Premio Racconti nella Rete 2010 “La religione ‘tanguera’” di Elio Rogati
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010
Può un ballo essere allo stesso tempo divertimento, seduzione, esaltazione, malinconia, orgoglio, follia d’amore, filosofia di vita e di morte, incontro di anime e corpi, muta comunicazione tra uomo e donna, comunione di sensi e sentimenti, rivelazione della propria pesonalità, passione e morte , cosmogonia sentimentale, arroganza di un maschio che trascina e sottomette una donna che subisce, consapevole tristezza della brevità della vita, denuncia di miserie e sopraffazioni?
Non lo avrei mai creduto, ma è così: il tango argentino è tutto questo e altro ancora.
Quando sono arrivato a Buenos Aires la prima volta, ho fatto come gli altri turisti, ho prenotato una serata in un locale tipico: El viejo Almacen.
La esquina mundial del tango – così è definito il locale – sorge all’incrocio tra Independencia y Balcarce, nel quartiere di San Telmo, uno dei più antichi e caratteristici della capitale. E’ stato ristrutturato come un minuscolo teatro, con tanto di platea e galleria, ambedue invase da tavolini per le consumazioni. Il palcoscenico è piccolissimo e si restringe ancora di più quando entrano i musicisti: un pianista, un violinista e un bandeonista. Mi ci ha portato Malena Pugliese, una guida turistica portena , nipote di un vecchio immigrato italiano di inizio novecento, di origini salentine.
Malena è donna di cultura, laureata in economia ma non trova lavoro e sbarca il lunario accompagnando i turisti. “Qui l’economia va male – mi dice. E’ sempre andata male sin dai tempi di Peron. Agganciare il peso al dollaro americano serve solo per gli affari dei padroni e adesso che gli Stati Uniti sono in recessione, le cose in Argentina vanno ancora peggio. Il mese scorso c’è stato quasi un assalto alle banche: i risparmiatori impauriti hanno ritirato tutti i loro depositi”.
Malena è ben conosciuta al viejo Almacen: tavolino di prima fila, nessuno meglio di noi. I camerieri in camicia bianca, pantaloni neri e panciotto rosso ricamato si aggirano veloci tra i tavolini e le sedie urtando qua e là. Con leggero ritardo entrano i musicanti e attaccano una indiavolata Cumparsita. L’atmosfera si scalda. Ecco la prima coppia di ballerini: il tanguero vestito tutto di bianco, scarpe, pantaloni, giacca doppiopetto, camicia, solo la cravatta è blu cobalto; la tanguera ha una camicetta rosa trasparente ed una gonna acquamarina fino ai piedi con un spacco vertiginoso che arriva all’inguine, capelli neri e lisci raccolti in una lunga treccia, scarpe tacco alto speciali per il tango. Non sono giovanissimi, ma pare che per diventare molto bravi siano necessari anni ed anni di esperienza.
I ballerini cominciano lentamente: lui cinge la vita della donna che tiene la schiena all’indietro e il petto all’infuori; non si toccano. E poi a mano a mano che il ritmo sale e si impenna è tutto un susseguirsi di giravolte, incroci di gambe, lei scalcia velocissimamente tra quelle di lui, ma non si impigliano, ci sanno fare. Descrivere le figure del tango è impossibile, se figure esistono, perché i tangueri più accreditati sostengono che il tango è improvvisazione, geniale invenzione del momento da parte di chi “sente e vive” la musica e il suo pathos; e per questo ogni giro di danza non è ripetibile, perché sempre nuovo. L’uomo comanda, la donna obbedisce e segue. Anche in questo il tango è l’icona di un ‘Argentina di fine ottocento quando le banchine del porto sul Rio de la Plata registravano continui sbarchi di immigrati da ogni parte d’Europa, soprattutto Italia e Spagna. E tristezza, malinconia, disperazione che sono sempre presenti nelle note e nelle parole del tango riflettono i sentimenti, le speranze, le paure di tutti coloro che, lasciando il paese natio, impattavano – dopo un lungo ed estenuante viaggio attraverso l’oceano – una realtà del tutto diversa e difficile. L’unica molla per sopravvivere era il ricordo della miseria da cui ogni emigrante era fuggito; di qui la speranza di un futuro migliore, spesso delusa da lavori onerosi, malpagati , da soperchierie e tante malattie che non si potevano curare per mancanza di soldi. Miserie dell’antica patria trasferite sulle sponde del Rio de la Plata.
