Premio Racconti nella Rete 2018 “LA VIOLA il fiore del ricordo” di Jessica Mantovani
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Lo aveva appena raccolto quel fiorellino: lo osservava con curiosità come solo un bimbo può fare soffermandosi su dettagli. Rigirava il verde peduncolo tra pollice e indice e sorridente le correva incontro.
-Mamma, mamma, è per te!
Due mani morbide, tenere, ben disegnate, la sfioravano con carezze e trasmettevano in un solo gesto tutto l’amore di cui abbisognava. Occhi grandi, scuri e vivaci, facevano tutt’uno con l’espressione di gioia raccontate da quelle fossette, da quel sorriso dolce e spontaneo che appartiene solo a una certa età della vita.
Braccia esili, un corpo minuto a chiedere protezione, gambette veloci a rincorrere il divenire. Il tempo di una stretta per sentirsi al sicuro tra le braccia di sua madre: un gesto semplice come il vivere di un’anima di cinque anni.
Un attimo soltanto per assaporare lei quella serenità che la pervadeva quando i cuori si toccavano; lui, piccolo uomo alla scoperta del mondo, era già lontano su quell’immenso prato tutt’intorno.
Le passeggiate all’aria aperta a calpestare quel verde speranza esteso sotto i suoi piedi: momento tanto atteso per ritrovare il suo essere naturale. Reggeva in mano quel piccolo dono profumato con fare nostalgico, rivisitando in quei petali i primi anni della sua infanzia.
A testa china, le punte di lunghi capelli castani sfioravano la corolla; occhi grandi e profondi lumeggiavano lasciando trasparire la malinconia dei ricordi. In quel fanciullo giocherellante tra fili d’erba, riviveva tutta la sua felicità di bambina di un tempo.
Le riecheggiavano alla mente mattine di primavera inoltrata con il sole già alto e il sottobosco dietro casa dipinto di un viola acceso. Petali delicati sfumati al centro di un giallo intenso facevano da tappeto a un frutteto. Viole. Un vasto campo di viole. Fiori di frutti, foglie verdi, arbusti e boccioli apostrofati da un mix di tinte e di essenze raccontavano all’unisono la rinascita della bella stagione.
A dominare lo sfondo un sistema di fortificazione risalente alla seconda Guerra Mondiale segnava un limite alla distanza che ella poteva percorrere e lasciava calare un’atmosfera quasi misteriosa sui racconti dei vecchi saggi intorno alle punizioni inflitte ai nemici; un pezzo di storia per quella giovane età ancora sconosciuta.
L’orizzonte tracciato con una matita blu, fissato da distante, pareva quasi a portata di mano ma se con l’indice allungato lo si voleva toccare, si manifestava in tutto il suo infinito.
Viveva la spensieratezza ricercando il fiore più colorato, il petalo più grande, lo stelo più lungo, saltando in qua e in là, perdendosi ai piedi di maestose chiome, cadendo stesa a terra contemplando l’azzurro sopra di sé. Morbidi capelli di bambina le accarezzavano le spalle e la avvolgevano quando giocava a rotolarsi su se stessa.
Un mazzolino di viole era la compagnia delle giornate; si potevano contare, riunire, dividere, lanciare e raccogliere di nuovo. Una voce bianca che cantava ritornelli inventati e la convinzione di aver già smascherato tutta la bellezza del mondo.
Un quadro in armonia con il suo tempo.
Con il passare degli anni quella fragranza alla viola, che si era impossessata di lei fin dalla tenera età, non era mai riuscita ad archiviarla. Si era fatta donna e ancor le bastava un nonnulla per riconoscerla fra le tante. Un effluvio leggero come il fiore che lo produceva, uno spirito fresco pari al suo temperamento, un odore intenso e vellutato che marchiava il carattere e l’animo che indossava. Portava confinato dentro un passato nostalgico in cui rifugiarsi.
-Mamma, corri! E lo sentiva ridere.
Era piena di lui, ribella creatura innocente di cui contava i respiri.
Desiderava crescerlo nella semplicità delle azioni offrendogli il potere di cogliere la purezza di ogni particolare.
Avrebbe voluto costruirgli attorno un repertorio di memorie da poter rispolverare in ogni momento, un baule di flashback in cui ripararsi ogni qualvolta percepiva il bisogno di sentirsi a casa.
Mentre lo raggiungeva con il cuore che le scoppiava di gioia era certa che il momento era quello giusto, il tempo di lasciare le tracce.
Chiunque abbia un figlio piccolo, dovrebbe leggere questo racconto. La vera eredità che si lascia ai figli non è quella materiale, ma è proprio la capacità di immagazzinare ricordi e sensazioni, far acquisire la capacità di cogliere nelle piccole cose gli attimi belli della vita che poi ti serviranno nella maturità per rendere più accettabili le immancabili asperità dell’esistenza. Un bellissimo racconto, scritto con il cuore che rasenta attimi di pura poesia. Brava Jessica!.
E’ vero, hai descritto il bambino in modo così dolce e veritiero che ogni madre può ritrovarsi nelle tue parole. Dolcissime tra l’altro