Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “L’odore” di Massimo Occhiuzzo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Prologo

L’immagine non e’ chiara, la polvere copre ciò che non si deve e non si vuole far vedere, la guerra. Quando la polvere si alza, l’impronta di una vita che se ne va resta nel ricordo di una fotografia. Una delle tante ormai sbiadite dal tempo. Altre immagini ci raccontano nuove storie di violenza, in attesa che l’uomo smetta di uccidere.

 

CAPITOLO PRIMO

Un diario

Chiudo la finestra, è ormai quasi sera, le luci sulla Alexanderplaz si sono appena accese. La primavera a Berlino è più fredda che a Roma. La luce della stanza dove dorme Sara sembra quasi riscaldare l’ambiente.

La lampada sul comodino le illumina una parte del viso. E’ così dolce quando dorme e pensare che c’era un tempo nel quale solo il colore scuro della sua pelle e il suo odore mi davano il disgusto.

Lascio la stanza e mi accendo, con un gesto ormai consumato, una sigaretta.  Credo  sia il caso prima di addormentarmi che mi decida a leggere il diario di Piero, ho sempre rimandata questa lettura. In questo momento c’è tanto silenzio nella stanza e i suoni nella strada sembrano quasi affievolirsi, fa sempre più freddo…

 

 

GENNAIO

Non riesco a vedere il finestrino alla mia sinistra, il mio vicino è troppo grasso e copre completamente la visuale delle nuvole. Come al solito quando volo ho paura, una paura che mi nasce dallo stomaco e poi si sviluppa autonomamente. Mi imbottisco di pasticche tranquillanti che alleggeriscono la mia coscienza, dandomi torpore, ma non riescono ad annullare la mia ansia. Il  pensiero va a mia moglie Mara rimasta a Roma. Chissa’ che stara’ facendo,  appena arrivo dovro’ chiamarla. Forse prima di partire avrei dovuto starle più vicino. Non riesco a capirla ultimamente, mi sento in difficoltà con lei, è sempre nervosa, e’ come se le mancasse qualcosa. Questo viaggio non ci voleva proprio, d’altra parte in  Italia mi è sempre più difficile lavorare. Quando mi  hanno offerto questo lavoro in Iraq, non mi sembrava vero, un anno all’estero, ben pagato. Vorrei stendermi e non pensare.

L’areo sta’ rollando sulla pista presto dovremo scendere.

 

 

L’ODORE DELLA GUERRA

 

L’odore è la prima cosa che mi ha accolto. L’odore nell’aria delle cose e delle persone. Un effluvio forte che mi circonda e sembra soffocarmi.

All’aeroporto è venuto a prendermi Sirio un iracheno. Alto, massiccio con una folta barba brizzolata, parla molto bene italiano. Per alcuni anni ha lavorato in Italia come interprete. E’ il capo operaio  di una ditta edile e di nuovo è stato chiamato come interprete da quando è scoppiata la guerra.

Sembra simpatico non fa altro che chiamarmi dottore: gli ho detto di chiamarmi Piero, ma non sembra intendere.

 

A Bagdad c’è il caos totale. Marines dappertutto, una presenza  costante e sembra mal tollerata. Mentre mi accompagna, Sirio mi racconta di episodi d’insofferenza per questi soldati che vengono considerati dai locali come invasori.

Il vento ricopre tutto di polvere. A volte mi prende allo stomaco creandomi malessere. Mi sento smarrito in questo universo a me estraneo.

Mi hanno trovato collocazione all’albergo dei giornalisti; una stanza che sembra riportarmi a un minimo di civiltà. Ho disfatto la valigia, tirato fuori il portatile e mi sono connesso all’internet dell’albergo. Scrivo un e-mail a Mara e poi la chiamero’. Presto verranno a prendermi per farmi vedere dove dovrò lavorare. Mi hanno detto che si tratta di un piccolo fabbricato dove c’è l’ospedale. Sono atteso con impazienza, l’altro medico chirurgo non c’è la fa più da solo a smaltire il lavoro, troppi pazienti.

