Premio Racconti nella Rete 2018 “Il Potere” di Germana Urbani
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Ogni notte è una montagna violacea a precipizio sul giorno che viene. La punta si intravede dallo specchio del bagno. Giulia ne segue il riflesso a piccoli scatti mentre si spazzola i denti con forza. I suoi occhi, come pozze di palude, beccheggiano qua e là. Prima di sciacquarsi la bocca, passeggia un pochino tra gli arabeschi delle marmette antiche del pavimento. Un andirivieni di azzurri e grigi malinconici, marini. Poi si riempie la bocca d’acqua, sputa ed è pronta a immergersi trattenendo il fiato. Suo marito l’attende in camera. Appena lei si coricherà lui spegnerà la luce.
Una volta dentro il letto, inondata dal buio, vorrebbe leggere. Tutte le sere. Ma non può. Lui, il professore, si alza presto la mattina, non deve essere disturbato. Stasera, però, lui non russa ancora e così, agganciata con le mani al risvolto della coperta appena sotto il mento, decide di parlare.
“Ti faccio una domanda. Rispondi la prima cosa che ti viene in mente”
“Devo dormire”
“Senza pensarci: Potere”
“Silvio!”
“Maddaiii!” Roberta si fa come una corda tesa lungo tutta la sua metà di letto. Lui ghigna dalla sua posizione fetale. La sua schiena larga e lunga sta tra loro come una muraglia. È convinto di aver chiuso l’argomento. Ma lei sposta il peso del suo piccolo corpo e si riposiziona sul materasso oltrepassando la linea di mezzo. Con la punta dei piedi lo calcia di gusto: “Non si può parlare con te. Butti tutto a ridere”, dice.
Lucio, è vero, lo fa. Non sopporta i drammi, i piagnistei, le sciocchezze, la curiosità. Non sopporta gli altri. Esce da situazioni fastidiose ricorrendo a tecniche collaudate. Lo fa con lei, con i colleghi dell’Università, con gli amici, con i figli. Tutti.
Silvio è il loro evergreen. Quando aspettavano il primogenito e qualcuno chiedeva il nome del bambino, lui rispondeva: Silvio, come il nostro grande leader! Giulia saltava sulla sedia, che a lei Silvio le rivolta il sangue. Che è rosso e non blu come quello del marito.
Giulia, così minuscola, è piaciuta subito a Lucio. Lui che è un ormone poco sotto al metro e novanta, adora le donne piccole, dai piedi bambini. Si sono conosciuti al dipartimento di storia dell’Università, lui giovane associato, lei in tesi di dottorato con il professore di grido. La volta che Giulia l’ha invitato da lei e gli ha chiesto cosa avesse votato alle politiche lui aveva dichiarato: Silvio! Lei, allora, nonostante fosse quasi certa che non potesse essere vero – Lucio, pensava, era troppo intelligente – accostandosi come per baciarlo, gli aveva dato un morso su una guancia, passionale e profondo, che l’aveva lasciato segnato nel corpo ma soprattutto in qualche anfratto masochistico della sua anima di uomo apparentemente mite.
Quella volta l’aveva presa lì sul pavimento della sua stanza. Le aveva strappato il collant, tirandolo dal cavallo, che era venuto via con lo slip e tutto. Le era entrato dentro secco. Lui, grosso come un palo, lei stretta come una campanula di prato.
Allora Silvio era ancora un gioco per entrambi. Oggi non più.
“Mi alzo alle cinque” dice Lucio che vuol chiudere lì. Ma prima che possa farlo il cellulare di Giulia vibra sul comodino. Un cono di luce illumina il soffitto. La successione di vibrettini che seguono la schiaccia sul materasso in una posizione scomoda.
“Ma chi cazzo ti scrive?”. La voce ispessita di Lucio le arriva fonda. Il sospetto libera la paura che si insinua tra le lenzuola.
