Premio Racconti nella Rete 2018 “Nè gioia nè dolore, nè odio nè amore” di Marco Stanzani
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018“quando mi viene in mente
che non finisce niente”(Vasco Rossi)
D’accordo, ora vi racconterò chi sono stato.
Quando stavo in vita come voi mi chiamavo Giovanni, ma per tutti ero Joe.
Joe vieni qui! Joe datti una mossa ed esci da quel bagno! Joe possibile tu non abbia mai nessun interesse!
Fu all’età di 9 anni che mi diagnosticarono la sindrome di Asperger.
Io non mi ricordo bene come furono quegli anni, so solo che non mi fregava di niente e di nessuno. Qualsiasi cosa accadesse per me era tutto uguale. Si potrebbe dire che non avevo sentimenti, ma la verità è che così come un daltonico per i colori, io non riuscivo a distinguere la gioia dal dolore o l’odio dall’amore.
Vabbé.
A scuola ero lo zimbello di tutti per questo mia madre mi portò da uno specialista il quale avanzò un’ipotesi di autismo. Suo figlio potrebbe essere affetto da sindrome di Asperger.. E cosa sarebbe? Chiese mia madre mentre mio padre stava zitto. Ha mai letto il libro di Safran Foer “Molto forte, incredibilmente vicino”? .. Ecco no.. Il protagonista di quella storia si chiama Oskar, ha nove anni, non sopporta di essere abbracciato, ma è un ragazzo molto brillante e dinamico.. Ma Giovanni non è affatto dinamico.. L’autismo signora si manifesta sotto varie forme, ricorderà il film Rain Man e probabilmente lo stesso Mozart si dice…… ne seguì un silenzio di tomba fino al momento in cui mio padre, che aveva studiato solo fino alla II elementare, col massimo candore chiese: e secondo lei dottore, mio figlio che tipo di autista sarebbe?
Vabbé.
Dopo una settimana mia madre ebbe la brillante idea di informare tutti che aveva un figlio autistico. Ne derivò una transumanza di visite a casa nostra: tutte le zie, le amiche della nonna, persino i cugini fino al quarto grado non persero occasione per avvicinarmi e rivolgermi domande di vario tipo: riesci a vedermi? Quanti sono questi? Se ti pizzico senti male? Tutti volevano scoprire il talento nascosto dall’autismo del piccolo Joe. Mio fratello mi costrinse a leggere per ore le pagine gialle e provò a farmi ripetere a memoria i nomi delle ferramenta della città. Mia zia tentò senza successo di farmi spostare i vasi dei gerani con la sola imposizione del pensiero, ma il più insistente fu senz’altro mio nonno che un pomeriggio se ne tornò a casa col kit completo del perfetto croupier. Diceva.. Attento Giovanni, ora giro la ruota e lancio la pallina, tu guarda dove ruzzola e cerca di capire su che numero cadrà.. Io tentavo di concentrami, ma mi girava la testa e anche questa storia finì con un nulla di fatto oltre a forti sensi di nausea ed uno strabismo temporaneo che per alcuni giorni mi rese ancora più taciturno del solito.
Vabbé
Dopo circa due mesi tutti quanti si erano messi il cuore in pace ed io ero finalmente tornato alla mia vita normale, fatta del nulla assoluto. I miei compagni mi facevano scherzi e mi prendevano in giro, alle ragazze un po’ schifavo e un po’ facevo tenerezza, alle feste improvvisavano partite di basket ed io stavo in piedi per ore con le braccia aperte ad “o” davanti al petto ad aspettare il lancio di qualsiasi cosa servisse a fare canestro. Loro ridevano, ma io non provavo nulla. Non gioia ne’ dolore, non odio e neanche amore.
Eppure questa roba di non provare nulla mi pareva quasi un dono di Dio. Pensavo: se alla mia famiglia serviranno soldi potrò sempre provare a fare una rapina, che io mica so cosa sia la paura e non penso nemmeno che soffrirei se finissi in prigione. E così le mie giornate trascorrevano tranquille, con le sole parole necessarie per farmi capire. Nulla di più.
Vabbé
A scuola mi affiancarono un’insegnante di sostegno: Rossella. Doveva essere bella visto che tutti i miei compagni sbirciavano tra le sue tette. Io stavo bene quando c’era lei, o almeno mi pareva. In effetti, non potendo spiegare da cosa, giacché ero convinto di non temere nulla, Rossella era come se mi desse un senso di protezione totale. Mi dissero che non era solo un’insegnante ma anche una psicologa e mi sottoponeva a piccoli test. Provarono prima con lo sport: a calcio mi facevano fare il palo, a volley non vedevo manco partire la palla e a baseball una volta quasi uccisi l’allenatore con la mazza. Con la lettura non me la cavavo meglio. Ero dislessico all’ennesima potenza, non riuscivo a ripetere le cose che leggevo, eppure quando ascoltavo mi accorgevo di memorizzare.
