Racconti nella Rete 2009 “La mappa del tesoro” di Enrico Bagnato
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Il dottor Manuel Molina era sul punto di congedarsi: era la terza visita che faceva a padre Juan Fonte negli ultimi due mesi ed era molto soddifatto di aver trovato il frate del tutto ristabilito.
– Grazie delle tue affettuose premure. – disse padre Juan. – Con l’aiuto di Dio e la tua arte medica il male che mi stava portando alla tomba è stato sconfitto. Ma, alla mia veneranda età, ne resto ugualmente sospeso sull’orlo.
– Padre, non dica così, adesso è in perfetta salute, e non metta limiti alla Provvidenza!
– Mio buon Manuel, lascia che il tuo vecchio istitutore si esprima in termini di quel realismo logico che tanto ti affascinava nell’adolescenza.
– Padre Juan, io faccio voti di raggiungere la sua età, di godere delle sue condizioni di salute e, soprattutto, del medesimo favore del Cielo.
– Mio caro, avrai le mie preghiere per queste tue giuste aspirazioni. Come sai, la regola francescana vieta il possesso di beni personali, perciò non ho niente di prezioso per rimunerarti come meriti; desidero però lasciarti un piccolo dono che, ne sono certo, apprezzerai e sicuramente conserverai come segno della mia riconoscenza e in ricordo del mio paterno affetto. Su questo scaffale vi sono alcuni vecchi libri di navigazione che anni fa alcuni indios rinvenirono sul relitto di una nave corsara naufragata durante una terribile tempesta sulle scogliere proprio qui, davanti a San Juan, e che mi donarono. Prendili, sono tuoi. Oltre che medico, sei un valente uomo di mare e di sicuro…
– Sono scritti in inglese – disse il dottore che frattanto ne aveva rapidamente sfogliato un paio. – Appartenevano a un corsaro inglese. Non sono trascorsi molti anni, da quando il trattato di Utrecht del 1713 ha messo al bando la guerra di corsa. Grazie, padre Juan, sono libri davvero interessanti per un appassionato del mare e della navigazione qual sono.
– Come sta la bella Ermelinda? chiese il francescano.
– Bene in salute, ma è sempre un po’ triste a causa della solitaria vita che conduce ormai da dieci anni, da quando ha perso la madre. Per la mia professione sto fuori pressocché tutto l’anno. La sua e la mia speranza è che presto possa convolare a nozze con un degno giovane. Benché io abbia l’età per ritirarmi, continuo il lavoro di medico di bordo per fornire una maggiore consistenza alla sua dote. Manco da casa da sei mesi e non vedo l’ora di tornare a Hispaniola, ma il bastimento non vi farà ritorno prima di altri sei. A bordo ho un malato di cui debbo occuparmi, perciò, con rammarico, padre Juan, prendo congedo – disse il dottore e, afferrata la destra del frate, fece l’atto di baciarla. Padre Juan rapido ritirò la mano e strinse a sé l’antico allievo con un forte abbraccio.
Il dottor Molina, era nato nell’isola di Hispaniola e vi risiedeva, a Puerto Plata, aveva cinquantatre anni, e da oltre venti prestava servizio su navi mercantili lungo le rotte delle Antille, e ogni volta che il bastimento faceva scalo nel porto di San Juan, in Portorico, non mancava di fare visita a colui che era stato il suo istitutore nel collegio dei francescani della capitale di Hispaniola, Santo Domingo, dove aveva frequentato le scuole. In seguito, padre Juan era stato trasferito a San Juan, con l’incarico di rettore del collegio annesso al convento di Nostra Signora del Mare.
Tornato a bordo dell’Assuncion, che immediatamente aveva fatto vela per le Barbados, il dottor Molina, dopo aver visitato l’infermo, era andato nella sua cabina e si era messo a esaminare, leggendovi a salti, la dozzina di volumi donatigli da padre Juan. Preso in mano uno di essi, notò un gonfiore all’interno della copertina. Con un temperino incise il foglio di risguardo e ne trasse un foglio di carta piegato in quattro. Apertolo, con somma sorpresa, constatò che si trattava della mappa di un tesoro.
La dicitura era in inglese e indicava in Barbuda l’isola dove i pirati avevano nascosto sette forzieri contenenti dobloni d’oro e gioielli. Il nascondiglio indicato era una caverna sul fianco est del colle su cui sorge il faro di Codrington, la capitale dell’isola. Nella mappa la caverna era indicata come riconoscibile per la forma triangolare dell’imboccatura e per il colore giallastro del blocco esterno di arenaria, un colore diverso dai circostanti costoni di grige rocce in cui si aprono altre caverne. I forzieri erano sotterrati alla profondità di un metro e mezzo dal piano della caverna in corrispondenza di un grosso masso in forma di tronco di cono sporgente dalla volta.
