Premio Racconti nella Rete 2018 “Uguali e diversi” di Enrico Pasquetti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Il pugno partí con una violenza inaudita, la rabbia con cui Seydou attaccó il giovane italiano era animalesca. Il furore che gli si leggeva negli occhi scuri, si era trasformato in energia che aveva fatto scattare velocissimo il braccio. La potenza nel corpo magro ed emaciato scaturiva da un’esplosione d’ira e di cattiveria che colse di sorpresa il ragazzo vestito come un rapper. Quando le nocche arrivarono sulla mandibola dell’italiano, si udì un rumore come due cocomeri sbattuti insieme. La testa del ragazzo biondo scattò all’indietro, gli occhi persero immediatamente lucidità e lui cadde a terra senza reazione, come un sacco di farina. Seydou sferró un calcio al corpo inerme steso a terra, un attimo prima di sfilare il cellulare dalla mano del ragazzo e darsela a gambe.
Romeo aveva 17 anni, ma ne dimostrava 14. Era sempre stato preso in giro dai suoi amici per il leggero ritardo che lo contraddistingueva, rendendolo poco coordinato e leggermente ondeggiante nel camminare. Questo gli era valso il soprannome di “Dondolo”. Quella primavera, l’anno della quarta liceo, la scuola aveva organizzato la gita nella lontana e bellissima Sicilia. Romeo aveva accettato a malincuore di partecipare perché nonostante fosse assetato di viaggi e di compagnia, sapeva che i compagni di classe lo avrebbero preso di mira per tutta la durata della gita. E così fu.
Seydou viveva in un piccola e polverosa cittadina nel centro della Costa d’Avorio, tagliata in due come una coltellata dall’autostrada A3, trafficata giorno e notte da auto, camion e mezzi di trasporto militari. Vivere a Noumouso comunque, era molto meglio che nei villaggi. C’era un pochino più disponibilità di acqua e quantomeno le fogne erano collocate in modo meno invadente. Seydou passó un’infanzia terribile al confronto di un europeo, ma per lui che non ne aveva vista nessun’altra, tutto sommato felice. Però crescendo aveva notato delle differenze nell’aria, i militari sempre in numero maggiore, armi in quasi tutte le case civili e capannelli di persone che parlavano misteriosamente. Finché, nella primavera dei suoi 13 anni sentí per la prima volta la parola “guerra civile”. La sua vita cambiò radicalmente, all’improvviso masse di uomini salivano su camion enormi e scivolavano via silenziosamente fra le lacrime delle mogli e dei figli più grandi. Una notte fredda fu svegliato da sua madre, fece un fagotto dei suoi pochi stracci e iniziò a camminare silenziosamente nella notte con una ventina di persone. Gli spiegarono che stavano scappando dalla guerra, rifugiandosi in Europa, dove ci sarebbe stata pace e serenità. Ma bisognava arrivarci in Europa.
Romeo aveva le lacrime agli occhi. Gli si erano appannati gli occhiali e sentiva la rabbia salire amara in gola. Si era messo in prima fila sull’autobus per allontanarsi dalla parte agitata dei compagni, ma dopo che all’autogrill lo avevano fatto cadere sul pavimento sporco e puzzolente dei bagni, non avevano smesso un minuto di colpirlo con sberle, pallini di carta ciucciati sparati con le Bic e canzonette tipo “Guarda come dondolo”. I ragazzi sapevano essere veramente cattivi. Naturalmente nessuno volle andare a dormire con lui e gli fu consegnata una stanza singola, fra l’imbarazzo degli insegnanti e dell’albergatore e gli scherni dei compagni. In realtà Romeo era contento di stare da solo, col suo cellulare, col suo Tablet e con se stesso.
Il giorno dopo girarono per la città tutti in gruppo, il tempo fu scandito da chiese, fotografie, cibo, passeggiate e prese in giro, sgarbate e offensive. Ma Romeo ci era abituato e si godeva il viaggio.
Il viaggio di Seydou invece era ben oltre il limite umano. Durò quasi un anno. Un anno in cui nei suoi occhi passarono ogni tipo di immagine, al suo naso arrivarono ogni tipo di odori e nel suo corpo ogni tipo di privazione, di fatica e di dolore. E nel suo cuore la speranza diminuiva mentre aumentava la paura. Ogni giorno si univano enormi quantità di persone e altrettante si perdevano.
