Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Solitudine spietata” di Elisabetta Pardi (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Ed eccomi sperduta su un’isola. Abbandonata o mai conosciuta dall’uomo. Mai apparsa in una cartina o in qualche planisfero. Solo un punto insignificante sfuggito a esploratori ed osservatori. Solo il silenzio aleggia su questo luogo desolato. Niente di più assurdo sarebbe potuto capitarmi. Sperduta su un’isola nei pressi del Canada. Sulla quale vivranno lupi, orsi, aquile o bestie varie pronte a divorarmi.
L’inverno a quanto pare non è ancora terminato: tutto sembra essersi congelato nel tempo. La neve depositatasi sugli alberi deve trovarsi lì da molto tempo, sta di fatto che è pesante e compatta. Le impronte degli animali di lì passati sono impresse nella gelida terra desolata. Un laghetto ghiacciato dona luce azzurrina riflessa. Le maestose conifere si stagliano verso il cielo, che comincia ad annuvolarsi. Conosco quelle nuvole: nuvole bianche e soffici, pronte ad ingannarti come una mantide orchidea, graziosa e micidiale. Sembrano piccole e innocue, ma al primo lieve cambiamento del clima sono pronte a scagliarti addosso grandine e bufere. Non credo esista qualcosa di più orribile del trovarsi in una situazione del genere, con nubi ingannatrici e predatori in agguato. La solitudine e la spietatezza del selvaggio nord può rivelarsi fatale, senza che la vittima se ne accorga.
L’isola sembra piuttosto grande, dato che il rumore delle onde infuriate che si infrangono sulla costa non si sente per niente. Le grandi conifere sono il rifugio perfetto per civette delle nevi ed altri uccelli rapaci. Ad un tratto l’isola si scongela dalla sua immobilità ed un ululato echeggia in questo luogo spettrale. Inizio ad inquietarmi ancora di più e mi rendo conto che avrei preferito di gran lunga una foresta di conifere congelata nel tempo che una animata, ma con lupi pronti ad uccidere.
Un altro ululato. Poi un altro. Inizia a divenire un coro di ululati, ululati che esprimono fame e disperazione. Ora è il mio sangue ad essersi congelato e la paura inizia ad arrampicarmisi addosso e riesce a raggiungermi la mente. Il panico ha offuscato ogni pensiero. Il coro inizia a perdere voci e il silenzio riavvolge l’isola. La paura inizia a stringermi ancora di più e niente, e dico niente, avrebbe potuto sciogliermi dalla sua presa se non lo stridere di una civetta morente. Mi dispiace un po’ per la creatura, ma il sollievo di poter riuscire a vedere ancora un altro giorno è enorme. I lupi si sono procurati il cibo per oggi, perciò posso considerarmi fortunata. Mi resta solo da sperare che anche gli orsi siano sazi.
Fortunatamente ho con me il mio fidato arco, un po’ congelato ed ammaccato, ma comunque efficace. Il freddo gelido del nord comincia a farsi sentire ancora di più. Inizio a guardarmi intorno per vedere se riesco a trovare qualcosa per accendere un fuoco. Solo pietre. Provo a vedere se le conifere dispongono di rami con cui si può accendere un fuoco. Ne raccolgo tre e inizio a strofinarli con foga, una piccola fiamma si affaccia su quest’isola dimenticata. La fiamma piano piano diventa un focherello, poi un fuoco.
Ad un certo punto una lepre dal passo incerto esce dai cespugli. Nonostante odi uccidere animali, specialmente se sono così graziosi, incocco con il mio arco e la uccido. Un fiotto di sangue esce dal suo collo e io mi sento terribilmente in colpa ma qualcosa avrei dovuto pur mettere sotto i denti. Metto sul fuoco la carne della lepre e nel mentre che la carne cuoce, vorticosi pensieri sconnessi cominciano ad invadermi la mente, intanto il mio sguardo assente si ferma sul suggestivo spettacolo del fuoco guizzante. Le scintille danzano in modo ipnotico intorno al fuoco come ballerine, ma appena toccano il suolo innevato si spengono e salutano il mondo con un’ultima piroetta.
Ad un tratto un frusciare sospetto mi risveglia dai miei turbinosi pensieri. Occhi verdi come smeraldi, brillanti, terrificanti e disperati: deve essere un lupo. Il suo sguardo pietrifica la mia anima. La notte avvolge ogni cosa. Non riesco a vedere niente, se non gli occhi del lupo. Il sangue si ferma, il mondo mi crolla sotto i piedi, niente esiste più, niente importa più, tutto cessa di esistere, esistiamo solo il lupo ed io. Non ho pensieri che per il lupo, un lupo in agguato fra la vegetazione, un lupo dagli occhi di smeraldo, un lupo dagli occhi perforanti, un lupo che probabilmente sarà l’ultimo essere che vedrò. Il lupo si mette ad ululare, la mia vita è appesa ad una tela di ragno, il lupo ulula ed avanza, non sembra intimorito dal fuoco. La bestia è magrissima, come se non mangiasse da mesi. Evidentemente la civetta non era bastata per tutto il branco. Il lupo avanza, gli occhi di smeraldo sono iniettati di sangue, come a formare una ragnatela sanguinolenta nei suoi occhi. Il lupo deve essere bianco, perché le zampe si mimetizzano alla perfezione fra la neve. La luce rossastra emanata dal fuoco rende il pelo dell’animale di un colore simile al porpora, luccicante come un rubino, come se fosse fatto di fiamme scarlatte. La mia voglia di continuare a vivere si sprigiona dal mio essere, emerge con tale forza e impeto che sembro animata dall’irragione. Non penso, l’istinto prende il sopravvento, prendo l’arco, incocco e poi…
La ragione riaffiora dalla mia mente, non posso uccidere un lupo, per giunta così penoso: rimorso e dolore affliggerebbero la mia coscienza se lo facessi. Non posso. Non posso uccidere un lupo. Poso l’arco. Il predatore avanza e tira dritto. Le narici si dilatano come se avessero fiutato qualcosa, un ringhio sommesso gli sgorga dalla gola. Mi metto a correre, scappo dalle sue zanne assassine, lui corre, mi insegue. Io sono la preda, lui è più veloce e mi salta addosso. Rotoliamo entrambi nella neve, gli afferro il collo e con un rapido gesto mi giro e lo inchiodo a terra. Nonostante si dimeni e cerchi di liberarsi. Cerco di afferrargli il muso per impedirgli di mordermi, ma si rivela un passo falso: le sue fauci scattano all’improvviso e mi lacerano la pelle. Io rispondo tirandogli un calcio sul muso, per stordirlo temporaneamente. Il colpo va a segno e un rivolo di sangue inizia a sgorgargli dal naso, se ne aggiunge un altro dalla mandibola superiore. La neve intrisa di sangue di umano e di lupo è diventata rossa come la luce di un tramonto.
Il predatore, come avevo previsto, è svenuto: è troppo debole per poter continuare a combattere. Mi siedo accanto a lui. Le sue zampe candide come gigli sono tutte graffiate, rovinate, squarciate, insanguinate, sfregiate. Il muso, oltre ai graffi che gli ho inflitto io, è pieno di cicatrici e sanguinante. I suoi occhi chiusi mi mettono tristezza, so che non è morto, è solo svenuto. Ma la sua condizione mi fa pensare che non sopravvivrà alla notte. Allungo una mano e gli sfioro il naso sanguinante, con la mano gli accarezzo il pelo sporco. Sento il suo cuore che batte, il suo respiro che lo anima, molto probabilmente ancora per poco, ma io non voglio permetterlo: mi accorgo che durante la mia fuga avevo girato in cerchio perciò il fuoco che avevo acceso è comunque vicino al corpo dell’animale, con molta delicatezza potrei trascinare il suo corpo vicino al fuoco per riscaldarlo un po’. Fatto ciò prendo un po’ di carne che stavo cuocendo prima e gliela metto davanti al naso. Non so per certo quanto tempo sia passato mentre fissavo il fuoco e accarezzavo il muso malconcio del lupo, ma suppongo si tratti di ore. Non ho ancora chiuso occhio, ma alla stanchezza in questo momento non sto pensando, penso, invece, solo al lupo.
Ad un tratto scopro che il lupo si è svegliato e sta per giunta spolpando con gusto la carne che gli avevo lasciato davanti al muso prima. Appena mi vede ringhia con il pelo irto sul collo. Io lo guardo e non reagisco violentemente, anzi, gli lancio un altro pezzo di carne, così che lui capisca che non voglio assolutamente fargli del male. Ora ha lo sguardo perplesso, ma inizia comunque a divorare la seconda porzione di carne. Si stende accanto a me e si mette anche lui a fissare il fuoco. Io lo accarezzo, poi inizio ad osservare il fuoco, le cui scintille danzanti mi fanno riflettere che mai nella vita avrei pensato che mi sarebbe capitata un’occasione così suggestiva, ritrovarmi ad osservare un fuoco dalla danza sublime accanto ad un lupo.

