Premio Racconti nella Rete 2018 “Il sogno” di Antonino Criaco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Dovette attendere di farsi grande prima di scoprire che San Saro non esisteva e che il nome Saro era il diminutivo di Salvatore. Era consuetudine in quel rione avere come nome un diminutivo o un soprannome. A casa sua non festeggiavano gli onomastici, per la verità neanche i compleanni, per cui, di torte con candeline, non ne entravano in casa sua e non certo per le misere condizioni economiche della sua famiglia, ma per le ristrettezze delle altre famiglie del rione. In quel contesto sociale, festeggiare un compleanno, era come mortificare gli altri bambini, apparendo una dimostrazione di supponenza nei riguardi di tutte quelle famiglie che non potevano permetterselo.
Gli rimase un legame indissolubile con il rione che non lasciò mai, neanche quando prese moglie. Da ragazzo aveva frequentato le case di tutti gli abitanti della zona, o perché era amico dei figli o perché invitato dalle vecchiette che, con la scusa di un dolce o di una caramella approfittavano per accarezzarlo e godere del contatto di una pelle liscia e giovane. Non era un rito erotico da parte loro, piuttosto il riscoprire nella memoria la loro infanzia quando, giovani e belle, mettevano in mostra la loro fresca pelle. Sapeva il nome di tutti gli abitanti, compresi i nomignoli. Non si perdeva neanche un funerale e conosceva tutte le dicerie di negromanzia, di occultismo e di spiritismo che imperavano nelle credenze degli abitanti, rafforzate da una diffusa ignoranza. Don Liborio, il prete, aveva combattuto aspre battaglie verbali per convincere i parrocchiani che queste erano credenze pagane ispirate dal diavolo. Il risultato fu che la gente non gli dava più informazioni neanche in confessione.
Saro, acculturato da una lunga e proficua frequenza scolastica, non era completamente scettico. Troppe volte era rimasto incantato di fronte ai racconti magici degli anziani del posto.
Nel rione, resisteva all’arroganza commerciale del consumismo un vecchio calzolaio che Saro, sin da bambino, aveva visto sempre vecchio, ancorato alla vita, tanto che si raccontava avesse superato di molto i cento anni. Qualcuno, addirittura, andava dicendo che fosse un mago e che potesse allungare la vita ad altri mortali. Che fosse un eletto erano in molti a crederlo, specialmente vedendolo lavorare. Riusciva a cucire il cuoio con l’ago a mano con una forza che neanche un ventenne avrebbe potuto esercitare. C’era un’altra stranezza che dava seguito alle dicerie su quest’uomo: se gli si ordinavano delle scarpe diceva al cliente che sarebbero state pronte per l’indomani, qualunque fossero state le ordinazioni avute durante il giorno, sia che fossero un paio sia che fossero dieci paia, per cui la gente credeva che, durante la notte, fossero gli spiriti ad aiutarlo e che avesse avuto da costoro in regalo una vita più lunga.
Saro amava molto le scarpe, ne era quasi un collezionista. Fu naturale, perciò, per lui, recarsi dal calzolaio ad ordinare un paio di scarpe, che si diceva fossero indistruttibili e dalla forma elegantissima. Ma, forse, Saro era mosso anche da una curiosità: il calzolaio era veramente vecchio quanto Matusalemme?
Lo chiamavano mastro Pep, un diminutivo tronco diventato un’abitudine per gli abitanti del luogo, da quando un bimbo, nel chiamarlo, non seppe pronunciare per intero il nome Peppe, ma troncò la pe. Da allora i suoi clienti trovarono molto più comodo e più diretto chiamarlo mastro Pep.
Saro era avanzato nell’età e non si dava pace, presagendo per lui una vecchiaia breve e malaticcia. Sperava sempre che potesse essere trovato un farmaco che allungasse la vita, ma non negava che potessero esistere, in proposito pratiche magiche ed il vecchio Pep ne era una dimostrazione.
Il vecchio calzolaio non era un uomo loquace e carpirgli una qualche informazione era impossibile, ma Saro voleva tentare di farsi dire qualcosa sulla reale età. Dopo avergli ordinato le scarpe, essersi sottoposto alla misurazione del piede, scelto il colore e la forma, non poté resistere dal chiedere e contestualmente confessare:
“è vero che avete molto più di cent’anni? Piacerebbe anche a me vivere tanto a lungo.”
Il vecchio calzolaio lo guardò perplesso ma non rispose, quasi eludendo le domande, tanto che Saro dovette arrendersi e chiedere se poteva ritirare le scarpe l’indomani.
“Domani no! Forse dopodomani.”
Un fatto strano perché, non si era verificato mai che fosse stata rimandata una consegna.
Tornò dopo due giorni e non le trovò pronte, finché dopo dieci giorni il vecchio gli mostrò le scarpe ma non gliele consegnò e gli disse perentoriamente: “torni domani!”
Sembrava che il calzolaio volesse mettere alla prova la pazienza del suo cliente il quale, ogni volta che tornava, rivolgeva al vecchio sempre la stessa domanda: “quale è il segreto per vivere più a lungo?” Così tutte le volte, finché ebbe una risposta: “Si può desiderare di vivere più a lungo, quando non si è capito.”