Il tango non è un ballo come gli altri che ci sono in giro per il mondo. Il tango “è” Buenos Aires, l’Argentina, la sua anima, la sua storia. Per questo l’UNESCO il 30 settembre 2009 l’ha dichiarato “patrimonio culturale dell’umanità”. E di cultura il tango ne ha ispirata parecchia perché sono molti gli scrittori, i poeti, perfino i musicisti di musica classica che hanno celebrato quel mix unico di anima e corpo, musica e danza che è il tango argentino.
“I ballerini qui sono tutti bravi – sussurra Malena. Per loro più che un lavoro è un divertimento e ci mettono tutta la passione che hanno dentro. Sanno che il mondo li guarda e, attraverso loro, guarda l’Argentina. Qui sono venuti tanti illustri personaggi, anche il re e la regina di Spagna, Juan Carlos e Sofia”.
Sale sul piccolo palco una seconda coppia, e poi una terza, perfino una quarta e, dopo gli “a solo”, ballano insieme in un incredibile velocissimo vortice che si snoda in pochi metri quadrati, coreografie di un puzzle d’arte in cui ognuno ha il suo posto riservato ma continuamente diverso. E nel viejo Almacen risuonano le note e le poesie delle più belle musiche tanguere: Caminito, Malena, Solo, Desde el alma, A media luz, El dia que me quieras, Volver, Verano porteno. Ad ogni nuovo pezzo, la mia accompagnatrice mi suggerisce il titolo ed io cerco di annotarlo sulla Moleskyne, in fretta per non perdere un attimo di quelle gambe impazzite e di quei profili dolci o severi ma sempre concentrati degli artisti, interpreti di una umanità povera e angosciata che solo nel tango sa esprimersi al meglio. Le danze, anche quelle classiche, sono l’espressione di un genio compositore. Nel tango chi compone e ispira è la gente comune: è qui che sono venuti a chiedere suggerimenti e ispirazione musicisti e poeti del tango, come Osvaldo Pugliese, Anibal Troilo, Carlos di Sarli, Francisco de Caro e il celeberrimo Astor Piazzolla, anche lui oriundo pugliese, e tanti altri. Con loro il tango è diventato una musica nazionale, conosciuta in tutto il mondo. Quando uno dei più noti interpreti, Carlos Gardel, morì in un incidente aereo in Columbia a soli 45 anni, l’Argentina si mise a lutto e in varie parti delle Americhe alcune donne, sconvolte, si suicidarono.
Quando usciamo dal locale, l’aria è tiepida e appena ventilata e mentre aspettiamo un taxi per rientrare all’hotel Pestana, Malena mi racconta qualcosa sulle origini del tango. “Sono un po’ misteriose – mi dice. Se ne hanno notizie negli ultimi due decenni dell’ottocento, insieme ad altri due balli: l’”habanera” portata qui da marinai provenienti da Cuba e il “candombe” degli indigeni, ormai scomparsi. E’ nato sulle due rive del Rio de la Plata, ma al di là, in Uruguay, non ha avuto un grande sviluppo. Il tango è soprattutto italiano, il suo linguaggio era quello degli immigrati poveri di inizio novecento, la sua musica contiene tutta la loro tristezza. Non è un caso che la maggior parte dei migliori compositori sia italiana. Enrique Discepolo ha scritto che il tango “è un pensiero triste che si balla”, il pensiero di tradimenti, abbandoni, partenze, morte, dolore: c’è tutta l’Italia povera di inizio novecento. Naturalmente col tempo molte cose sono cambiate”.
Il taxi è arrivato . “Domani ne parliamo ancora”.
L’indomani, di ritorno da una lunga passeggiata dalla plaza de Mayo, resa tristemente celebre dalle tante manifestazioni delle madri dei desaparecidos, riprendiamo il discorso davanti al Caffè Tortoni.