Riesco a vedere meglio intorno a me. La città non è male è solo occupata da una presenza militare continua,  carri armati sono quasi a ogni angolo di strada.

Vedo bambini in branco che corrono. Di uomini finora ne ho visti pochi, sono in gruppo e parlano fra loro sono distanti dai militari. Donne per ora non ne ho viste. Devo ricordarmi di chiamare Mara.

Siamo arrivati nel grande spiazzo dove sorge l’ospedale. Sirio mi racconta che in precedenza  qui accanto  c’era un palazzo molto grande, ora è crollato sotto le bombe americane.

L’ospedale è piccolo composto di quattro stanze più uno stanzone  che funge da sala operatoria. All’ingresso di guardia ci sono due marines, entrando mi hanno salutato.

Ad attendermi c’è Francesco, l’altro medico e Floriana di Medici senza frontiere, è italiana. Ci sono inoltre due infermieri iracheni. L’ospedale, per motivi di sicurezza è stato chiuso per qualche giorno. Rientrerà in funzione da domani mattina. All’altro capo della città l’ospedale più grande sta’ scoppiando, sono arrivati molti feriti non solo da Bagdad ma anche da Falluja. Intanto Sirio mi porta a mangiare; mi dice che più il posto è lontano dai soldati meglio mangeremo. Andiamo in un piccolo locale dove riconosco gli odori e spero di riassaporare la cucina araba. Mi servono un ottimo piatto di shawerma, con delle falafel simili a quelle libanesi, ma con uno strano sapore piccante.

 Sirio mi parla di lui: ha quattro figli, tutti piccoli.  Si è sposato giovanissimo, è felice di avere sempre intorno a sé la sua famiglia. Mi chiede di mia moglie, non so che dirgli. Ho difficoltà ad aprirmi, devo riconoscere che non so nemmeno io che rapporto ho ora con lei.

Le lunghe giornate dell’ultimo periodo, mi hanno lasciato un sapore amaro. Mara è un enigma, non so se mi ama. Forse sono io a non capire a non sapere amare. Vuole un figlio, ma sa bene che non può averne. Ha una tuba chiusa e l’altra è danneggiata. Questo fatto ci ha molto provato e alla fine, senza nemmeno rendercene conto, ci siamo piano piano allontanati.

 

E’ passato qualche giorno, sono in albergo, stanco, non smetto di fumare. Comincio a stare bene in questa città, nonostante le continue difficoltà giornaliere. Posti di blocchi, razionamenti, a volte paura degli attentati. Sono sempre considerato uno straniero, anche se con gli italiani sembra che la popolazione sia più calma.

Ieri sono stato a cena a casa di Sirio. Un piccolo fabbricato a un piano con un grazioso cortile chiuso da un cancello. La sua famiglia è deliziosa, sua moglie è un po’ grassoccia con due magnifici occhi neri e un sorriso pieno di comprensione per tutto e tutti. I bambini sono venuti a salutarmi in ordine di età dal più piccolo al più grande.

Sono riusciti a farmi sentire uno di loro.

 

Al rientro in albergo una pattuglia americana ci ha fermati. Nonostante le mie proteste ha fatto stendere Sirio per terra con le mani in testa per perquisirlo Solo dopo qualche ora ci ha lasciati passare.

 

Le ruspe hanno iniziato lo sgombro dell’edificio crollato accanto all’ospedale. Sembra che sotto l’edificio siano morte molte persone. Una squadra di operai stà iniziando a togliere le prime travi.

Oggi Sirio ha trovato sotto le macerie una scatolina di legno.

Ho iniziato il lavoro in ospedale. Il  primo caso è stato quello di un ragazzo con la gamba in condizioni  pietose per una mina. Non voleva farsi curare. La sua famiglia piangeva. Lui urlava dal dolore, ma non voleva  assolutamente che lo toccassi. Ho dovuto amputargli la gamba fino al ginocchio.

