Premio Racconti nella Rete 2018 “Blu” di Micaela Francesca Comasini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018– Per oggi è tutto! Torniamo domani alla stessa ora, vi lasciamo al notiziario de… –
Spense con decisione la radio davanti a sé e, come ad averla voluta evocare, si udì bussare alla porta dello studio.
– Avanti. – invitò con tono incolore, senza sollevare gli occhi dagli appunti che stava rileggendo da almeno quindici minuti.
Sentì la maniglia scattare, prima che la figura facesse capolino oltre la soglia.
– Tesoro, io vado. Ti serve che faccia altro? –
…
– Tutti a posto, ma’, grazie. Vai pure, qui chiudo io. – alzò brevemente lo sguardo, gli occhiali appoggiati sulla punta del naso, trovandola nella solita posa: dritta, con quella sua postura elegante di cui suo padre gli aveva sempre parlato.
– Tutto bene? – gli chiese, scrutandolo attentamente.
Era preoccupata, certo. Sapeva fin troppo bene quali pensieri lo assillassero in quei giorni, ma la discrezione e la delicatezza che l’avevano sempre contraddistinta le impedivano di affrontare direttamente la questione.
– Tutto bene. – le rispose – Torna pure a casa. –
…
– D’accordo – accettò dopo qualche istante – A domani. –
– A domani. Saluta papà. –
Dopo che la porta d’ingresso si fu richiusa sospirò, allungandosi all’indietro sulla sedia e sfilandosi gli occhiali, una mano a strofinarsi gli occhi stanchi.
Era normale che sua madre si preoccupasse. Lo avrebbe fatto anche se non avesse lavorato lì e non avesse assistito all’arrivo della busta quella mattina, perché tutta la vicenda andava ben oltre quell’evento. Il fatto di averlo sott’occhio tutto il giorno sicuramente le esponeva la vera proporzione delle sue preoccupazioni. Glielo leggeva lui stesso negli occhi: ciò che stava sconvolgendo la sua vita personale la stava facendo soffrire. Neanche rabbia, come a suo fratello. Semplicemente soffrire.
La delusione che pensava di averle procurato lo tormentava, assieme alle domande a cui cercava di dare una risposta da mesi.
Come ci siamo arrivati?
Perché non mi sono accorto di nulla?
Dove ho sbagliato?
Rimase immobile per chissà quanto tempo, prima di decidersi a posare gli occhi sull’oggetto di tutto il nervosismo di quel giorno, il mento appoggiato sul palmo della mano.
“Ricordati di firmare i documenti.”
Così diceva il messaggio delle 11.30, nella chat dalle tonalità verdi contraddistinta da una foto del profilo raffigurante una lontana spiaggia estera.
Spostò lo sguardo sul fascicolo appoggiato a lato della scrivania. L’aveva lasciato lì, non appena gli era stato consegnato, e da quel momento non lo aveva toccato.
Divorzio.
Non il primo, non l’ultimo di una lunga serie nel mondo, certo. Semplicemente, non aveva mai considerato l’eventualità di vedere le carte del proprio così, nero su bianco, in un’anonima cartellina abbandonata sulla scrivania in un pomeriggio di Marzo, solo quattro anni dopo il matrimonio.
Ricordati di firmare i documenti.
La frase si ripresentò nella sua testa, tagliente e fastidiosa. Sospirò, si rimise gli occhiali e, riavvicinata la sedia alla scrivania, aprì la cartelletta.
“Per fortuna non abbiamo figli” pensò, ringraziando di poter evitare una situazione così difficile e sottolineando mentalmente uno dei punti che li aveva portati a quella decisione.
Lesse tutto per ben tre volte, la biro in mano. Era vero, doveva solo firmare. Tutto ormai era stato discusso, definito – dalle decisioni di lei, dalla stanchezza di lui.
Non ci riusciva. Forse, inconsciamente, proprio per ribellarsi a quel messaggio. Li avrebbe firmati, sì, ma non certo per suo ordine.
Fece un ultimo e vano tentativo, prima di richiudere tutto con un gesto stizzito, relegandolo all’ultimo cassetto.