“Ecco – articola lei in un guizzo veloce – prendi il potere di Whatsapp, per esempio. Adesso sono le mamme!”. Mentre lascia uscire le parole si sporge dal proprio cuscino verso di lui. “Domani c’è la gita e quelle si parlano: cosa mettiamo nello zaino…che piova o no…”. Si accorge che le coperte sono improvvisamente tese. È certa che lui ne stringe forte alcuni lembi tra i pugni chiusi. Si è fatto di marmo, non lo vede ma lo sa. Sa il granito quanto può far male.
“A volte mi sento oppressa”, aggiunge strisciando sul bacino verso la muraglia e, sollevando il busto, appoggia le tette alle scapole del marito. Sa di non aver molto tempo a disposizione per evitare il peggio. Così, come un’attricetta ciarliera, comincia a spiegare che “sai, il gruppo dei colleghi, quello dei genitori del figlio A e quello del figlio B, il gruppo coro, il gruppo dei nati nell’ ‘80, il gruppo ex colleghi…”.
“Scostati e basta”, la interrompe lui di pietra. Ma invece di smetterla, presa da non so che, quella continua, decisa a cavalcare l’onda che si è creata in questo mare gelato.
“Guarda che non è una cosa da poco. Lo vedi com’è”, dice lei con fare innocente mentre dall’alto cerca di indovinargli lo sguardo nero. “Mi sento invasa”, aggiunge.
La montagna viene giù. Lucio ruota e come per moto d’inerzia finisce supino.
“Ma ti sei iscritta a ‘sti gruppi”?
“No. Ti mettono dentro”.
“Ma chi”?
“La rappresentante di classe per esempio”.
“Cancellati”, taglia corto Lucio cercando di tornare nella sua posizione fetale.
Ma Giulia appena sente tendersi le lenzuola gli zompa sopra e si mette a sandwich. Le punte dei suoi piedi superano di poco le rotule di Lucio che ringhia: “dai, non respiro. Lasciami dormire!”
Scende da lui docile: “ti prego parliamo”.
Sa che è questo il punto oltre il quale non deve andare, ma decide che stasera non molla. Non sopravviverà in un acquario: vuole tornare all’oceano e solo lei può rompere la boule che la separa dal mondo.
Così da sotto la muraglia tira la fune dall’altra parte. “Ieri Irma, l’unica di noi che è rimasta in Dipartimento, ha creato il gruppo ex colleghi. Ex ricercatori. Non c’è una data, ma faremo una cena”.
“Faranno”, precisa lui senza interesse. “Cancellati”, aggiunge immobile.
“Nooo, si offendono”. Aggira l’ostacolo Giulia, decisa a salpare. Sente che deve accelerare ma tergiversa: “Whatsapp scrive a tutti che sono uscita dal gruppo…capisci?!”
Lucio è uno scoglio nero, forse tra il sonno e la veglia. Lei vuole raggiungere il fondo. D’impeto lascia le coperte, si tira su, seduta sui talloni, schiena dritta, mento in fuori pronta per il tuffo.
“Sai come ha chiamato il gruppo Irma? I Magnifici”.
Pronunciate queste parole la testa le si fa pesante, sente il gozzo riempirsi. Il corpo si affloscia, pesa. È un sacco vuoto da troppo tempo. Da quando, otto anni prima, il marito l’ha convinta a lasciare il dipartimento, per i bambini, per la serenità, per scrivere saggi che non ha mai scritto. Ora guarda la montagna che è Lucio con disprezzo. Fa finta di dormire, pensa. Ed è così.
Ma è nel dubbio che lui invece dorma davvero che Giulia trova il coraggio di dire che lei vuole andarci alla cena e ci andrà. “E voglio tornare al lavoro”, aggiunge.
