Premio Racconti nella Rete 2018 “Cane non mangia cane” di Vincenzo Spinelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Perché quando si tratta di noi è un aborto, e quando si tratta di un pollo è un’omelette?
George Carlin
Mangiando del pollo è saltata fuori la solita trasmissione culinaria. Ero stufo di guardare tutte quelle ricette continuando a mangiare sempre le solite due cose. Rebecca non voleva cambiare canale così mi sono messo a stuzzicarla:
“Sempre a parlare di cibo in entrata. Mai una volta che parlassero di quello in uscita.”
“La chiamano arte culinaria apposta.”
“Sì, anche io l’avrei chiamata così. Ma perché sprecare tanto tempo? Non abbiamo risolto la fame nel mondo e i paesi industrializzati sono in una fase così piatta che in tele parlano solo di cibo. Pensa se per sbaglio uno di quei cuochi ultrapagati tipo Cannavacciuolo si trovasse a fare una lezione sulla preparazione del gulasch davanti a un gruppo di bambini affamati. Nei loro panni scaglierei la prima cosa che mi capita tra le mani, anzi me lo mangerei.”
“Non parlarmi di bambini affamati che mi fai passare la fame. Vorrei finire di cenare in santa pace e vedere come si prepara il maiale all’orientale.”
“Hai sentito che l’umanità si ciberà di scarafaggi?”
“No, dove? Ma che dici? Mi prendi in giro…” e mi guarda incredula.
“Sì, a causa dell’inquinamento atmosferico e delle tonnellate di rifiuti a mare. Molti degli animali che conosciamo saranno intossicati, se non estinti, e gli unici animali commestibili saranno insetti e scarafaggi. Ma questo in tele non lo dicono perché prima devono capire come guadagnarci, in fondo gli scarafaggi sono facili da allevare, ma un giorno li pubblicizzeranno, un altro fiero Banderas della situazione mangerà scarafaggi con il sorriso sulle labbra, sempre se andrà ancora di moda pubblicizzare una fonte indispensabile per la sopravvivenza come il cibo.”
“Che schifo… piuttosto morirei di fame. Hai letto ancora quelle riviste! Che palle!”
“Solo il capitalismo poteva trasformare una cosa indispensabile in un lusso. Un lusso sarebbe cibarsi con pastiglie create in laboratorio, non l’acqua o il pane!”
“Bleah! Scarafaggi!”
Poi arriva il gatto portandosi uno spiffero che sento sulla cervicale, le fa le fusa attorno al polpaccio con la coda alzata che finisce a uncino, e vedo Rebecca riprendere tra le dita già unte, con quelle unghie rosso tragedia, una coscia di pollo dal suo piatto, se l’avvicina alla bocca curvandosi leggermente con il collo e le spalle in avanti, e poi affonda i denti nella carne strappandola via dall’osso, lasciandone piccoli pezzettini penzolanti. E sarà stato il discorso o l’evidente contraddizione davanti ai miei occhi ma quell’immagine mi ha ricordato il legame che lega l’umanità ai propri avi; mi ha fatto venire in mente un cerchio umano attorno alla carcassa di un animale appena abbattuto che litiga per avere la parte di carne più prelibata. Oggi si lavora per farsela confezionare, è più facile, non si va più a caccia e i testicoli dell’animale vengono scartati, a meno che qualcuno desideri comprare una o più porzioni da quanti chili vuole. Così ho sentito un brivido avvolgermi fino al midollo e mi è passato l’appetito.
“A proposito, dobbiamo comprare il pesce”, mi dice succhiandosi prima il pollice poi l’indice.
“Sì, ma compralo tu. Lo sai che mi viene l’angoscia a comprare un animale morto che mi guarda.”
“Quando leggi quelle riviste pseudoscientifiche fai sempre dei discorsi strani. Piuttosto, vero che domenica andiamo alle terme? Ho bisogno di un po’ di relax.”
“Pseudoscientifiche? Loro raccolgono dati, fanno calcoli e in base ai risultati ipotizzano che se si va avanti così un giorno ci serviranno dei polmoni d’acciaio e uno stomaco di marmo per sopravvivere alla merda che noi stessi abbiamo prodotto!”
“Mi piace quando ti arrabbi per le tue cose ma parliamo un po’ di noi. Dici che sono ingrassata? Mi regali un costume? Però intero, almeno mi snellisce.”
A quel punto i miei nervi hanno iniziato a vacillare e mostrando una calma tibetana ho cambiato argomento complimentandomi per il peso forma.
Dovevo provare a me stesso che molte persone non hanno coscienza di quello che mangiano, che mangiano quello che mangiano per abitudine. Così sono andato dal macellaio e dopo aver rispettato la fila col numerino in mano gli ho detto “Tre etti di animale defunto.” e lui, ormai assuefatto come un pervertito dal mettere le mani in mezzo a budella e carcasse mi ha risposto “Quale?” e io, senza remore “Un vitello morto da poco. Fresco.” E lui “Va beh” e mi ha servito con l’aria di chi pensa Questo è scemo.
Col macellaio, nonostante manifestasse una certa classe con quelle braccia e quel grembiule inzaccherati di schizzi di sangue alla Pollock, è stato facile capire: se è in possesso di una coscienza non l’ha mai usata, e se l’ha usata se n’è dimenticato presto di averla. Ma vedere una vecchietta che rigettava la pastina nel suo carrello e altre due persone che si sono allontanate dal bancone bofonchiando, mi ha lasciato parecchi dubbi. Hanno una coscienza o sono solo deboli di stomaco? Non convinto, ho voluto provare con Rebecca.