Basta, per oggi.
Fece il giro dell’ufficio per chiudere le imposte, oltre che assicurarsi che fosse tutto in ordine. Cercò le chiavi nella tasca e afferrò la valigetta per tornare a casa, sforzandosi di trovare qualcosa da fare quella sera, invece che starsene da solo nella villetta vuota.
“Che fai stasera?” domandò nella chat al suo primo contatto, il cui ultimo messaggio risaliva all’ora di pranzo, quando aveva espresso la propria opinione circa i documenti arrivati.
“Esco con te”, la risposta non si fece attendere, “Per una rossa”.
Dieu merci, amico mio.
¤
Avrebbe anche potuto lasciare i documenti in macchina, chiedere di trasformare la bevuta in una cena, e ritardare…
– Scusi! –
Una voce lo distolse dai suoi pensieri, la chiave ancora infilata nella toppa. Si voltò, trovandosi davanti una ragazza che cercava faticosamente di salire gli ultimi gradini che portavano al piano, due sacchetti della spesa tra le mani e…un guinzaglio?
– Scusi, davvero, lui…Pitch! Giù! –
Abbassando gli occhi vide un cane seduto ai propri piedi e con il muso puntato verso la valigetta.
Da quando c’era un cane nel palazzo? Che ricordasse, nessuno degli inquilini ne aveva mai posseduto uno…esattamente come non ricordava di aver mai visto una ragazza lì dentro. Lo stabile era vecchio, su tre piani, tre appartamenti ciascuno, e conosceva tutti gli occupanti… sopratutto perché la maggior parte erano uffici. I singoli affittuari non erano più di due.
Un attimo. L’appartamento sopra al suo ufficio era effettivamente sfitto da almeno due anni. Che si trattasse di una nuova inquilina?
– Pitch, stai giù! – esclamò di nuovo la ragazza in direzione del cane, cercando di tenerlo d’occhio da dietro i sacchetti. – Forza, andiamo…-
Fece per salire un altro gradino con estrema cautela, dato che non aveva una buona visuale.
– Ehm…posso aiutarla? – chiese lui, notando la sua difficoltà.
– Oh no, posso…-
– Davvero, non mi costa nulla. – insistette, notando il cartone delle uova che rischiava di scivolare fuori da uno dei sacchetti, e allungando una mano per impedirne la caduta.
Accortasi del disastro appena evitato, la ragazza decise che poteva anche farsi aiutare:
– Grazie, è molto gentile da parte sua. –
Liberandola di uno dei sacchetti riuscì finalmente a vederla in viso, trovandosi davanti a dei grandi occhi scuri, messi in risalto dalla pelle chiarissima e dai lunghi capelli neri che, scendendole sulle spalle, diventavano … blu?
…
Quello sì che che non si vedeva tutti i giorni. Di certo non lì.
– Sto al piano di sopra. – gli disse, sorridendogli con fare riconoscente.
– L’appartamento dei Moreau. – ricordò – Cioè, fino a due anni fa. –
– Può essere. Mi pare che l’agenzia abbia fatto un nome del genere. –
…
– È qui da tanto? – le domandò nel salire le scale, gli occhi puntati sulle onde sfumate dei capelli lungo la schiena, chiedendosi come avesse fatto a non vederla prima.
– Un paio di giorni. Mi sto ancora sistemando… questa è la mia prima spesa ufficiale! – esclamò con entusiasmo palpabile.
Senza che potesse vederlo, guardò dentro al sacchetto che aveva in mano: biscotti, budini, succo di frutta…ah no! C’erano anche della carne e un paio di mele. Si augurò mentalmente che nell’altro ci fosse della verdura, prima di darsi dello stupido: era comunque meglio della sua, di spesa, a base di piatti pronti, surgelata o avanzi dalle cene a casa dei suoi.
– Benvenuta, allora. – si limitò a dire, mentre arrivavano davanti alla porta di legno scuro che dava accesso al 4B, proprio l’appartamento dei Moreau.