E mentre, detto tutto, lei sta infilando le gambine una dopo l’altra nuovamente sotto la superficie, lui scoperchia il letto con una bracciata improvvisa. Un maremoto è subito sopra di lei e la trascina e la schiaccia contro la spalliera. La prende alla nuca con la sinistra, l’avambraccio destro a stringerle la gola. “Ti ho detto ti cancelli, e tu ti cancelli”! Le sussurra all’orecchio. Le arriva il fetore dell’alito. È un’istante. Poi con uno scatto lui cambia posizione e con la voracità di un gorgo le blocca le piccole braccia al corpo e, catturata la testa tutta in un palmo, l’indice che le entra in un occhio, inizia a sbatterla a caso e con forza così come viene, alla cieca, una dieci quindici volte, nel buio assoluto della loro stanza nuziale. Poi la spinge bocconi sul materasso e sono pugni regolari, fissi. Lei li conosce, sa la tempesta com’è. Ha imparato a non divincolarsi. Basta stare immobile. Non opporre resistenza. Tenere un po’ di nerbo, quello sì, ma quel poco che basta a salvarle le vertebre, o almeno così spera. Una cosa è certa. Come è iniziata finirà. È sempre così. A volte meglio a volte peggio. Le spiace solo una cosa.
Conciata così, come sarà nei prossimi giorni, non potrà essere magnifica tra i Magnifici. Inventerà un impegno. Ne ha sempre un mare da che naviga l’oscuro acquario di Lucio. E un’altra cosa è certa: prima o poi anche lui morirà.
Il finale spiega tutta la tensione di lei, sia nel coricarsi, che nel tentare un dialogo, alla ricerca di un’intimità verbale che non c’è più. Lei, coraggiosa, tenta e sfida. Il gruppo Whatsapp come possibilità di fuga dalla prigione, come finestra sul mondo… Mi inquieta pensare che per qualche donna sia veramente così, ma so che sicuramente per qualcuna lo è. Complimenti per il modo in cui ci fai giungere all’amara sorpresa e che spiega in via definitiva il titolo.
Si cercavo di accumulare una tensione che trovasse alle fine una via d’uscita. Hai colto perfettamente. Grazie
Complimenti. è scritto da ghiacciarti l’anima, brava.
Volevo proprio quest’effetto. Grazie di averlo colto così pienamente
Cara Germana, complimenti per il tuo racconto. Sei riuscita a creare un’atmosfera pacifica e quotidiana, con i gesti familiari di lavarsi i denti e poi due chiacchiere a letto prima di addormentarsi, per trasportare poi il lettore ignaro ad un epilogo terribile, e sembra quasi di essere lì, nel letto con Giulia, e di sentirli su di sé quei colpi ciechi e feroci.
Innanzitutto ti ringrazio per il commento che mi hai lasciato. Avrei voluto risponderti, ma non ho capito come fare.
La frase iniziale, “Ogni notte è una montagna violacea a precipizio sul giorno” è veramente bella. Ho apprezzato molto le similitudini e le metafore che hai utilizzato nel testo, le hai inserite perfettamente.
Devo ammettere con costernazione che quando hai descritto Lucio per la prima volta (la prima volta, ripeto) ho pensato che era il mio alter ego. Gasp, mi ero sbagliata. Ci sono rimasta malissimo andando avanti. La storia è davvero ben costruita. Inizialmente pensavo che tra la protagonista e il marito ci fossero solo dei normali problemi di coppia, incomprensioni. ho iniziato a cambiare idea quando ho letto che egli ha impedito alla moglie di continuare il lavoro e vedersi coi colleghi, ma non avrei mai immaginato il finale. Hai descritto tutto in modo molto realistico, e ci sei riuscita benissimo.
Straordinaria quotidianità, scritta e descritta in maniera originale, spazio e tempo limitati, geometrie studiate e una prosa fluente. Straordinario questo incontro di pugilato! Il letto come il ring, la fase di studio, le schermaglie iniziali, i disperati affondi di un peso piuma che per tragico destino si trova a combattere un peso massimo. Il coraggio di un pugile sta nel non indietreggiare e nel saper “soffrire” .
Guardia chiusa e resistere all’ assalto …arriverà il suono del gong. Ma so già chi ha vinto..
Complimenti Germana bel racconto !
