Premio Racconti nella Rete 2010 “Il pugile padre” di Ferdinando Tricarico
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Concentrazione, più concentrazione, lì è un attimo che ti distrai e puff sei al tappeto.
Il bersaglio deve essere la tua fissazione.
La mascella, il naso, la tempia per il più classico dei knock down.
I fianchi per fiaccarlo alla distanza. Il plesso solare per tagliargli il fiato e vederlo inatteso al suolo come un sacco svuotato.
Il maestro trafelava indicazioni sul ring di quella sudicia e palestra di provincia che aveva sfornato campioni d’ogni peso e livello.
Grande pugilatore Masto, tracagnotto, oramai la pancia come un pungiball magnum e il volto tipicamente sfigurato da anni di cazzotti ad alto e infimo livello.
La nobile arte di fare a pugni con eleganza ed intelligenza lo aveva modellato.
Il naso come un peperone schiattato, i tic da uomo frastornato, eternamente paliato, il sudore perenne come dopo un allenamento anche senza muoversi dallo scanno dei secondi, il linguaggio assai stereotipato, insomma un vocabolario di oh oh, destr sinistr, fischi, mugugni e disarticolazioni vocali varie.
Enzo era il suo allievo preferito anche se non lo dava a vedere perché la regola era che per lui erano tutti uguali.
E di quante regole e sacrifici era fatto il suo lavoro nemmeno lo si può immaginare.
Il suo compito principale era appunto quello di trasmettere regole e spirito di sacrificio, di inculcare anche con tante sportive mazzate, una morale.
Enzo era un cavallo di razza. Di quei giovani talenti difficilmente addomesticabile.
Dotato in maniera straordinaria.
Madre natura gli aveva regalato un fisico agile e potente, la sorte d’una vita strana un carattere particolare, solido ma in maniera davvero singolare.
Ed infatti falliva da anni tutti i grandi appuntamenti. Veniva meno nei frangenti determinanti.
Vinceva a mani basse, quindi con la guardia scoperta, tutti i match d’approccio, i tornei di preparazione, anche europei e mondiali. Trionfi no contest tutto l’anno. Sconfiggeva fior di campioni quando non c’era nulla in palio.
Aveva sbancato Parigi ne “la rivelazione dell’anno”, Praga ne “il re dei dilettanti”, New York ne “il guantone del futuro”.
Passato professionista, però, perdeva sistematicamente gli incontri per il titolo, per la consacrazione ,quelli con la borsa pesante e il titolo di campione ,senza quasi neanche combattere.
Andava in amnesia totale, le gambe tremavano, facevano giacomo giacomo, i colpi non partivano, rimaneva rigido, bloccato.
Nemmeno il peggiore dei brocchi, quelli con le carriere inventate con incontri comodi ma molto pubblicizzati, quando sul piatto c’era il cinturone, facevano figure barbine come Enzo.
Uno splendido perdente? Il maestro non ne era convinto, non lo considerava tale . Un pò di tutto tranne che perdente dichiarava. Non ha il fatidico istinto del killer, che differenzia un talento da un campione? Nemmeno questo lo convinceva , piuttosto un assassino naturale e non un killer, un terminator istintivo e non un sicario a pagamento.
Eppure con quell’andazzo sarebbe finito al circo e non nel guiness dei primati.
A fare il pagliaccio e non il boxeur leggendario.
Tutto aveva visto in quel mondo di matti il maestro eppure non ci si raccapezzava.
Il trainer più solido, più credibile, più pragmatico, il più duro in Italia, non poteva tollerare che un pugile su cui si era impuntato fosse una comparsata.
Meglio una scartina che un senza palle, meglio una sola che una signorina.
Masto era uomo di sostanza, un sergente di ferro, un massiccio biquadratico.
Aveva stroncato fior di damerini senza capacità di soffrire.
Sotto le sue grinfie avevano rinunciato uomini ruvidissimi e apparentemente inscalfibili.
Ma con Enzo non ci capiva più niente.
Gancio, montante, destro, gancio sinistro, guardia destra .
In allenamento Enzo era una furia, incrociava i guantoni con pugili di categoria notevolmente superiori.
Era un welter naturale, non sforava mai i 65kg e niente diete particolari.
Un fascio di muscoli, non un filo di grasso di fronte al quale i massimi in quella palestra facevano la figura dei babbasoni.