“Capire cosa?” – rispose Saro eccitato dalla insolita eloquenza del calzolaio.
“La terra gira attorno al suo asse e ritorna sempre nella stessa posizione e l’uomo gira con essa.”
Parole dettate con una punta di amarezza ma, anche se avessero voluto significare qualcosa, avevano il potere di rimanere ermetiche.
Finalmente gli furono consegnate nelle mani, affinché ne sentisse la morbidezza.
Le scarpe erano bellissime, lavorate con maestria, morbide nel calzarle. Appena messe ai piedi sentì come una scossa, che si diffuse per tutto il corpo, dandogli una sensazione di benessere.
“Quanto pago?”
“Prima le provi! Poi, se soddisfatto, verrà a pagare.”
Saro, che si aspettava di dover sborsare una cospicua somma, ne rimase sorpreso e fu contento di rimandare l’esborso. Ma era soddisfatto, quelle scarpe erano di una comodità mai provata prima con altre calzature.
Capì che quello era un invito a ritornare.
Ritornò, attirato dal mistero che aleggiava su quell’uomo. Lesse accanto alla porta di quest’ultimo un avviso funerario in cui era deceduto l’inquilino accanto.
Chiese al calzolaio se costui fosse più giovane di lui e, avuta risposta positiva, non potette trattenersi dal dire:
“a lei invece è stata destinata una lunga vita e, di sicuro, non avrà rimpianti quando le succederà di lasciare le cose terrene.”
La risposta dell’anziano artigiano fu inaspettata ed allo stesso tempo sconvolgente:
“Eppure un rimpianto ce l’ho!”
“Quale?” chiese, di rimando, Saro.
“Quello di aver vissuto troppo a lungo.”
Gli anziani, pensò, danno sempre delle strane risposte; perché non doveva essere contento di vivere così a lungo?
Non replicò e salutando rifece sempre la stessa domanda: “qual è il segreto della sua longevità?”
Pazientemente il vecchio gli disse:
“Risponderle mi sarebbe facile, ma non potrei mai darle una vera dimostrazione. Solamente il tempo possiede la risposta.”
E come le altre volte non riuscì a capire. Prese commiato e si avviò, contento di calzare quelle scarpe così morbide e riposanti.
Saro prese l’abitudine di passare ogni mattina davanti alla calzoleria. Lì dentro c’era un mistero e non si rassegnava a rinunciare di comprenderlo. Per giunta il calzolaio, con le sue frasi enigmatiche, contribuì ad accrescere la sua curiosità, deducendo che fossero rivolte a lui affinché capisse, ma non sapeva cosa. Fu tentato altre volte di ritornare alla bottega per chiedere all’artigiano di essere più esplicito. Se costui avesse la chiave dell’immortalità, perché non avrebbe dovuto farlo partecipe?
Ma un giorno tutti i suoi propositi naufragarono perché, passando di lì vide, che il negozio era chiuso ed un cartello annunciava, Sul vetro una scritta: “CHIUSO PER LUTTO”
IL vecchio è morto, gli disse un vicino e nel tardo pomeriggio la salma sarà trasportata al cimitero.
“E’ morto sulla soglia, vicino al suo tavolo di lavoro, in modo che lo vedessero tutti, come per annunciare che la morte questa volta non lo aveva risparmiato.”
Saro, al momento, ne soffrì come per un parente ed abbassando la testa disse al vicino che avrebbe seguito il feretro.
Quando giunse l’ora, dietro il feretro, c’era lui, quel vicino, il prete e nessun altro.
“E i parenti?” Chiese all’uomo accanto.
Pare che siano tutti morti molto prima di lui.
Rimase sino a tumulazione avvenuta, perché sentiva che quel vecchio glielo avesse a suo modo chiesto.
Doveva archiviare il mistero di lunga vita; quel vecchio si era portato il segreto con sé nella tomba.
Riprese la vita di sempre non trascurando di dare un’occhiata a quella vecchia bottega, come se da un giorno all’altro il mistero si potesse palesare sotto forma di magiche visioni o di premonizioni.
Un giorno un messo suonò alla sua porta e gli comunicò che il notaio della via accanto lo attendeva per il giorno dopo per l’apertura di un testamento. Alla richiesta di Saro di saperne di più, visto che non si aspettava lasciti da alcuno, il messo non seppe rispondere.
Nel tardo pomeriggio del giorno dopo, spinto più dalla curiosità che da speranze reddituali, si presentò dal notaio. Costui era un uomo vestito da becchino con la voce cavernosa che lo invitò a sedersi in una stanza dove c’era un unico testimone. Sarà un errore, pensò, ma subito si ricredette quando il notaio, inforcati gli occhiali, gli chiese di declinare i suoi dati anagrafici: il destinatario era proprio lui. Il notaio cominciò:
“alla mia presenza, notaio …., è qui presente il signor Saro, destinatario testamentale del signore meglio conosciuto come mastro Pep, il quale dispone come erede universale il sopracitato, a cui destina i suoi attrezzi da lavoro, che dovrà conservare in buono stato.”