A casa ho montato un video in cui si vede come lavorano quelli della catena di montaggio. Mi piace perché in sottofondo c’è Echoes dei Pink Floyd e inizia con il mondo visto dal cosmo, che ancora un po’ luccica con quel bel bianco che lo ricopre che sembra zucchero a velo, e il marrone, il verde e il blu esaltano la sua magnificenza. Poi si va in profondità e si notano i ghiacciai, gli oceani, i deserti, le montagne, i laghi, i campi di grano, un ragazzo e una ragazza che si rincorrono, due dendrobates che gracidano su una foglia facendosi trasportare dalla corrente del fiume, i peyote che hanno permesso a stupide scimmie di ampliare le loro percezioni per evolversi, poi una carrellata veloce della catena alimentare, e poi stacco, passando a un campo medio, su piccole papere gialle riunite come persone a un comizio elettorale, molto simpatiche, le quali, tramite gli operatori vengono selezionate e lanciate dentro una macchina che serve per maciullare tutto quello che ci finisce dentro. Vive. Poi stacco, e questa volta si vedono i maiali. I maialini, credo morti (non gliel’ho fatta a guardare più di trenta secondi il video), vengono presi dall’estremità delle zampe e gettati dentro una macchina simile a quella delle paperelle. Ho inserito la scritta in sovrimpressione “Ossa, interiora, unghie e altro”. Subito dopo, un bambino con la testa a forma di mappamondo e le dita tozze come quelle di un cotechino, divora allegramente un panino del fast food. Fine.
Il DVD gliel’ho fatto trovare a casa una sera che mi sono inventato la cena coi colleghi. L’unico modo per farla incuriosire al punto da mettersi a guardarlo è stato appiccicare sulla custodia la copertina di un film porno. Ho scelto una cosa simpatica: Aporcalypse now, dell’intramontabile Siffredi. L’ho lasciato in bagno, per quando va a lavarsi i denti, dopo cena. Ma non è finita, il giorno prima sono stato un paio d’ore a cucinare un animale che piace solo a lei, ma non le ho detto niente, volevo farle una sorpresa. Così gliel’ho fatto trovare nella pentola e sul tavolo le ho lasciato un foglietto con su scritto “Buon appetito amore.”
Dopo due ore, mentre mangiavo del sushi al Sushibar, ricevo il messaggio:
Buona la cena, anche se ho rimesso… dai che forse siamo incinti!
Però non trovo il gatto!
Non fare tardi che dobbiamo parlare del porno! Non ho nemmeno il coraggio di guardarlo. Porco!
Allora è vero, gli umani mangiano quello che gli si mette nel piatto senza il minimo riguardo. Al contrario, al mio cane avevo dato da mangiare il cane del mio vicino che abbaiava in continuazione. Ha annusato dentro la ciotola, e non l’ha mica mangiato, anche se poi di notte c’era un gran bel silenzio.
Ciao Vincenzo,
sorvolando sui sensi di colpa che mi hai fatto venire, ho trovato geniali alcune immagini (una su tutte le unghie rosso tragedia), e cinica e geniale la fine.
Complimenti!
Un bel racconto di realtà contemporanea, sapientemente farcito di umorismo e di un pizzico di cinismo q.b. tanto per usare una terminologia cara alla dilagante gastronomia quotidiana. Interessante anche la verifica sperimentale del modo dire “cane non mangia cane”, a cui da ora in poi dovremo credere ciecamente!
Beh che dire… Bel racconto davvero con un finale acido e rancoroso… Mi è piaciuta questa lettura.. Davvero.. Sulle prime il protagonista sembra il classico vegetariano che si crede un missionario in cerca di adepti ma dopo è un arrogante figlio di puttana… È questo mi piace! Bravo!
Distopico dispotico e molto poco cinofilo ma….geniale al punto giusto ! Bravo
“Allora è vero, gli umani mangiano quello che gli si mette nel piatto senza il minimo riguardo” … Il protagonista guarda con sguardo disincantato e cinico la deriva degli umani sin dentro casa, si l’evoluzione in fondo ha solo cambiato “confezione” . Complimenti un bel racconto
Bellissimo.
Un modo molto originale per rappresentare un bel po’ delle ossessioni dei nostri tempi, connettendole le une alle altre, e facendone emergere così l’ipocrisia, o l’impossibilità di rimediare.
Molto divertente, ma disperante. Non si salva nessuno
P.S. Peccato per il gatto!
Sono andata a ritroso, e ho letto anche il tuo racconto dell’anno scorso.
Ho tentato di inserire un commento, ma credo che non ci sia più la possibilità….
Ora andrò a controllare se sei stato tra i vincitori. Se così non fosse….ne rimarrò davvero meravigliata!
Comunque si, gli anni 90 erano proprio così, e certi “tiparelli” esistevano veramente.
Sarebbe bello scoprire che tu, invece, non esistevi ancora, o che eri molto piccolo.
In ogni caso ti auguro una lunga vita da scrittore e tutto il successo che meriti!
Roberta Silvagni
Resta da capire se, al di là del gatto, Rebecca potrebbe addentare pure il compagno o se, anche lei andando ad annusare nella sua ciotola, arrivasse a percepire un fondo del suo istinto a salvarla. Racconto ispido al punto giusto e con una chiusa perfetta.
Molto, molto particolare! il black humour è forse poco rappresentato in questo concorso, per cui il tuo racconto è stato maggior ragione una bella sorpresa. Che dire, mi ha raccapricciato e divertito allo stesso tempo. Sei stato bravo a toccare dei “nervi scoperti” del lettore, al tempo stesso però prendendo le dovute distanze dal tuo personaggio. Bravo Vincenzo!