Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Miroir de rasage” di Les Ubu

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Se si potessero ricomporre i pezzi di uno specchio andato in frantumi, il riflesso dell’immagine che ci restituirebbe, non sarebbe mai più quello di prima. Osservata attraverso quell’improvvisato caleidoscopio, anche la vita, presenterebbe sfaccettature diverse, facendo dubitare a volte, che siano tutti frammenti della stessa immagine, della stessa storia.

Era stato Réné, il guardiano del faro ad avvisare la Polizia. Il Commissario Gerard Leroux, a bordo di una lancia della Capitaneria di Porto di Morlaix, si dirigeva verso quella barca a vela ormeggiata al largo con un senso di disagio, accentuato dalla fastidiosa sensazione di essere in mezzo al mare, su una barca traballante, una delle cose che lui, uomo di montagna, nato e cresciuto nelle Ardenne, odiava di più. Lo avevano preceduto alcuni uomini delle scientifica.
Lungo la fiancata dell’imbarcazione, legata con una corda marcia, c’era una barchetta minuscola, su cui non sarebbe mai salito, neppure sotto sedazione. La prima cosa che vide fu una vecchia coperta che copriva parzialmente il corpo di un uomo, come ebbe modo di distinguere dai piedi nudi che erano l’unica parte visibile. Alzò la coperta da un angolo, per vedere meglio chi fosse il proprietario di quei piedi. Era un uomo attorno ai cinquanta-cinquantacinque anni, capelli grigi, piuttosto lunghi e mossi, viso molto abbronzato, tipico di chi va molto per mare. Mentre ricopriva quel corpo,  sentì una voce, verso poppa, che diceva: “Aiutatemi a tirarla su!” Il sommozzatore era in acqua e teneva in braccio il corpo di una donna, appena recuperato dal fondale sabbioso. Gli altri agenti si protesero e raccolsero quel corpo adagiandolo nell’unico spazio libero in quella piccola barca, accanto a quello dell’uomo.
Uno degli uomini della scientifica si avvicinò e disse: “Commissario, sul ponte c’era questo”.   Leroux  ebbe un tuffo al cuore. Sentì la testa che cominciava a girare. “Commissario? Che c’è?” gli chiese uno degli agenti. “Niente, niente” rispose alterato “è questa barca del cazzo che mi si muove sotto i piedi! guardò attentamente l’oggetto, senza toccarlo. Non era nuovo per lui: era uno specchietto, ora rotto, in una piccola cornice,  contenuto in una specie di custodia in cuoio. “Manca un pezzo”- disse Leroux, ancora stordito-“guardate meglio”. Dopo un controllo accurato, uno degli agenti intravide quello che stavano cercando, incastrato fra un parabordo e la battagliola. Era il pezzo mancante, ed aveva evidenti tracce di sangue.

DAMIEN
Damien teneva con la mano sinistra la ruota del timone e con la destra la scotta della randa, tentando di mantenere sempre a segno le vele. Aveva  cercato anni prima una barca che avesse tutti i rimandi vicini al pozzetto e che gli consentisse di poter governare da solo l’imbarcazione: l’unico modo per sentirsi veramente libero.
Dopo aver ormeggiato in rada, fu colto da un silenzio assordante, a tratti rotto da un leggero sciabordare, e da quel cielo, puntinato di vita, di luci mai stanche, giunte fino a noi dopo un millenario cammino. L’impegno di manovrare la barca, non gli lasciava mai troppo tempo per alzare gli occhi e godere di quello spettacolo. Per questo, quando la barca fu ferma tra le onde leggere, poté sdraiarsi e respirando profondamente quell’aria densa di mare, perdersi a galleggiare nell’infinito.

LO STUPORE DI GERARD
La breve permanenza del corpo in acqua non aveva modificato i suoi tratti e Leroux la riconobbe immediatamente ma non fu più una sorpresa per lui. Era quello che aveva previsto e temuto.  L’unica cosa che non riconosceva più erano quegli occhi spenti su quel viso cereo, che non dicevano più niente dell’anima di quella ragazza, quegli occhi che tanto lo avevano turbato e in cui lui non riusciva a ritrovare più tracce del proprio passato.
I suoi polsi avevano profondi tagli che avevano causato la morte per dissanguamento. Con un certo sforzo, cercò di riacquistare la sua lucidità e immaginò, dalle tracce di sangue che aveva visto,  che la ragazza si fosse tagliata le vene con quel frammento di specchio e che, appoggiando le mani a quella ringhiera di protezione, che in gergo chiamano battagliola, avesse aspettato la fine, guardando il mare. Lunghi minuti di attesa,  fino a che, perdendo i sensi, era caduta in mare. Restava il mistero della morte dell’uomo, ma il medico legale che stava arrivando ne avrebbe presto chiarito le cause.
MELANIE
Mélanie, se lo avesse potuto vedere, non si sarebbe certamente meravigliata, dello sguardo attonito misto a dolore, tenerezza, profonda tristezza e incredulità con cui il commissario la stava analizzando. L’aveva vista la prima volta in una delle retate di routine, disposte periodicamente, senza convinzione, per ottemperare agli obblighi che il ruolo e le circolari ministeriali gli imponevano. Aveva atteso pazientemente che il locale si fosse svuotato dei suoi volgari avventori, compreso il suo “protettore”, prima di iniziare ad interrogarla.
Aveva alzato lo sguardo per fissarla bene in viso e, come folgorato, era rimasto con il fiato sospeso. L’espressione volutamente inquisitoria, affinata in anni di esperienza, si trasformò in stupore e turbamento. Quegli occhi, quello sguardo … come gli ricordavano Hélène, la sua Hélène. Per il resto la somiglianza non era molta ma l’espressione era la stessa. Quello sguardo passava in un attimo da altezzoso e fiero, quasi di sfida a quello di un cerbiatto impaurito che cercava protezione, proprio come quello di sua figlia. Già…quella figlia, rimata molto presto orfana di madre, quella figlia nei cui rapporto, lui, il Commissario Leroux, era stato fin troppo opprimente e rigido, fino a che lei aveva scelto la vita monastica, come missionaria in Niger, certo per vocazione ma anche per fuggire da un padre opprimente.    