Bussato un colpo alla porta della cabina, sulla soglia si affacciò il nostromo che invitò il dottore ad accorrere al capezzale del passeggero infermo le cui condizioni si erano improvvisamente aggravate. Molina rapidamente ripiegò la mappa, la infilò nella copertina del libro e con passo celere seguì il nostromo. Per la fretta non si avvide che un lembo della mappa fuoriusciva dal libro. Di lì a poco, anche il capitano della nave, ignorando di essere stato preceduto dal nostromo, si precipitò nella cabina del dottore per invitarlo ad accorrere dal passeggero. Un marinaio che di lì passava lo informò che il dottore vi si era già recato. Il capitano allora indugiò con lo sguardo sulla dozzina di vecchi libri impilati sulla scrivania e scorse il lembo della mappa ripiegata che fuoriusciva dall’unico volume non impilato. Spinto dalla curiosità, si avvicinò, con le unghie agganciò il lembo sporgente ed estrasse la mappa ripiegata.
Disteso il foglio e scorto quello che vi conteneva, sentì balzargli il cuore in petto. Dopo averla riletta una seconda volta, rimise la mappa al suo posto e lestamente uscì dalla cabina. Una sarabanda di torbidi pensieri prese a danzargli nella mente. A quarantaquattro anni, Alvaro Gomez era profondamente scontento del suo navigare in su e in giù tra i porti delle Antille, un lavoro che lo impegnava ormai da troppi anni, e sognava invece di condurre una vita lussuosa e godereccia nel Nuovo Mondo e in Europa, corroborato in questa aspirazione dai racconti di bella vita che di frequente gli capitava di ascoltare dai passeggeri. L’idea che come un nero pipistrello gli volteggiava in testa era che, se avesse messo le mani sul tesoro indicato nella mappa, avrebbe trasformato quel sogno in realtà. La sarabanda di scellerati pensieri che gli turbinavano in capo si bloccò infine su un preciso disegno criminoso che prese corpo e gli si stampò nitidamente nel cervello.
Quando l’Assuncion approdò nel porto di Fort de France, nell’isola di Martinica, il dottor Molina si recò in visita dall’amico Rafael Bandeira. Suo coetaneo, celibe, anch’egli medico di bordo, Bandeira cinque mesi prima aveva informato con lettera l’amico di un incidente occorsogli in viaggio che gli aveva causato multiple fratture alle gambe, dal quale stimava si sarebbe ristabilito in sei mesi. Perciò Molina trovò Bandeira in casa. Recava con sé una lettera indirizzata alla figlia che affidò all’amico affinché la recapitasse a Ermelinda quando avesse ripreso il servizio e fatto scalo a Port Plata. Presumibilmente, avrebbe consegnato la lettera non più tardi di un mese, gli assicurò Bandeira, mentre nel patio, seduti l’uno di fronte all’altro in comode poltrone, entrambi sorseggiavano dell’ottimo rhum protetti dai raggi del sole dalle grandi foglie di un banano, con un sottofondo di chiocciante cicaleccio di variopinti pappagalli che svolazzavano dentro un’ampia voliera. Un giovane domestico indio, dal tratto compassato, sostava a breve distanza pronto a eseguire gli ordini del padrone. L’ospite, sorridendo tra sé, ne paragonò l’atteggiamento a un’improbabile imitazione delle tipiche maniere di un maggiordomo inglese. Nella lettera Molina, prudentemente non scendendo in particolari, informava la figlia che un inaspettato colpo di fortuna presto gli avrebbe consentito di fornirle una dote sontuosa e, di conseguenza, di farla convolare a nozze con il migliore dei partiti. Egli avrebbe fatto di tutto e sarebbe ricorso a ogni mezzo per conseguire l’esito della buona sorte. In caso avverso – concludeva -, avrebbe comunque messo nelle mani della figlia lo strumento con cui lei stessa realizzerebbe la sua fortuna .
L’Assuncion era salpato da fort de France nel pomeriggio di quello stesso giorno e, sul far della sera, nel mezzo del canale di Saint Lucia, il tratto di mare che separa l’omonima isola da Martinica, incappò in un tempesta. Allora il capitano Gomez decise che era giunto il momento di mandare a effetto il suo piano per impossessarsi della mappa di Molina e del tesoro ivi descritto. Poco dopo mezzanotte, svegliò il dottore invitandolo ad accorrere immediatamente sul ponte per soccorrere un marinaio caduto dall’albero di maestra mentre toglieva mani di terzaroli al controvelaccio.