Sirio è venuto in ospedale. Nella scatolina di legno che ha trovato c’era un foglio scritto da una bambina, si riesce a leggere solo un pezzetto finale.

“Oggi il cielo è scuro il vento urla forte, io ho paura, mamma mi ha detto di nascondermi sotto il letto, sento tanti scoppi intorno alla mia casa”….    

Sirio mi dice che in quella casa abitavano dieci persone, molti bambini. Alcuni li conosceva, in particolare Sara, la bambina della lettera. Pensa di andarla a cercare nell’altro ospedale, vuole essere accompagnato. 

Per arrivare in quell’ospedale dobbiamo attraversare gran parte della città. Oggi ci sono stati molti scontri. Le carcasse spettrali delle macchine bruciate ostruiscono il passaggio. La nostra jeep è un vecchio modello, le sospensioni sono rotte e ci fanno sobbalzare continuamente.

Per muoversi in città ci vogliono dei  permessi speciali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Berlino

Ho fatto un sogno stanotte, le mani di Piero mi cercavano, io le stringevo forte forte. Nell’aria un profumo mi avvolgeva completamente, poi mi sono svegliata.

 

Oggi è una giornata complicata, devo portare Sara con me all’Ufficio dei permessi per gli immigrati.

Bagdad

Nello spiazzo davanti all’entrata dell’ospedale  carri armati e mezzi di soccorso creano un rumore assordante. All’interno il rumore sembra crescere anche di più. Questo ospedale è in condizioni  pietose, è molto grande ma il caos regna sovrano. Manca di tutto. Le urla di dolore dei feriti si sovrappongono ai comandi dei portantini, dei pochi medici e dei molti poliziotti e vigilantes che cercano di dare ordine, dove ordine non ci può essere.

In un angolo, accanto ad alcuni letti in cui sono riverse più persone in attesa di essere curate, ci sono dei bambini.

Sirio si avvicina, i volti sono assenti. Il contrasto con il rumore dell’ambiente è molto forte. Sono spaventati e silenziosi. Gli sguardi sembrano quasi sondarci per capire, sembrano chiedere perché.

Fra loro una testolina nascosta dalle sue piccole mani. E’ Sara una bambina di quattro anni, il volto è coperto di sporco.

Sirio le chiede se lo riconosce, ma lei non risponde. Si avvicina una delle poche infermiere irachene. Da quando è stata trovata tra le macerie della sua casa non ha più parlato sembra che non senta nemmeno, è completamente assente.

Gli occhi profondi e neri sono persi in uno sguardo nel nulla.

Sirio mi chiede di aiutarla, la porteremo con noi nel nostro ospedale per qualche giorno poi vedremo di trovare qualche parente. Proverò a vedere se ha qualche lesione organica, curare le ferite della psiche sarà invece molto duro.

    

Berlino

Ho  sempre voluto un figlio, una vita dentro dì me che poi avrei potuto aiutare a crescere. A cui dare e da cui prendere amore, su cui sognare. Per tanto tempo ho sperato, fino a pochi giorni prima della partenza di Marco, poi ho avuto la certezza di non poter avere figli. Ora ho Sara.

Bagdad

Il tavolo di legno scuro è più alto del viso di Sara seduta dall’altra parte. Sembra guardarmi. I suoi lunghi capelli scuri raccolti dietro la nuca sono sporchi. Gli occhi sono due perle nere, brillano, la bocca è chiusa in un silenzio che mi sconfigge, una mano è avvolta in una benda perchè nel crollo ha perso due dita.

Siamo soli, è sera,  Floriana è riuscita a farla mangiare. Ora ho il difficile compito di capirla, di aiutarla. Sirio è tornato alla sua famiglia, ha intenzione di chiedere alla moglie di adottarla nonostante tutti i figli che ha.

