore di stagione.
Mi disse che di lì a poco John sarebbe rientrato, mi confessò di essere eccitata al pensiero dell’espressione che avrebbe fatto nel vedermi e poi mi versò da bere.
Bah.
Pochi istanti dopo si udì una serie di trilli al telefono fisso, Mary non alzò il ricevitore e quindi scattò la segreteria: “Non siamo in casa lasciate un messaggio”…. “Mary sono il dottor Kant, ho in mano il suo tracciato. Non risultano anomalie e lei non pare avere alcun disturbo del sonno. Ci vediamo la prossima settimana …”. Mary nell’udire quel messaggio si voltò verso di me con un velo di imbarazzo. Mi disse: “Si, da circa due mesi non chiudo occhio e francamente non so spiegarmi perché… o forse si”.
Proprio in quel momento dopo una schiavellamento deciso alla porta fece il suo ingresso John. Il ragazzo indossava una giacca di velluto verde e la barba prominente, oltre ad un orecchino ad anello sul lobo sinistro, lo proiettava di diritto nel regno degli hipsters di nuova generazione. Fece il suo esordio salutando Mary con un semplice “ehi”, pur senza guardarla. Lei si fece avanti e gli mise le braccia al collo, lui accettò di buon grado l’iniziativa della ragazza, la strinse a sé, appoggiò la borsa adidas che aveva tenuto a tracolla fino a pochi istanti prima e solo allora si accorse di me.
Disse: “e lui?” …. “Lui”, rispose Mary … “ecco lui è il nostro nuovo amico. Rimarrà con noi per un po’ di tempo, se sei d’accordo…”. Io rimasi nella speranza che qualcuno mi togliesse da quello stato di imbarazzo totale, ma John si avvicinò e mi guardò dritto dritto … “sicuro, perché no? Sistemalo qui in soggiorno, questa casa sembrerà più viva in tre…” e si ritirò in camera. Io rimasi senza fiato, Mary mi fece l’occhietto e mi organizzò una sistemazione accanto alla finestra.
Ahimé
Non sapevo se piangere o disperarmi. Non riuscivo a capire come potesse essere successo che da un incontro casuale mi fossi potuto rendere protagonista di questo sequestro passivo senza poter reagire. E comunque John non mi era apparso così eccitato nel vedermi, per questo mi domandai cosa lo avesse spinto ad accettarmi.
Dubbi.
Nel buio della stanza Mary mi apparve alle 3 del mattino. Aveva una tazza di tisana calda in mano, una maglia da notte con minnie e topolino a farle da vestito e due ginocchia da piegare sul divano con le caviglie protette sotto i cuscini a cercar rifugio. Un invito ad ascoltare, lei esistenzialista perplessa, io cintura nera di teoria sul nulla. Mi disse che Natale era quasi alle porte e che non si spiegava come l’amministratore del condominio ancora non avesse provveduto a sistemare quegli agghiaccianti addobbi nell’androne del palazzo. Stava soltanto cercando di introdurre l’argomento.
Ovvio.
E alla fine ci arrivò. Ammise quanto fosse stravagante quel che stesse accadendo tra di noi, ma aggiunse che essere surreali non è affatto un dono, sia chiaro. Esser surreali, mi disse, è solo un modo per stare tra un quarto d’ora e un altro. E mi invitò a non meravigliarmi del nostro pomeriggio che lei chiamò “da squilibristi”, perché l’illusione di chi come molti non corre sul filo e si accontenta del quotidiano, è quella di avercelo l’equilibrio. Come se bastasse allargare le braccia. Et voilà !!! “Noi invece, mio caro, siamo squilibristi, ecco perché questa notte siamo qui. Insieme. Non è meraviglioso?” … ed iniziò a ridere, poi si accese una sigaretta ed improvvisamente le risa si trasformarono in un pianto sommesso fino a quando apparve John in mutande e canottiera con un laccio emostatico stretto tra i denti ed una siringa pronta a fare il suo dovere.
Occazzo!
A nulla valsero le preghiere di Mary che, così come probabilmente in altre notti, implorò John di non farlo, ma lui non si curò di lei e disse: “Io non mi buco per avere idee migliori come molti pensano, baby ! Io mi buco per morire… che a vivere perdendo ti viene uno strano gusto salmastro in bocca… e poi la vittoria passa, ma le sconfitte restano !!!”, si infilò la vena e cadde in terra.
Sembrava la fine
Ma Mary in uno scatto di lucidità compose il numero del dott. Kant grazie al quale in meno di 5 minuti arrivò un’ambulanza. John fu tenuto sveglio per scongiurare una overdose, sollevato e portato all’ospedale. Mary raccolse alcuni effetti al volo, mi lasciò un bicchiere d’acqua e scappò insieme all’uomo che amava.
Ed io.
Quante cose avrei voluto dirti Mary. Se solo avessi potuto ti avrei detto che eri stata brava a inseguire ciò che ami, che la vita, se noi manchiamo, lei se ne fotte e va avanti, per questo vale la pena di essere vissuta in ogni suo centimetro quadrato di esistenza.
John vivrà perché tu con la tua forza non gli permetterai di andarsene. E lo aiuterai a capire.
E poi temo ci sia un equivoco Mary, cosa pensi che ne sappia della vita uno come me.
In fondo io sono solo un geranio che oggi hai lasciato sul davanzale della tua finestra.
Mary.