Salirono insieme dal boccaporto di poppa sul ponte tra i fischi del vento e le sferzate di spuma che attraversavano da banda a banda il bastimento, che rollava e beccheggiava sballottato da altissime nere onde susseguentisi senza sosta. Fianco a fianco essi avanzarono rapidi verso l’albero di maestra. Il dottore costeggiava la murata e alla scarsa luce di un fanale scrutava innanzi per scorgere l’infortunato. Ma non vide nessuno. Allora Molina girò il capo verso il capitano e gli chiese dove fosse il marinaio. Senza dare risposta, Gomez repentinamente afferrò per la vita il dottore e, sollevatolo di peso, lo scagliò oltre la murata. Con un grido disperato Molina scomparve inghiottito dai flutti.
Ermelinda ebbe la notizia, che Gomez senza indugio le comunicò, della disgrazia che l’aveva privata del genitore. L’infelice giovane si vestì a lutto e non uscì più di casa, il disbrigo di tutte le incombenze esterne le affidò alla fida domestica india. Ella trascorreva le giornate pregando; spesso, seduta allo scrittorio, rileggeva versando lacrime le affettuose lettere che il padre le aveva inviato durante tutti quegli anni, oppure leggeva un qualche libro di edificazione.
Nuovamente ella provò un grande dolore, misto però a gioia, allorché, non molti giorni dopo il messaggio del capitano Gomez, ricevette la lettera scrittale dal padre, che il dottor Bandeira, avendo fatto scalo a Puerto Plata la nave su cui era imbarcato, le fece recapitare da un marinaio, non potendo egli consegnarla di persona per non sforzare le gambe.
Ermelinda non comprese interamente il tenore della lettera. Capì che l’occasione fortunata di cui il padre scriveva era sfumata con la sua morte e, insieme con essa, la possibilità per lei di fare un prestigioso matrimonio. Ma che cosa suo padre intendesse scrivendo che, in caso avverso, avrebbe messo nelle sue mani lo strumento affinché lei stessa realizzasse la sua fortuna, le restava del tutto oscuro.
Intanto il capitano Gomez si era licenziato, aveva noleggiato un veliero e, da Santo Domingo, città in cui risiedeva, era partito diretto a Barbuda per mettere le mani sul tesoro della mappa sottratta al dottor Molina. Dopo un tratto di navigazione con condizioni meteorologiche perfette, in corrispondenza delle isole Vergini, si scatenò una tempesta tropicale. Era all’incirca mezzanotte, quando Gomez sostituì il timoniere prendendone il posto: fidava nella sua abilità e esperienza per tener testa alla furia del vento e mantenere la prua al traverso delle enormi onde. Improvvisamente, tra le raffiche, sotto la scrosciante pioggia, nel buio trapassato da vivide sciabolate di lampi seguiti dal fragore dei tuoni, udì a tribordo una voce scandire il suo nome. Girò il capo e scorse poco oltre la murata, come risalita dal mare, una figura umana con indistinguibili i tratti del volto che lo fissava con fosforescenti occhi, di un lugubre colore azzurro-violetto, simile alla luminescente smaltatura che le miriadi di noctiluche fanno di notte sul mare.
La figura, muovendosi come in sospensione nell’aria, si accostò a Gomez che, in preda a un parossistico terrore scartò di lato finendo a ridosso della murata. La misteriosa figura immediatamente gli fu sopra e tuffò in quelli del capitano i calcinanti occhi che bruciavano di un freddo fuoco. Gomez, sentendosi rizzare i capelli sul capo, riconobbe nei tratti baluginanti del volto che galleggiava di fronte al suo la fisionomia di Manuel Molina. – Dottor Molina, siete voi!… – balbettò il capitano. Storcendo orribilmente la bocca la figura rispose: – Sono Molina e vengo a riprendermi la mappa per consegnarla a mia figlia e per vendicare il mio assassinio! – Ciò detto, fulmineamente allungò le braccia, artigliò ai fianchi il capitano e, sollevatolo, lo scagliò nel mare tempestoso. Gomez precipitò e scomparve con un inumano urlo nei tumultuosi gorghi.
Quella mattina Ermelinda si svegliò, come non le accadeva ormai da tempo, assolutarmente serena. Più tardi, si diresse allo scrittoio per prendere un libro di devozioni, e vi scorse, dispiegata sul piano, la mappa di un tesoro. Immediatamente capì come e perché fosse giunta fin lì. La prese tra le mani e la lesse con un felice sbalordimento. Poi chiamò la domestica. – Inès, – disse – Prepariamoci ad uscire. Debbo far celebrare una messa di suffragio per l’anima benedetta del mio povero padre.
Un racconto avvincente che mi ha riportata alle storie di pirati e capitani dell’infanzia. Forse il finale necessitava di qualche altra parola. Ma, quel dire e non dire, fa certamente presa sul lettore. Complimenti di cuore per la scrittura fluida e competente e in bocca al lupo sinceri per il concorso che rappresenta una bellissima esperienza.