Percorrendo il terreno sabbioso accanto alla A3, arrivarono al confine col Burkina Faso e arrivarono anche le prime tasse da pagare, i primi passaggi nascosti nel cassoni dei camion, le prime sparizioni e i primi morti. A Thiou, ultima cittadina prima del pericoloso Mali, si fermarono per venti giorni, vivendo per strada e dormendo per terra. L’africa era un mondo complicato, pieno di tradizioni secolari mischiate a inevitabile progresso. E il Mali fu spietato, centinaia di persone ci persero la vita, compresa la madre di Seydou. La sua salvezza fu la promessa che le aveva fatto prima di morire, la promessa di riuscire ad arrivare in Europa. Ci mise tutto quello che aveva in corpo e anche di più, corse, si nascose, picchió, contrattó, pregó, ingannó, aiutò, rubó, tutto per non cadere ucciso dalla fatica, dalle privazioni o assassinato, in un qualche fossato sperduto. In 37 giorni raggiunsero Gao, ultimo avamposto prima del deserto del Mali. Dormirono per 9 giorni in un hangar nascosto dell’aeroporto, poi, dopo estenuanti contrattazioni, 30 di loro vennero stipati nel retro di un camion e seguendo per un po’ il corso del Niger, arrivarono in Algeria. Un po’ a piedi, un po’ come le antiche carovane, un po’ su disastrati trasporti, attraverso strade rocciose e sabbiose, arrivarono in Tunisia. In 7. Le altre migliaia, non ce l’avevano fatta.
Romeo stavolta tremava, di freddo, di rabbia e di paura. I professori avevano lasciato il pomeriggio libero ai ragazzi, lui aveva deciso di restare in camera sua, ma i suoi compagni lo avevano trascinato a forza con loro, prima su un autobus diretto alla zona portuale, poi in spiaggia a bighellonare e fumare al sole. Romeo si era illuso che i compagni lo avessero voluto con loro per gentilezza, ma arrivati al mare, si era dovuto ricredere. Avevano iniziato a spingerlo nella sabbia, a colpirlo con legni trovati sulla battigia e a cantargli canzoncine stupide per prenderlo in giro. Ma il branco si dava carica da solo, si sentivano forti e vincenti quei 5 coglioni e gli tolsero i pantaloni per sculacciarlo, legandogli le mani con la cintura ad un grosso tronco.
Leone Marradi, il ricco figlio di un assessore, era il leader del gruppo dei bulli, biondo e sempre vestito alla moda, provocava risatine e gridolini nelle compagne di classe. In quel momento ebbe l’idea del secolo; andarsene e lasciare Romeo legato al tronco. Doveva dimostrare di meritarsi il comando con un’azione forte e seguito dai consensi degli altri, condusse il gruppetto verso la fermata dell’autobus accompagnato dai singhiozzi sempre più lontani di Romeo.
A Menzel Salem, aspettarono quasi un mese il numero sufficiente di paganti per poter effettuare la traversata sul barcone. Chi riusciva ad arrivare, era in condizioni disumane e raccontava di aver perso per strada decine di persone e chi era lì, aveva superato una selezione durissima. Solo i più forti, i più tenaci, i più determinati e forse i più fortunati, salirono su quel barcone. A Seydou erano rimasti 400 dollari nelle mutande, sua madre glieli aveva dati prima di morire e per fortuna gli bastarono. A bordo c’era spazio per sedersi o dormire rannicchiati, i passeggeri erano esausti, indeboliti, febbricitanti e nessuno ebbe la forza di lamentarsi. Qualcuno morì, le privazioni, gli stenti e le malattie avevano minato i corpi, ma per gli altri fu un’emozione incredibile sentire i motori rallentare e iniziare a frenare per effettuare l’attracco. Uscirono sotto il sole rimbambiti, non riuscivano a tenere gli occhi aperti, l’aria pura sembrava quasi fastidiosa dopo aver respirato per giorni veleno, il paesaggio era estraneo, la fame e la mancanza di forze annebbiava loro la vista e i pensieri. Seydou si sentí afferrare da mani gentili e da quel momento in poi, gli parve di vivere un sogno. In vita sua non aveva mai visto edifici così grandi, così puliti, così squadrati, così solidi. L’acqua scorreva nascosta in tubi e usciva limpida, ce n’era in abbondanza. Si fece una lunga doccia, gli vennero dati abiti puliti, cibo caldo, aiuto medico, sorrisi e pacche sulle spalle. Le persone erano tutte gentili e non stavano chiedendo niente in cambio. Seydou credeva di essere morto e di essere in paradiso.