Vabbé
Tutto successe quando io e Rossella facemmo uno giochetto-strizzacervelli. Lei diceva frasi famose di grandi film ed io dovevo ripeterle. “Io ne ho viste cose che vuoi umani non potreste immaginarvi”.. ripeti Joe su forza.. Ed io senza indugio: “Io ne ho viste cose che voi umani”.. che voi umani cosa Joe? ..“Io ne ho viste cose che voi umani”.. Nulla, non riuscivo a completare la frase .. Ok, disse Rossella col suo solito candore rassicurante e con la voce dolce come il miele provò con un’altra. Ripeti questa: “Non puo’ piovere per sempre”. E’ una frase famosissima de Il Corvo.. Ed io dopo un attimo di esitazione .. Non può piovere.. ee.. non può pioveree.. ecco dunque, non può piovere.. coraggio Joe, non avere paura. Non può piovere per?.. Nulla. Seguirono diversi tentativi dai quali emerse che bastava mi si leggesse un testo anche di più pagine perché mi entrasse all’istante nel cervello, ma la cosa sconvolgente era che non ero in grado di terminare mai nessuna frase che fosse riconducibile ad un testo. Per esempio se qualcuno mi diceva: Essere o non essere. Io riuscivo a ripetere solo Essere o non ……… e mi fermavo li.
Rossella spiegò la situazione a mia madre che provò per un’ora a farmi dire “Dopo tutto domani è un altro giorno”, ma io ripetevo “dopo tutto domani è un altro” e da lì in poi non andavo più avanti. Una sorta di blocco mi rendeva più cocciuto di un mulo.
Rossella invitò tutti quanti a vedere la cosa con positività. In fondo, disse, abbiamo scoperto qualcosa di straordinario: se leggiamo un testo, Joe saprà ripetercelo interamente.. o quasi. E che ne facciamo? Domandò mio fratello seduto vicino a me insieme a tutti gli altri, quasi fossi un reperto archeologico da ripulire dall’usura del tempo, restaurare e in qualche modo esporre. Potremmo partire da qui per risolvere il problema di Joe, disse. Se riusciremo a fare in modo che lui riesca a completare le frasi, forse Joe riuscirà a liberarsi dal suo autismo.
Vabbé
Mi iscrissero ad un corso di recitazione. L’insegnante, il sig. Vasari, un ex attore in pensione, mi accolse con interesse attratto dalle mie capacità di apprendimento istantanee. Un giorno si presentò a casa mia come avrebbe fatto uno spasimante per chiedere la mano di mia sorella. Vostro figlio, disse, è in grado di ascoltare, ricordare e ripetere con la stessa intonazione qualsiasi cosa io gli legga. Credo convenga provare a testarlo in una “pièce” che potremmo allestire ad hoc proprio nel mio teatrino.. E come la mettiamo con la chiusura dello spettacolo? Domandò giustamente mia madre .. Dunque, rispose il sig. Vasari, avrei studiato un monologo apposta per lui dall’Orlando Furioso che curiosamente potremmo anche definire come un poema che si rifiuta di cominciare, giacché pare essere la continuazione de L’Orlando Innamorato lasciato incompiuto dal Boiardo, ma si rifiuta anche di finire giacché lo stesso Ariosto ci lavorò per tutta la vita.
Vabbé
La sera della prima mi misero l’armatura addosso con la Durlindana fatta di carta pesta. Sentivo il vociare delle persone che affollavano il teatrino. Rossella, mia madre e mia sorella mi sistemavano il costume e si raccomandavano di stare calmo senza pensare che io l’emozione non sapevo cosa fosse. Alle 21,00 in punto si aprì il sipario dinanzi ad un battimani di tutti i presenti per lo più amici e conoscenti. Io rimasi fermo 5 secondi senza capire, poi il sig. Vasari suggerì sottovoce: “Le donne, i cavallier, l’arme….” .. cominciai.. “Le donne, i cavallier, l’arme gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto …” .. e partì un monologo appassionato in cui senza accorgermene divenni più carolingio di tutti i cavalieri della tavola rotonda, a giudicare dall’attenzione con la quale tutti seguirono la mia performance. Dopo mezzora di soliloquio mi ritrovai a dover rappresentare la pazzia del paladino di fronte alla scoperta dell’amore tra Angelica e Medoro, mi spogliai dell’armatura e mi lasciai cadere in terra, che così prevedeva il copione. Arrivò il fatidico momento della chiusura nella quale avrei dovuto dire: “…vi potria la mia istoria esser molesta; ed io vò più tosto diferire, che v’abbia per lunghezza a fastidire” .. ma io non ce la feci e così mi girai verso il pubblico e dissi: “credo di aver finito. Vi prego alzatevi e andate” …dopo 10 secondi di gelo scaturì spontaneo un fragoroso applauso, tutti salirono sul palco ad abbracciarmi, mia madre piangeva come ai tempi della prima comunione mentre Rossella si congratulava col sig. Vasari.