E fin qui niente che lo meravigliasse, in fondo nell’ultimo periodo erano diventati quasi amici, ma fu quello che venne dopo che lo sorprese:
“lascio al medesimo tanti anni in più da vivere, tanti quanti lui ne possa desiderare. Abbia però l’accortezza che, superata la soglia dei cent’anni, venga a depositare un fiore sulla mia tomba.”
Forse il vecchio si era voluto prendere gioco di lui, per quanto fosse stato insistente nel chiedergli il segreto di lunga vita. Questa era, di sicuro, la ragione di quello strano testamento.
Saro archiviò velocemente quell’episodio, essendosi sentito ridicolo nel credere che esistesse un segreto che potesse allungare la vita dato che, persino il calzolaio, era morto. Tutto quello che avvenne dopo lo considerò come una naturale evoluzione, mai immaginando che fosse opera di una magica profezia.
Compì novant’anni. Compì cent’anni, ma non si recò alla tomba del vecchio calzolaio a posare un fiore. Compì centocinquant’anni e così per altri anni e, come sua abitudine, non festeggiò mai i compleanni.
Ormai le sue giornate si riducevano a lunghe soste in poltrona, senza amici, conoscenti e parenti. Il mondo sembrava si fosse popolato di gente di un’altra specie umana, con cui non aveva alcuna affinità, finché scoprì finalmente di colloquiare con un fedele amico che gli stava sempre accanto. Notò, però, che il viso gli era particolarmente familiare e che ripeteva sempre le sue stesse parole, che decifrava dalle labbra di costui, avendo perso quasi del tutto l’udito.
Un giorno gli pose una domanda:
“perché soltanto tu e sempre tu mi tieni da anni compagnia e non sai dire altro che le stesse mie identiche parole? Rispondimi! Perché vivo così a lungo?”
L’amico rispose in ugual modo: “perché vivo così a lungo.”
Saro comprese che il suo interlocutore aveva i suoi stessi problemi e voleva che fosse lui a chiarirgli il mistero. Si impegnò, perciò, a fornire un’esaustiva risposta. Soltanto allora collegò la sua longevità al lascito testamentale, non spiegandosi, però, come anche il suo interlocutore godesse degli stessi privilegi.
La risposta gli giunse sotto forma del suono del campanello alla porta ed accorse ad aprire.
Sul pianerottolo ad aspettarlo c’era il vecchio calzolaio. Saro non sembrò affatto sorpreso, come se si aspettasse quella visita, pur se gli fece quella strana domanda: “ma non sei morto?”
Si!” ma anche tu sei morto.”
“Che vai dicendo se proprio adesso ho finito di parlare con l’amico che da anni mi consola”
“Fammi entrare e presentami al tuo amico!”
“Ecco! È lì di fronte a te.”
“E’ soltanto uno specchio! Parlavi da anni con te stesso, riflesso nello specchio.
Al compimento dei tuoi cent’anni avresti dovuto portare un fiore sulla mia tomba. E lì avresti scoperto la verità: andiamoci e vedrai!”
Si avviarono verso il cimitero e, giunti presso la tomba del calzolaio, in un’altra accanto, c’era sulla lapide scritto il nome e la data di morte di Saro.
“Allora io chi sono?”
“Tu sei il sogno.”
“Ma se mi rifletto nello specchio non posso non esistere.”
“I sogni sono i riflessi della speranza.”
“Allora sono un sogno?”
No! Tu sei IL SOGNO! Quello in cui sperano gli uomini che desiderano vivere oltre il ciclo naturale dell’umana esistenza. La terra, quando completa il giro intorno al suo asse, ti riporta nello stesso punto ed il secondo giro non può essere una nuova vita o altre esperienze, perché è come rivedere un film già visto, è come se ti sovrapponessi alla vita precedente. Nel secondo ciclo in cui si vuole allungare la vita non si possiede più l’infanzia, la gioventù, la vecchiaia. Si è solamente carne spoglia. Saro non era mai riuscito a comprendere le parole di mastro Pep anche quando costui era in vita ed aggiunse:
“come finisce questa storia? Uccidiamo i sogni?” Il calzolaio rispose:
il segreto di una lunga vita è nel credere che, morire con i sogni, significa vivere in eterno.”
Il vecchio ripeté:
“Nel secondo ciclo in cui si vuole allungare la vita non si possiede più l’infanzia, la gioventù, la vecchiaia. Si è solamente carne spoglia, perché quel ciclo fa parte della nascita e si nasce una volta sola.”
Saro non era mai riuscito a comprendere sino in fondo le parole del vecchio calzolaio anche quand’era in vita e ripeté: “come finisce questa storia? Uccidiamo i sogni?”
“La risposta alle tue continue domande sul segreto di una lunga vita cercala in queste parole:
Il segreto di una lunga vita è nel credere che morire con i sogni, significa non morire mai.”
Atmosfere interessanti, ambientazione giusta per un racconto del genere… Bene. 🙂