Prendo dalle tasche del giubbotto un pacchetto di gomme che mi erano rimaste sull’aereo e lo metto sul tavolo avvicinandolo alle mani di Sara.

Nessun gesto, nessuna risposta alle mie domande. Non ha nessuna lesione apparente, si tratta di un profondo shock.

Floriana mi chiama,  mentre mi volto, una mano dolcissima e veloce fa sparire il pacchetto di gomme.

Sirio ha voluto invitarmi di nuovo a pranzo, questa volta con Sara. I suoi figli l’hanno accolta appena entrata e portata nella loro stanza. Mentre parlo con Sirio e sua moglie la sento sorridere per la prima volta. Appena mi affaccio alla porta della stanza dei ragazzi il suo sorriso scompare come d’incanto, lasciando solo due occhi smarriti che sembrano guardarmi per la prima volta. 

E’ la prima volta che mi guarda dentro e il mio cuore sorride. Mi accorgo che i suoi occhi sono vivi, intelligenti, presenti e chiedono di capire.

Sirio mi ha offerto da fumare, e del the, tutti sorridono e ancora una volta mi sento parte di qualcosa.

 

L’ODORE DELLA VITA

Berlino

Signora lei fa l’architetto, ha una buona rendita, ma questa bimba non ha un padre. Lei ha cambiato cittadinanza da poco, sentiremo l’assistente sociale. Prenderemo una decisione per il vostro futuro. Ci rivedremo presto. Cosi’ mi hanno liquidato all’ufficio immigrazione.

 

 

 

 

Bagdad

Una bicicletta per muovermi dall’albergo all’ospedale, mi fa sentire bene. Oggi ho dovuto eseguire tre interventi, qui vicino è stato rapito un giornalista italiano. Credo di aver paura.

Mara mi ha chiamato chiedendomi di   rientrare a Roma, non ci penso proprio, qui sono indispensabile. Mi chiede se sento la sua mancanza. Forse sento la mancanza di una presenza femminile accanto a me, ma non ho il tempo per pensare.  Lavoro anche dodici ore di seguito e almeno otto in sala operatoria,inoltre qui comincia a mancare tutto il necessario.

Floriana è un medico bravissimo ed è anche molto bella. Si è accorta che a volte mi fermo a guardarla. Sono i soli momenti in cui mi rilasso, nel caos profondo di questi giorni.

Notizie di quello che succede non ne ho. Le notizie mi vengono dagli scoppi continui, dal terrore nella faccia della gente, dagli edifici smembrati, dai plotoni di marines, dai pochi giornali che parlano di prossime elezioni e  di sparizioni di occidentali, dalla guerra che tutti i giorni mi parla di sé attraverso i volti delle persone ferite.

Devo stare attento quando arrivano i rifornimenti della Croce Rossa, ho bisogno di tutto.

Ho scritto una poesia, sono un pessimo poeta, ma mi scopro romantico:

“Quando non ho niente da darti…. posso darti il mio lavoro.

Quando mi chiedi una mano…. posso darti il mio cuore.

Quando mi chiedi il pane…. posso saziarti.

Quando mi chiedi aiuto….. posso starti vicino.

Ma quando hai paura posso solo condividere la tua paura con la mia, forse contagiandoti con un sorriso”.

Sara ha cominciato a riprendersi e a legarsi a me. Spesso facciamo lunghe camminate lungo le strade vuote intorno all’ospedale. Parlare con lei mi rilassa e aggiunge un significato alla mia vita. Penso a volte di non poter stare lontano da questa bambina, la cognizione del suo dolore dà un senso al niente della mia vita.

La vita non è come uno pensa è sempre una riscoperta.

Ho deciso, prenderò contatti con il Consolato italiano e le organizzazioni umanitarie. Ho qualche amico. Sara verrà con me in Italia, dapprima per curarsi, poi vedremo. Chissà se intanto riesco a ottenerne l’affidamento.