Vabbé
La cronaca locale diede seguito all’avvenimento e la notizia fu ripresa anche dal giornale regionale che diceva: “Straordinario successo dell’Orlando Furioso nell’interpretazione del giovane Giovanni P., l’attore che non sa concludere gli spettacoli”. Ovunque nel territorio si diffuse la notizia della mia incapacità a chiudere, fui invitato anche dalla tv nazionale a dare un saggio della mia bravura, l’Orlando Furioso divenne un tour teatrale nel quale, al termine di ogni serata, invitavo gentilmente il pubblico ad alzarsi e ad uscire mentre io rimanevo fermo in scena ad attendere fino a che l’ultimo spettatore non se ne fosse andato. Questa cosa per me necessaria, fece letteralmente impazzire la critica e le richieste per le repliche dello spettacolo si moltiplicarono. Il sig. Vasari mi seguiva in tournée ed ogni sera prima dello show mi rinfrescava la memoria ripetendomi la parte prima di andare in scena. Una sera gli dissi: “Prima o poi sento che ce la farò a chiudere lo spettacolo, così potrò fare l’inchino e ritirarmi in camerino senza dover attendere che se ne siano andati tutti” … Per l’amor d’Iddio no no no, disse il sig. Vasari, no no no !!! Non capisci che così è perfetto? Eppure scommetterei che ora potrei farcela. Questo dissi.
Vabbé
Quella sera di marzo il teatro era come al solito esaurito in ogni ordine di posti. Il successo dello spettacolo aveva portato a migliorie sull’allestimento della scenografia ed anche la mia armatura era stata arricchita di una spada in ferro e persino di un coltellaccio che tenevo appeso nel fodero. Fu a metà del primo atto che mi accorsi di Rossella seduta in terza fila. Mi guardava con trasporto, aveva capelli di sole e occhi di mare. La bocca di fragola era semi-aperta nel tentativo di accompagnarmi nella scansione di ogni parola. Ed io la guardavo e capivo che tutto l’amore che non avevo vissuto nella mia vita mi era imploso improvvisamente nel cuore. Di fianco a lei era seduto un uomo che le teneva la mano. Anche lui sembrava interessato ma a differenza di Rossella restava appoggiato allo schienale. E fu allora che tutto l’odio che non avevo provato in vita mia mi provocò una crisi di nervi che ai più sarà sembrata dettata dalla morsa del dolore iracondo del povero Orlando, ma in realtà era mossa dalla gelosia che provavo nei confronti di Rossella. In camerino durante l’intervallo gettai l’elmo in terra ed acqua fresca in faccia nel tentativo di riprendermi dallo shock. Al ritorno in scena la rividi e quel che temevo si fosse trattato solo di un brutto sogno intesi immediatamente quanto fosse realtà. Lei era lì per me, io avevo scoperto di amarla ora, in quell’istante, ma lei amava un altro ed io di fronte a tutto questo non seppi trovare nessun’altra soluzione. Proprio come Orlando in preda alla pazzia, mi strappai di dosso l’armatura, caddi in ginocchio e col viso bagnato dalle lacrime dissi “Amor che m’arde il cor, fa questo vento …”, poi presi il pugnale in mano e mi trafissi il petto.
Fu così che vinsi la mia scommessa…
E vabbé …
Originale!
Originale la storia e originale la scrittura.
Tocchi un tema ancora poco conosciuto e molto dibattuto ma tu lo affronti con ironia e lo rendi comprensibile pur nella sua complessità
Continua così!
Bravissimo per il modo con cui hai affrontato un tema tanto delicato. Rivedo in Giovanni un po’ di Forrest Gump anche se l’ambientazione, lo sviluppo e il sorprendente epilogo sono del tutto diversi. Divertentissima la parte in cui i parenti “testano” le capacità del piccolo Giovanni. Originalissimo l’uso dei “Vabbé” tra un paragrafo e l’altro.