E’ un locale storico, un po’ come il Caffè Greco a Roma. Una targa d’ottone sulla strada ricorda l’anno dell’inaugurazione: 1858. Centocinquantanni. E li dimostra tutti: cristalli, boiseries Art Deco, lampade dello stesso stile, quadri, stampe e fotografie alle pareti che ricordano eventi storici ma soprattutto frequentatori illustri, tra i quali riconosco Luigi Pirandello, Arthur Rubinstein, Federico Garcia Lorca e Jorge Luis Borges. Le porte sono a doppi battenti con maniglioni di ottone che scendono a serpente, identici a quelli che l’architetto Basile ha messo agli ingressi di Montecitorio, a Roma.
Sul marciapiede c’è una lunga fila di persone in attesa di un tavolo; perché al Caffè Tortoni si può mangiare a qualsiasi ora, oppure ci si va per un seplice caffè curtado con tante chiacchiere intorno. Un’altra fila è in attesa dello spettacolo pomeridiano di tango in una sala interna e riservata del locale. Noi non abbiamo prenotazione, ma Malena è conosciuta anche lì e otteniamo un piccolo tavolo sotto il piccolissimo palco.
“Quello che stiamo per vedere – mi dice la ragazza – è un tango un po’ addomesticato, che segue le nuove tendenze, perché di stili ne son venuti fuori parecchi. Per la tradizione portena del tango bisogna andare nelle milongas. Comunque è uno spettacolo lo stesso divertente e poi ci sono cantanti formidabili, sono gli stessi ballerini”. Ordino un dulce de leche, specialità della casa.Nella piccola sala risuonano piacevolmente le note del piano, del violino e soprattutto del bandeon, una piccola fisarmonica di legno portata in Argentina molto tempo fa, pare da un tedesco. E le parole delle varie composizioni non parlano soltanto di dolore e miseria, ma anche di allegria, amore e speranza. E’ l’altra faccia del tango, quella meno pessimista e tragica che si è venuta affermando più tardi nel tempo. E’ il tango di chi canta l’amore: “Yo no se que me han echo tus ojos – flores del alma – corazon de oro – sonar y nada mas – desde del alma”.
Ma prima di lasciare Buenos Aires, volevo conoscere il vero tango porteno, quello che gli abitanti della capitale riservano per se stessi, lontano dagli occhi dei turisti. E così la sera prima della partenza siamo andati in una milonga non lontana da Caminito.
Una grande sala rettangolare, squallida, con panche di legno addossate alle pareti e luci fioche, sul risparmio. Poca gente, era un mercoledi. Le donne erano quasi tutte da una parte e gli uomini da un’altra, ma c’erano anche coppie che sedevano insieme. E lì si usava ancora l’antico rituale: i maschi sceglievano con lo sguardo una donna e la fissavano; lei poteva far finta di niente oppure restituire lo sguardo amichevole. Allora l’uomo si alzava e la invitava a ballare. Erano quattro balli di seguito, poi i musicanti si fermavano per qualche minuto e gli improvvisati ballerini tornavano al loro posto. Che tristezza! Nessun giovane, tutte persone di una certa età. E nelle parole dei tanghi non si parlava più di amore e speranza, ma solo di una desolata malinconica rassegnata tristezza: “ Caminito que todas las tardes – feliz recorria cantando mi amor – no le digas, si vuelve a pasar – que mi llanto tu suelo regò –Caminito cubierto de cardos – la mano del tiempo tu huella borrò –yo a tu lado quisiera caer – y que el tiempo nos mate a los dos”.
Il tango argentino, nelle sue molteplici espressioni stilistiche ha avuto in questi ultimi anni un enorme successo in Italia, dove nascono in continuazione nelle piccole e grandi città scuole di ballo. E’ sicuramente una bella esperienza, ma per i portenos il tango è qualcosa di più, molto di più: è la loro storia, la loro anima, il loro essere più profondo, umano e spirituale, è la loro religione: la religione tanguera.
Scoprire che dietro ad un ballo ci sia un mondo così profondo e coinvolgente è meraviglioso.Spesso ci si sofferma all’aspetto estetico delle cose ma per fortuna leggendo queste righe ho imparato molte cose che mi permetteranno d’ora in poi di guardare questo ballo vivendolo non solo con gli occhi.
Bravo!
Se il mio breve racconto può spingere il lettore a guardare con occhi diversi una piccola realtà come il tango argentino per me è già una soddisfazione. Grazie per il commento.