Leone all’improvviso scese dall’autobus, le porte si chiusero fra lui e gli sguardi increduli del resto della banda. Tornò di corsa verso la spiaggia.Quando arrivó vide Romeo ancora legato con i pantaloni calati, gli si formò un ghigno sul viso, non era ancora sazio di cattiveria. Tirò fuori il cellulare e iniziò a girare un video mentre si avvicinava. Quando Romeo lo vide, si fece la pipì addosso, inzuppandosi le mutande, le gambe e i pantaloni, come ben si vedeva nel filmato. Leone felice, lo avrebbe postato su YouTube.
Seydou vide questa scena da venti metri, era uscito fuori dal centro di accoglienza perché pensava alla sua mamma, che non ce l’aveva fatta ma che sarebbe stata fiera di lui. Un furore cieco lo travolse e silenzioso e veloce come una pantera, si scaglió contro Leone. Bastò un pugno per chiudere i giochi, liberò Romeo che piangeva, gli consegnó il cellulare per cancellare il filmato e lo portó a dormire con sé al centro di accoglienza. Parlarono tutta la notte, a gesti, un po’ in francese, si raccontarono la loro vita, diversa eppure così simile nella sofferenza. Romeo non aveva mai avuto un amico migliore di questo. Gli promise di non dire a nessuno che era stato lui a dare il pugno a Leone, non avrebbero mai potuto riconoscerlo. Uscirono dall’edificio nell’aria fresca della mattina, c’erano alcune macchine della polizia parcheggiate sulla strada di fronte alla spiaggia, probabilmente la scomparsa di Romeo era diventata ufficiale. Seydou e Romeo si guardarono un po’ e poi si strinsero la mano, sorridenti e malinconici, grati l’un l’altro per esserci stati. La luce chiara e limpida del sole all’alba, quando tutto sembra pulito, fece da sipario all’ombra dondolante di Romeo che trotterellava sereno e sorridente verso le macchine della polizia.
Enrico ,è un racconto meraviglioso, attuale,toccante,emozionante,dolce e soprendente…veramente bravo
Grazie mille Moira
Un racconto che si pone in modo garbato,senza essere retorico,buonista o razzista..non è facile trattare il tema dell’immigrazione con la grazia e la delicatezza con cui l’hai trattato tu…mi ha emozionato!
Grazie Valentina, gentilissima.
Non amo particolarmente il tema dell’immigrazione, perchè sono stanco e prevenuto di tuttii dibattiti e le strumentalizzazioni politiche che si sentono ovunque…invece tu Enrico sei riuscito a commuovetrmi e a sorprendermi con un racconto amaro,vero,dolce e ottimista…grazie
Bello, attuale e carico di umanità. Riporta credibilmente al mondo del bullismo nell’ambiente scolastico e non solo.
Un finale positivo che fa sperare possa essere vero.
Grazie davvero Roberta..
Un bel racconto! Mi piace il binomio bullismo – emigrazione. La sofferenza, il bisogno di scappare, la forza di resistere, il sentirsi diversi, la voglia di riscatto, la capacità di mare nonostante tutto. Il parallelo è innegabile e tu lo hai reso perfettamente in questa storia. Bravo Enrico!
Grazie mille Carola.. Davvero… È emozionante leggere un commento del genere..
Enrico, mi hai letteralmente strabiliato con questo racconto, che affronta i diversi aspetti della “diversità” con grandissima sensibilità ma senza retorica. Riesci a suscitare nel lettore un vero sentimento di complicità con i tuoi protagonisti. La tua scrittura è pulita ma ricercata e le descrizioni sono semplicemente bellissime. Complimenti!
Giada grazie mille, leggere un commento così come il tuo, per un autore, vale un milione di euro.. Grazie davvero