 

 

L’Odore del diverso

E’ passato qualche mese, la mia missione a Bagdad è terminata. Sono all’aeroporto di Fiumicino. L’aereo stà per atterrare.  Mara non sa niente, non sa che nelle mie mani ci sono le mani di questa bimba addormentata. Da stasera vivrà nella nostra casa, non ho avuto nemmeno il coraggio di avvertirla.

 

 

 

 

 

Berlino

Sara a volte mi chiede di te, di come eri prima e di come era la mia vita prima che lei arrivasse, è così dolce.

 

ROMA

“Non ti capisco, non posso capire, mi porti in casa questa stracciona che non parla, malata e pretendi che io le faccia da madre. E’ una figlia che io non voglio che non sarà mai mia e poi puzza. Senti questo maledetto odore” 

Queste sono le sue prime parole all’arrivo di Sara.

La bimba è smarrita al suo arrivo in una città piena di colori, di rumori e di odori ben diversi dagli odori del suo paese. Forse odori terribili, di un mondo pur sempre affascinante per lei così piccola e indifesa.

Poi l’arrivo nella nostra grande e moderna casa e l’avversione di questa  estranea che la guarda ostile con occhi che sembrano disprezzarla.

 

I giorni passano e ogni giorno è per Sara una novità e una conquista. Conquista qualche chilo, conquista un sorriso che le riempie la giornata. Conquista anche Mara che la tiene sempre a distanza, ma che non può fare a meno di di notare la silenziosa intesa che ho con Sara e la gioia che mi da’ vederla sorridere. L’ho portata in ospedale è affidata a un equipe di psicologi. Il blocco psichico è difficile da rimuovere e si rifiuta di parlare, sembra aver dimenticato l’uso delle parole. Mi  accorgo però che è molto migliorata rispetto ai primi giorni. Mi ascolta, mi capisce, credo che stia apprendendo anche qualche parola d’italiano.

   

IL BANCOMAT

E’ ormai un anno che Sara vive con  noi, tutto è cambiato. Mara piano piano l’ha accettata come una figlia e  lei si è aperta. E’ diversa ha trovato in noi l’affetto di cui aveva bisogno.

 

“Cara, esco  con Sara a prendere un po’ di soldi al bancomat”. Ecco stiamo avvicinandoci alla  banca. Sara ha la sua mano nella mia, ma che succede, stanno picchiando una vecchia davanti al bancomat. Non posso non intervenire, chiedo a Sara di aspettarmi e urlo: “Fermi, fermi, che fate” poi  sento un dolore intenso e vedo una luce scioccante, credo mi abbiano accoltellato.

   

 BERLINO

Così finisce la storia di questo diario mai scritto, se non nella mia memoria anche attraverso i racconti di Piero che ora non c’è più. L’immagine di lui steso in una pozza di sangue con le mani racchiuse in quelle di Sara è la mia fotografia di guerra. Una guerra quotidiana combattuta nelle strade delle nostre città.

A me è rimasta mia figlia che ora dorme di là, con il suo profumo di vita che mi riempie il cuore.

Ciao Piero. 

 

 

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2 commenti »

  1. Molto forte e sentito questo racconto, Massimo. Si sentono intensi tutti gli “odori”. L’odore della guerra, della solidarietà, della generosità di Piero e della trasformazione di Mara. L’odore di Sara, questa bimba che oramai sarà pronta a tutto nella vita, essendo sopravvissuta a una guerra e all’omicidio del suo salvatore.
    Funzionale il ritmo incalzante, di tipo giornalistico, aumenta l’ansia dei contenuti. Il passaggio continuo tra Mara e Piero, che all’inizio si ha difficoltà a seguire, poi diventa naturale. Si capisce dall’inizio che Piero morirà, ma non disturba, si sente che ci sarà un “finale”.
    Una ottima lettura, grazie. Laura

  2. caspita Massimo, è bellissimo. sia per lo stile che per l’incisività di quello che scrivi.
    grazie davvero.
    ste

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