Premio Racconti nella Rete 2018 “Zi’ Agusto” di Carla Andreozzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018I ricordi d’infanzia sono strani. Non sai mai se sono davvero tuoi o se te li hanno raccontati. Da quelmomento, li hai vissuti come se la telecamera fosse dentro di te. Come per i racconti dello zio d’America.
Era il fratello più grande di nonno, emigrato in Argentina (che era l’America) nei primi anni del Novecento. Zi’ Agusto aveva fatto perdere le sue tracce in seguito a vicende complesse che evidentemente mal si adattavano ad essere scritte su carta e affidate a una nave.
Dunque io non potevo averlo conosciuto. Eppure lo conoscevo bene, talmente bene che quando poi mia cugina (sua nipote) Susana ci rintracciò una decina di anni fa tramite l’ambasciata, non lo riconobbi. La foto infatti mostrava un anonimo signore già avanti negli anni e leggermente pingue che non assomigliava per niente a nonno Vittorio. Io sono sicura di averlo conosciuto giovane (una ringiovanita fotocopia di nonno). Correva veloce per sottrarsi alle tortorate di suo padre, dopo averne fatta una delle sue. Altre volte lo avevo visto nascondersi invece sotto il suo letto, dopo averlo imbottito di cuscini che simulavano un corpo addormentato del sonno ingenuo dei giusti: strillava di finto dolore con sincronia perfetta ogni volta che quelli, i fratelli, menavano mazzate perché si era speso alla fiera tutti i loro soldi, affidatigli per comprare qualcosa di meno voluttuario ed effimero.
A Natale, andava a salutare suo nonno cieco imitando le diverse voci dei nipoti e incassando le mezze lire che il vecchio destinava ad ognuno di loro. Quando poi effettivamente si presentavano i veri destinatari delle mezze lire, il vecchio farfugliava rassegnato “Agusto m’ha rifregatu”.
Quella volta della mietitura, mandato a prendere l’acqua da bere per tutti i braccianti, sparì per diversi giorni co’ ‘a somara e i mezzi barili. Si seppe poi che era andato da una sua fidanzata, abitante di un paese limitrofo.
Zi’ Agusto non voleva fatiga’, cioè non voleva lavorare la terra, il che per i miei avi che di terra ne avevano tanta era una grave bestemmia. Diceva che la terra puzzava. Dopo averlo coscienziosamente e ripetutamente corgatu de botte, si era deciso che avrebbe dovuto imparare un mestiere (cioè un altro mestiere che non fosse quello iscritto nel suo DNA millenario di zappatore).
Così era stato mandato a forza da un artigiano del paese, tale Peppe Renzetti, di professione ciabattino. Da quel momento la vita di quest’ultimo aveva smesso di essere non dico spensierata ma almeno tranquilla. Era infatti diventato la vittima preferita degli scherzi di zi’ Agusto, che soleva incollargli le scarpe al pavimento mentre faceva la siesta oppure travestire il largo secchio per pisciare da finto sgabello, con intuibili risultati. Spesso si vedevano i due correre tra i vicoli e la piazzetta, zi’ Augusto nel ruolo di fuggiasco e Peppe Renzetti nel ruolo di inseguitore.
Le feste a casa di mio padre si ricordavano in base ai suoi leggendari scherzi. Veniva ispirato dal maestro artigiano soprattutto quando questi, la domenica o nelle festività solenni, smetteva i panni macchiati di colla e lucido e si vestiva di tutto punto: Peppe Renzetti diventava allora un vero dandy.
Come il giorno della Madonna di mezz’agosto, quando per andare alla messa solenne delle undici aveva indossato il suo mitico completo bianco, con tanto di panciotto e farfallina. Forse per disattenzione o forse perché non credeva che avrebbe osato tanto (ma anche perché quella era l’unica strada), Peppe Renzetti era passato sotto le finestre di zi’ Agusto. Zi’ Agusto lo aspettava appostato con due enormi pacche di sugoso cocomero.
L’inseguimento successivo al lancio, per altro perfettamente riuscito, era durato per giorni e giorni con la bisnonna Loreta che tentò un’impossibile mediazione, senz’altro degna di un ambasciatore ONU.
Le cose andavano avanti così. Fino alla sera della famosa cena.
Quella sera si mangiava minestra col lardo. L’atmosfera era già stata surriscaldata dal comportamento di mio nonno regazzino (un comportamento che sarà poi ereditato per via genetica anche da mio padre e da me): nonno sputava schifato tutti i ciccioli ed era stato ripetutamente colto sul fatto e alla fine preso a sberle per lo sciupio proteico.
L’annuncio arrivò con la potenza di una bomba: “Vojo ‘nna in America” disse zì Agusto. Seguì un silenzio attonito e inebedito. Questa era talmente grossa che mancarono anche gli strumenti più elementari di risposta. Il bisnonno Luigi, dopo aver incassato, pronunciò una frase che però, alle orecchie di tutti e forse anche alle sue, non ebbe alcuna forza conclusiva: “Tu si’ mattu, tu non vai da nisuna parte”.
Seguirono mesi di terribili liti e mazzate. Alla fine riuscì a sfiancare tutti e, grazie anche all’intercessione della bisnonna Loreta, che sola sapeva leggere il cuore di quel suo figlio eccentrico, gli furono dati i soldi necessari per il viaggio. Destinazione Genova, dove avrebbe preso una nave da emigranti. Salutò tutti. Solo sua madre piangeva inconsolabile. “Qualcuno s’era alzato a preparargli in fretta un caffè d’orzo…”
Tornò però del tutto inaspettatamente e con le orecchie basse dopo poche settimane. Si era sciupato tutti i soldi prima dell’imbarco in non meglio identificate avventure.
Ma la passione indomita per l’America lo abitava sempre e quindi, con la forza da martello pneumatico dei suoi vent’anni, aveva ripreso a chiedere a suo padre di nuovo i soldi. Alla fine era stato accontentato ancora, ma stavolta si era pensato ad un escamotage.
Partiva in quel periodo anche Orazziettu, una sorta di piccolo boss di paese che ’nnava e veniva dall’America con sospetta frequenza, per traffici di cui si è persa memoria storica (evidentemente perché la natura di tali traffici era ininfluente nella saga familiare). Così il bisnonno Luigi prese la decisione. Avrebbe dato a Orazziettu i soldi per l’imbarco e i soldi necessari a sopravvivere in America i primi tempi. Zi’ Agusto quelli dell’imbarco non li avrebbe neppure visti e il resto lo avrebbe ricevuto solo a sbarco avvenuto.
Forse quella volta anche nonna Loreta aveva finito le lacrime. Forse quella volta nessuno si alzò neppure a preparargli in fretta un caffè d’orzo.
Un racconto veramente fresco e divertente su questo emulo di Giamburrasca. Brava! È un piacere leggerti.
In alcuni passaggi è un racconto di pirandelliana memoria. Davvero Brava!
Coinvolgente e piacevole. Brava
Complimenti. Mi è piaciuto!