Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Giacomo e l’ascensore” di Chiara Rocco (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

La puzza la senti anche da lì, vero? No? Ma come no? Avvicinati alla pagina, annusa l’aria intorno, poi fai tre passi indietro e riannusala di nuovo. Cosa hai sentito di diverso? Ma come non hai sentito nulla! Ripeti l’operazione allora. Annusa e poi riannusa, annusa e poi riannusa, fino quando non sentirai qualcosa o fino a quando le tue narici non incominceranno a pizzicare dalla stanchezza. Ma lo stavi facendo veramente?? Smetti subito di annusare altrimenti ti si staccherà il naso. Lo so benissimo anch’io che non c’è nessuna differenza. Speravo, mi illudevo insomma, che almeno tu , per simpatia nei miei confronti, avresti sentito il nauseabondo, terrificante, vomitevole odore di cavolo, quello che sento io in continuazione.

Ti potresti chiedere perché proprio questo disgustoso fetore, visto che il mondo è pieno di meravigliosi e succulenti profumi: zucchero filato, patatine fritte, pasta al sugo con una noce di burro e dieci cucchiai di parmigiano sopra, come la cucinava la mia bisnonna. Ecco il perché. Mia mamma, quando ancora mi vantavo di riuscire a toccare la punta del naso con la lingua,  mi raccontava sempre la storia di quando non volevo proprio nascere. In effetti ci ho messo quasi tre anni ad arrivare. E la mamma, alla quale piaceva molto la storia dei bambini che nascono sotto il cavolo, lo cucinava sempre pensando fosse di buono auspicio in attesa che io facessi la mia comparsa. Quando finalmente nacqui, la mamma smise di cucinarlo, col vicinato che stappò la bottiglia di vino più preziosa in casa per festeggiare l’evento. Ma non l’evento della nascita quanto invece la fine della cottura!

Però, bolle che ti ribolle tutto il giorno in pentola, la nostra casa sapeva di cavolo, e l’odore anche dopo tanti anni dall’avere smesso di cucinarlo rimase ancora.  E così i nostri vestiti puzzavano di cavolo, i nostri capelli puzzavano di cavolo e persino la cartella di scuola puzzava di cavolo. Quando andavo a giocare in cortile con gli altri bambini, non mi mettevano mai a contare, ma mi facevano sempre nascondere in modo che poi nessuno mi venisse a cercare. Più io e il mio odore stavamo lontani e meglio era per tutti. Era per quello che ti avevo chiesto se anche tu avessi sentito qualcosa.

La mamma non smetteva mai di raccontare la famosa storia della cottura del cavolo che portava fortuna dicendo sempre che magari se non lo avesse cucinato in continuazione io non sarei neanche nato. E quindi lei, quell’odore in casa, anche a distanza di anni, lo benediva ogni santo giorno. Sinceramente a questa storia del cavolo mica ci credevo, come neanche a quella della cicogna, che se puzzava almeno la metà delle galline della nostra vicina, la Signora Piera, mi sarei buttato con un tuffo a bomba dal fazzolettone mentre volava, piuttosto che starle vicino. Però questa storia che prima di nascere ci ho messo quasi tre anni quando gli altri bambini ci avevano messo nove mesi non mi convinceva più di tanto.

Ogni tanto su questa cosa mi arrivava un pensiero sulla punta della lingua, un ricordo lontano. Ma poi avevo sempre così tante cose da fare, tipo il mettermi in bocca la maggior quantità di gomme alla fragola da masticare, che non volevo sprecare neanche un minuto a cercare di ricordarlo, e così il pensiero come era venuto scoppiava, come una bolla di sapone. PAF!

Fino a che un giorno, mentre ero in posta con la mamma per ritirare un pacco, incominciai a capire perché la storia del cavolo non mi convincesse granchè, come anche tutte le altre che mi avevano raccontato fin d’ora, in verità.  Pur essendo i quarti in fila davanti allo sportello, e quindi ce la saremmo dovuti cavare in massimo mezz’ora, lei, per ingannare il tempo, incominciò a parlare con tutti quelli dietro. Raccontava la storia del cavolo, parlava del tempo, si confrontava le scarpe con le altre signore, ogni tanto guardava fuori dalla finestra indicando qualcosa, poi rispondeva al telefono, guardava l’orologio, riguardava fuori e poi continuava a parlare. E intanto il tempo passava e noi non eravamo avanzati neanche di un centimetro.