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5 commenti »

  1. Ottimo racconto Elisabetta! Il target però mi sembra più young adults che bambini. Mi piace molto il ritmo che scaturisce dal narrare in prima persona e trovo molto suggestivo tutto il gioco dei colori. Bianco, rosso, nero. Complimenti!

  2. Grazie! Non avrei mai pensato di ricevere un così bel complimento! Sono d’accordo sul target, già sospettavo che non fosse molto adatto ai bambini, ma neanche per adulti, ma non sapevo che si potesse scrivere che era adatto ad una “via di mezzo”. Grazie mille per averlo letto, mi fa piacere sapere che sia piaciuto.

  3. Siamo d’accordo con Laura. Un bel racconto adatto a lettori piu’ grandicelli

  4. Vi ringrazio per il tempo che avete dedicato a leggere il mio racconto e per avermi scritto, ogni commento è prezioso per me, una bella occasione per crescere.

  5. A me è piaciuto molto, poi il lupo è sicuramente un animale che si presta a racconti per bambini e per ragazzi. Io lo trovo adatto ai bambini, il linguaggio è semplice, il racconto scorrevole, molto comprensibile. Non esistendo una categoria “ragazzi” obbligatoriamente alcuni racconti che comunque sarebbero troppo semplici e diretti per un pubblico adulto li trovo giustamente collocati in questa categoria. Complimenti!

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