Si sbriciolavano come colossi d’argilla e poi qualcuno di questi vinceva pure il titolo mondiale.
Enzo sapeva solo ricominciare.
Ricostruire sulle macerie di una casa mai finita.
Enzo era sempre pronto a ripartire per un altro traguardo proprio poco prima della fine del match decisivo.
Questo era il suo segreto, la sua forza e la sua debolezza.
Era tutto fuorché un perdente sosteneva il maestro ma non aveva il colpo decisivo.
Non si capiva il perché.
Era troppo buono, troppo coraggioso, troppo impaurito, troppo vile.
Con la corda era un funambolo.
Una rapidità di gambe impressionante.
L’unico in grado in quello squallido paese di fare rivivere i miti americani.
Incroci, saltelli con ginocchia a ics,a ipsilon, a zeta.
Quando arrivavano le telecamere si scatenava, sembrava non provasse alcun imbarazzo, si esaltava.
Prima dei grandi eventi passavano filmati che spaventavano gli avversari e lo facevano considerare sempre il grande favorito.
Nei primi anni di attività il nostro predestinato vinceva troppofacile per il maestro.
Allora lui che non aveva mai truccato un incontro, che aveva sempre rispettato il regolamento pur non rinunciando mai alle astuzie del mestiere, era arrivato a sfavorire il suo pupillo, pur di vederlo vincere soffrendo, leccando le corde.
Una volta gli aveva riempito l’ultimo strato dei guantoni, quello che aderisce direttamente alle nocche, di granone.
Enzo aveva vinto con la mano sanguinante e col sorriso sulle labbra.
Una volta aveva prestato servizio ed esperienza ad un avversario fortissimo ma dal taglio facile.
Cambiando angolo aveva spalmato pomate speciali sulle arcate sopracciliari e gli zigomi di costui.
Niente. Aveva il guantone viscoso e prensile Enzo.
Come gli estrosi e i campioni predestinati portava le scarpette con striscette penzoloni.
Una volta gliele aveva applicate più lunghe così che vi inciampasse.
Andò al tappeto due ,tre volte.Due punti all’avversario ogni volta.
Peggio,ogni volta si era alzato più arrabbiato e aveva riempito il povero beneficiato di botte.
E non parliamo delle sevizie psicologiche che aveva ordito per metterlo alla prova.
Quel ragazzo che stai affrontando ha perso i genitori da poco per un terribile incidente automobilistico. In quest’incontro si sta giocando la sua unica chance di futuro, con i soldi della borsa deve pagarsi l’iscrizione all’università.
Boom, ko immediato alla prima ripresa.
Per non fargli troppo male. Gli sganassoni potevano rincoglionire una mente votata allo studio, alla scienza .
Poi gli aveva mandato a casa una busta con i soldi vinti.
Un’altra volta.
Quello là è una schiappa, lo chiamano il portiere per i tuffi che fa alla prima sventolina.
Invece era un roccioso.
Sperava cadesse nell’errore di snobbarlo.
Boom, ko alla prima ripresa.
Ero curioso di vedere qualcuno volare in questo mondo in cui tutti tengono i piedi sempre troppo piantati per terra.
Da far schifo quella volta che al terzo round, durante la pausa gli disse che la sorella dello sventurato avversario era grave in un letto d’ospedale.
Boom, ko immediato per far sì che il fratello potesse correre ad assisterla.
Enzo aveva anche culo.
Una volta si decise di farlo perdere proprio nel match pre-mondiale.
Nella maniera più umiliante.
Ma mentre la spugna che il maestro aveva proditoriamente gettato volava sulla testa dell’arbitro, l’avversario cadeva al suolo.
Cominciava il conteggio che per regolamento non può essere interrotto nemmeno dal suono del gong.
Non era uno che non s’allenava, sregolato o lassista.
Il maestro l’avrebbe fatto fuori se pur avendo qualità fuori dal comune si fosse mostrato svogliato e non predisposto al sacrificio.
Il fatto era che per Enzo la fatica era una forma di rilassamento, l’unico riposo che conosceva era lo sforzo, il piacere più trasgressivo il rigore.
Anche la castità imposta dai lunghi ritiri e da quella mentalità bigotta e un pò ascientifica che vuole gli agonisti di un certo livello non distratti nè distrutti dal sesso gli calzava addosso con poca sofferenza.
Per indole non frequentava donne, non le cercava, non le desiderava o meglio non considerava il desiderio per una donna una cosa irrinunciabile o non controllabile.