– Grazie! Lei invece sta al primo piano? –
– Io… diciamo di sì. C’è il mio ufficio, qui sotto. Io abito altrove. –
– Capisco. Spero di non disturbarla troppo. –
– A essere onesti, non mi ero nemmeno accorto che l’agenzia avesse fatto visitare l’appartamento e che qualcuno vi fosse effettivamente entrato. – ammise.
Ho altro per la testa.
– Solo perché non ho ancora installato lo stereo. – fece lei con un sorriso.
Era una battuta? Per un istante, l’ipotesi di avere musica al massimo volume durante gli orari di lavoro lo preoccupò. Per non parlare del cane. Avrebbe abbaiato tutto il giorno?
– Scherzo. – si affrettò a rassicurarlo la ragazza, forse notando la sua perplessità – Per fortuna hanno inventato le cuffie. –
-Oh…sì. È che qui lavorano più o meno tutti e…-
Stava davvero dicendo una frase simile? Era forse invecchiato tutto d’un colpo?
“Non c’è più la scintilla. Non te ne sei accorto?”
Non era il momento di pensarci, adesso.
– Lo capisco. – fu la replica gentile – Con un po’ di fortuna non resterò molto tempo in casa. Forse nemmeno qui. –
– Oh. – da qualche parte, in un luogo che non avrebbe saputo definire, una parte di lui se ne dispiacque – Come mai? –
– Ho la tendenza a non stare troppo a lungo nello stesso posto. Soprattutto negli ultimi tempi. –
Decise di non indagare oltre, e lei non aggiunse altro. Aprì la porta, appoggiò il sacchetto poco oltre la soglia e sfilò il guinzaglio al cane, che fu ben felice di correre libero dentro all’appartamento. Dopodiché, si voltò per prendergli la seconda busta dalle mani.
– Grazie mille…-
– Ronan. –
In fondo, non si erano ancora presentati.
– Grazie, Ronan. – ripeté lei con un lieve sorriso – Io sono Madeleine. –
La luce del sole morente che filtrava dalla finestra del pianerottolo le colorava la pelle del viso di una sfumatura ambrata, facendole risaltare gli occhi.
– Spero di non fare troppo rumore, nei prossimi giorni. – gli disse, prima di gettare un’occhiata all’interno e sentenziare: – Meglio che dia da mangiare a Pitch. Non gli piace aspettare. Suppongo che ci vedremo in giro. –
– Probabilmente, sì. – annuì, sistemandosi la giacca e riuscendo a sorriderle – La lascio a Pitch, allora. –
– A presto Ronan. E grazie di nuovo! –
– Di niente. A presto. – la salutò, voltandosi e sentendo la porta che veniva chiusa con un doppio scatto.
Scese le scale, superò il proprio ufficio, arrivò a pianoterra e uscì sul marciapiede. I lampioni cominciavano ad illuminarsi, preparando la città all’arrivo della sera. Tirava una leggera brezza fresca, come une carezza gentile dopo le forti piogge delle settimane precedenti.
Solo due giorni prima la primavera appariva ben lontana dall’arrivare. In quel momento invece sembrava che fosse perfettamente in orario, pronta a spazzare via il lungo e rigido inverno di quell’anno, così inusuale per quella città.
Nessuno, lui compreso, ci era abituato. Forse anche per quello il tempo era sembrato non trascorrere mai, affossandogli il morale più di quanto i singoli avvenimenti di quel periodo non avessero già fatto.
Ma ora…
Contro il suo fianco, il cellulare vibrò. Guardò la chat consultata poco prima: il messaggio che aveva ipotizzato di mandare, anticipato dal suo interlocutore.
“Senti, ma se andassimo fuori a cena?”
“Ti aspetto in piazza.”digitò, un’onda di leggerezza che lo pervase in modo inaspettato.
Una buona chiacchierata, del buon vino, la primavera in arrivo. Ecco quello che gli ci voleva.
Di umore del tutto diverso, si incamminò dimentico della casa vuota, dell’espressione di sua madre e soprattutto, di quella cartellina verde chiaro, abbandonata in un ufficio che di colpo sembrava un po’ meno cupo.