Cara Germana è proprio un bel racconto il potere! Parla di coppie apparentemente felici, e di madri che in quanto madri abbandonano “spontaneamente” le proprie aspirazioni…
Hai reso perfettamente la dinamica di sopraffazione, non solo psicologica di molti uomini e ahimè la sindrome che colpisce molte donne nel non abbandonare il proprio carnefice. Brava
Azioni giornaliere che rispecchiano perfettamente la realtà troppo spesso amara. Si comincia sempre così, rinunciando al lavoro per amore della famiglia (o almeno così pare), per completare il sacrificio con una resa incondizionata al “potere”. Anche il voler parlare a tutti i costi con il marito, ha un non so che di masochistico, perchè lei sa in partenza che non otterrà niente di diverso dalle altre volte: la solita scarica di pugni alla quale reagisce con la solita non reazione.Complimenti, narrazione molto bella.
Il potere violento e psicologico che piega Giulia e non le concede via di fuga. E, anche in questo caso, l’uomo a fare pessima figura.
Bello, brava.
Complimenti Germana, un racconto “terribile” che dischiude tutto l’orrore spesso nascosto nelle vite apparentemente più normali. Ben scritto, brava.
Splendido racconto, claustrofobico, efficace e doloroso. Lascia veramente un senso di malessere e impotenza. E soprattutto perché tutta la scena è dipinta come consueta, ripetuta, normale. Tutto è in salita ed inutile: il dialogo, l’avvicinarsi, la ricerca di un contatto fisico. Ma probabilmente questa violenza è l’ultima e comunque si apre un percorso di ritorno verso il mare aperto. Mi è piaciuta moltissimo l’incompatibilità fra le materie che compongono lui, fatto di roccia dura, tagliente e inaccessibile, e lei, creatura di acqua chiusa nella bolla dell’acquario in cui lui crea l’ultimo maremoto. Complimenti!
Grazie Marco, son contenta che tu abbia notato il climax che cerco di creare e le sostanze diverse di cui si compongono i due. Grazie
Grazie anche a Luca Bonacina e Giada Guassardo,per il commento che mi avete lasciato. Avete colto perfettamente nel segno. Ogni vita nasconde delle ombre a volte scostando una tenda si intravede la luce, altre volte si scopre l’inimmaginabile. Questo mi affascina sempre e cerco di catturarlo a parole…non è semplice!
Complimenti Germana per il tuo racconto e la forza evocativa delle immagini che hai usato: ti catapultano dentro la vita di questa coppia nel momento in cui sta per “scoppiare”. Brava!
Grazie Claudia del bel commento.
L’ho dovuto rileggere. E la seconda volta mi è piaciuto più della prima. Lei che è metà folletto e metà uccellino è come se non si capacitasse dell’esistenza dell’orco. E così si avvicina, lo sfiora, lo provoca e lo cavalca, convinta di poter vincere, di sfondare la montagna, che all’ennesimo assalto frana giù e la sommerge. Com’è stato fin dalla prima volta. “Agganciata con le mani al risvolto della coperta appena sotto il mento”, gufetto notturno che studia l’orco nel buio e si lancia nell’ennesima battaglia. Invece di volare lontano.
Un racconto duro narrato con molta delicatezza. Complimenti.
Bellissimo racconto. Coinvolgente dal tema allo stile. Complimenti.
Germana, mi hai lasciato senza fiato.
Bellissimo racconto, complimenti!
Quante povere Giulie ci sono nelle nostre vite e neanche lo immaginiamo lontanamente. Bravissima davvero!
Straordinario racconto, scritto benissimo.
Mi è entrata acqua dal naso, in gola, nei polmoni e per un po’ ho smesso di respirare, spaventata e impotente.
È rimasta la tristezza; non mi capita spesso di nutrire poche speranze di salvezza, e invece qui, non so, faccio fatica. Spero di sbagliarmi, che Roberta possa credere di poter tornare a essere magnifica. E tu lo sei tanto, Germana, credimi.