Aveva a volte storie, che gli capitavano per caso, proprio perché il fascino del ruolo lo metteva comunque a repentaglio.
Ma sentimenti e desiderio gli scivolavano sulla pelle come l’acqua che trascinava via il sudore sotto la doccia dopo l’allenamento.
Attenti, però, il maestro non voleva eunuchi nella sua squadra, bensì monogami.
Enzo era da sempre legato a Lorella ragazza perbene e sbarazzina, piuttosto bona, la più intrigante del paese.
Una classica relazione di paese, cominciata quando erano tutti e due ragazzini.
Tormentata ma vitale, che manteneva l’atleta ad un giusto grado di euforia.
Lo eccitava ma non troppo, soffriva e gioiva ma non troppo, l’adrenalina montava ma non lo sommergeva, il cuore accelerava ma non lo spossava, la testa girava ma rimaneva sul collo.
Un amore senza effetto trottola, con le dopamine al livello di guardia.
Tutto bene. Anche la gelosia non mostrava di sè‚ il volto più distruttivo, più accecante, più patologico.
Ma l’idillio e l’equilibrio sono le cose che durano e resistono di meno nella vita.
I guai cominciarono quando Lorella rimase incinta.
Enzo si sentì completamente travolto, un crollo, il pugno più violento della sua carriera.
Ma il terrore di una sconfitta definitiva lo fece rialzare prima del gong e decidere che non voleva quel figlio e che per lui l’unica soluzione possibile era che Lorella abortisse.
Il ragionamento era piuttosto logico, realistico.
Erano troppo giovani, non avevano troppi soldi e proprio nel momento più fluido della sua carriera. Ma soprattutto se un giorno fosse diventato campione era chiaro che alla paesanotta dolce avrebbe dovuto sostituire una modella da calendario sexi.
Ma questo a lei non lo disse.
Lorella invece desiderava realizzare il sogno della sua adolescenza e le sembrava naturale a quel punto partorire.
Era innamoratissima di lui e strafelice all’idea di diventare madre.
Dopo i primi momenti di timore e di studio cominciò l’incontro.
Che poi non fu tale.
Lorella si ritirò quasi subito;
Agli argomenti razionali e realistici di Enzo non ribatteva niente. Non perché fosse d’accordo con quelle surrettizie motivazioni, ma perché capiva da quelle parole di non essere amata e che comunque i suoi sentimenti erano spropositati rispetto a quelli che provava lui.
Aveva la tipica nausea anticipata. Voleva vomitare tutta la delusione e il rancore.
Aveva anche la tipica voglia anticipata. La voglia di uccidere quel fedifrago, traditore.
Il dialogo si trasformò in monologo;
Enzo che in genere non era un affabulatore, divenne in pochi minuti un abile oratore. Un retore. L’ansia si tramutava in eloquenza, l’angoscia in vitalismo, in decisioni senza diritto di replica.
Lei scoppiò semplicemente a piangere per la rabbia.
Mentre le asciugava le lacrime: sono affranto, sono desolato, sento che sarebbe stata una splendida bambina…….e piangeva anche lui.
Ipocrita pensava……..vigliacco………..mi
stai rovinando………….egoista ……distruttore.
Ma vedrai questa vicenda ci unirà ancora di più, temprerà quest’amore.
Non devi preoccuparti ora dobbiamo pensare solo alle incombenze pratiche, a risolvere il problema.
Ma quale problema?
La separatezza infinita tra il potenziale campione e il potenziale uomo.
Il feto fu aspirato. Trangugiato da un ciclone senza passioni, fisicamente indolore.
Ma Lorella non capiva chi e cosa stava scegliendo. Sentiva pezzi di se disintegrarsi, la natura rivoltarglisi contro, torturarla, urlarle nel ventre sei sola, lo sei sempre stata, lo sarai sempre e questo figlio che non nasce non è diverso dagli altri uomini, da Enzo.
Si lascia uccidere senza opporre resistenza solo per non essere infelice, ti abbandona lasciandoti il rimorso di averlo triturato ed in fondo non era un uomo, ma solo una tua impossibile idea d’amore.
Una ipotesi costruita in un mondo dove fare a pugni è una cazzata per bambocci eterni e non un mestiere da padri consapevoli.
E’ scritto bene, i personaggi tratteggiati con efficacia. Mi è piaciuto.