La cosa buffa è che noi rimanevamo sempre quarti mentre le persone davanti e dietro di noi continuavano a cambiare. Che cosa strana. Era come se il tempo passasse per tutti tranne che per noi, ma al tempo stesso era già passata un’ora e mezza. E lì, mi ricordai. Mi ritrovai come catapultato in una macchina del tempo. Come se fossi riuscito a tornare indietro con gli anni non solo fino alla nascita, ma ancora prima. Avete presente quando nei cartoni animati viaggiano velocissimi nello spazio? Gli astronauti immobili sui seggiolini e fuori dai finestrini dell’astronave tutti i pianeti, tutte le stelle, le comete e gli asteroidi si trasformano in una striscia continua perché si sta superando la barriera del suono? Ecco qui, in posta uguale. Io e la mamma fermissimi e la fila, i signori dietro gli sportelli, i pacchi, tutti i bollettini, le bandierine, i calendari in vendita, tutti alla massima velocità di fianco a noi.

Finalmente quel ricordo sulla punta della lingua ritornò, come quel ghiacciolo venduto in quel tubo di cartone che proprio quando hai perso le speranze che si scongeli, e ti vedi già a bocca asciutta, salta fuori e olè, finalmente ci si rinfresca. Ecco la sensazione di avercela fatta era la stessa.

Il ricordo di me in fila, con un cartellino attaccato al collo con la mia foto e il mio nome, davanti a un ascensore, con tre bambini davanti e centinaia dentro di me.

L’altoparlante manda un nuovo annuncio. “Ultima chiamata per le nascite in Italia del gennaio 2004”, ma intanto pur ascoltandolo io mi guardo intorno. “Toh, che belle le nuvole, e guarda quell’uccello, non sarà mica un’ aquila reale?” Nel frattempo le porte dell’ascensore si chiudono, e rimango il solo in fila, che non è più una fila, perché la fila è fatta di almeno due persone o sbaglio?

E allora mi sposto. Ma qui è un “inferno”, pur essendo in paradiso! Ci sono centinaia e centinaia di file di bambini, anche loro con un bel cartellino appeso al collo. Display che lampeggiano, altoparlanti che gracchiano. Pupi di tutti i colori che parlano tutte le lingue del mondo, che meraviglia. Mi guardo intorno e passeggio. Chiacchero col bambino cinese che pur parlando la sua lingua e io la mia ci capiamo, perché quassù ci capiamo comunque tutti. E intanto, ancora una volta, il tempo passa e le nuvole corrono veloci nel cielo. “Ultima chiamata per le nascite in Italia dell’agosto 2005”.

Ecco ancora una volta, perdendo tempo in giro, è passato un anno e mezzo dall’ultima volta che ero in fila. Mi devo muovere se non voglio invecchiare qui. Sogno la mia mamma e il mio papà da tanto tempo. Chissà come saranno, chissà se mi ameranno come io amo già loro, senza ancora conoscerli. E ancora una volta il tempo passa mentre io sono immerso nei miei pensieri. Lasciamolo passare, per una volta senza preoccuparmi, prima o poi arriverà anche il mio turno di nascere.

“Ultima chiamata per le nascite 2006”. Eccomiiiii. Incomincio a correre a perdifiato verso l’ascensore numero 450. Largo largo, fatemi passare che devo nascere. Corro, corro disperatamente. Inciampo, rotolo, “ahia che ginnocchiata”, ma non importa ho troppa voglia di nascere, Corro, corro più veloce che posso ma questa volta tutti rimangono fermi e io quasi volo. Ce l’ho fatta, eccomi dentro l’ascensore che si trasforma in uno scivolo velocissimo. Mi tappo il naso, come se dovessi fare tuffo altissimo dal trampolino della piscina, e incominciamo l’avventura. Non ne vedevo l’ora.

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12 commenti »

  1. Racconto delizioso.
    Brava Chiara!

  2. Grazie mille Patrizia 🙂
    Tale madre tale figlio!

  3. Bello, scorrevole, allegro, adatto ai bambini di ogni età. Complimenti!

  4. Grazie Aurora! 🙂
    Tratto, quasi, da una storia vera.

  5. Chiara, il tuo racconto è tenerissimo! Bella l’idea, divertenti i personaggi, strepitoso l’esordio! Le parole che escono dalla tua penna sono così evocative che alla fine la puzza di cavolo si sente quasi per davvero! Bravissima!

  6. Ahahahah, mettiti una mollette sul naso allora!
    Grazie mille, gentilissima:-))

  7. Massimo, massimo rispetto per chi scrive racconti per bambini e riesce a farlo bene come lo fai tu, coniugando realismo e fantasia nelle giuste proporzioni. Brava ! 🙂

  8. Grazie mille! È la prima volta che mi cimento in racconti per bambini, di solito scrivo altre cose per un altro pubblico. Beh, l’importante è che sia piaciuto al mio primogenito, fonte d’ispirazione.
    Grazie ancora

  9. Molto grazioso!

  10. Grazie Davide 🙂

  11. Oh Chiara che delizia! Io che adoro l’olfatto ci sguazzavo in tutti quegli odori…racconto grandioso, grazie !…e se fossimo nati tutti cosi?!?

  12. Grazie Anna, potrebbe anche essere 🙂 però io opterei per lo zucchero filato. Ahahah

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