I balordi del porto la chiamavano “la principessa”, ma di certo i suoi natali non erano nobili.  Aveva  cominciato a contare i suoi anni da quel giorno in cui, come una macabra  Venere, era emersa dalle onde furiose, vestita di alghe e livida di freddo. Non aveva alcun effetto personale ; solo una borsa di stoffa con un lungo manico che aveva legato a mo’ di cintura sui fianchi e che conteneva soltanto  un  vecchio specchietto di quelli che gli uomini  usano per fare la barba , che recava sul retro una rozza incisione, fatta a mano con un oggetto appuntito: ” Mia dolce Mélanie, un giorno saprai che farne e riprenderemo a giocare insieme. Tuo padre”. Le era rimasto solo un vago ricordo di un uomo che le faceva divertenti giochi di prestigio con quello specchietto e lei, piccolissima, che rideva a crepapelle.
La sua vita e suoi veri ricordi cominciavano da quel posto sperduto, dimenticato dalle carte geografiche, su quella piccola spiaggia in cui una mattina era stata trovata mezza morta da un balordo che aveva immediatamente capito di aver trovato il suo tesoro personale. Così aveva imparato a guadagnarsi un letto scomodo e una zuppa calda, pagando con l’unica moneta di cui disponesse, il proprio corpo.
Aveva sempre sperato che un giorno, quel mare che l’aveva condotta fino a lì, se la sarebbe pietosamente ripresa. Aveva anche sperato che un giorno qualcuno di quei balordi se la sarebbe portata via,  alla ricerca di quel padre che esisteva per lei solo in quella maldestra incisione sullo specchio. Per questo aveva preso l’abitudine di parlare con quel piccolo e insignificante oggetto, come se avesse una sorta di potere magico che la potesse mettere in contatto con lui.  Le piaceva farlo soprattutto di notte, dopo aver espresso le sue personali preghiere all’unico Dio che conoscesse: il mare.
Il protettore di Melanie se ne andò, bofonchiandole un “sinistro” –  “ti aspetto a casa”, e la lasciò seduta davanti al bancone accanto a quello che, evidentemente, non avrebbe mai potuto essere un cliente  .
Più tardi Melanie, frugando nelle sue tasche, ci avrebbe  con stupore trovato del denaro, che sarebbe servito, forse, a diminuire la sua razione di botte per la serata andata a vuoto. Gerard, il cane da pastore, aveva voluto aiutare la sua pecora a proteggersi dal lupo.
Da quella sera in poi, Melanie non si sentì più tanto sola e ogni volta che qualcuno entrava in quella squallida taverna, sperava di incontrare di nuovo quello sguardo gentile, quasi paterno. Quella ragazza aveva riaperto in Gerard ferite mai guarite. Per Melanie era il suo “strano cliente” che sedeva con lei per una bevuta e poi, passeggiando lungo il mare, parlava pochissimo e non le faceva mai domande indiscrete. Poi, le riempiva le tasche di una mancia generosa e si allontanava.
Quell’uomo di legge, ruvido, riflessivo, divenne, nel suo cuore, un po’ la sua famiglia. A volte fantasticava, immaginando che quel commissario, fosse il padre che non aveva mai conosciuto . Gerard rimaneva in ascolto e, inevitabilmente, il suo pensiero tornava ad Hélène.

DESTINI INCROCIATI
Damien aveva subito, nel corso degli anni, vari interventi chirurgici al cuore, di una certa gravità. Le sue condizioni fisiche erano buone ma una recidiva gli sarebbe stata fatale: sarebbe stato impossibile intervenire ancora. I medici gli avevano raccomandato una vita molto regolare e controllata. Lui aveva sempre amato le decisioni istintive: erano quelle che gli avevano causato meno pentimenti e rimpianti nel tempo. In un flash di pochi secondi aveva ripercorso la sua vita e ne aveva dedotto che quello che avrebbe lasciato non era poi molto. Aveva deciso di vendere quel poco che aveva per comprarsi quella barca: era la sua passione, da sempre. Così era partito per destinazioni ignote seguendo, di volta in volta, quel vento che più si adattava al suo umore.
Si era abituato alla lenta intermittenza della luce rossa del faro che non lo disturbava, anzi, contribuiva ad avvicinarlo al sonno. Ma quei bagliori strani che percepì improvvisamente, in prossimità del faro, erano un’altra cosa. All’inizio gli sembrarono lampi irregolari, poi dopo aver ripreso la normale attenzione, notò che avrebbero potuto essere dei segnali. Per due volte ebbe la percezione di tre lampi brevi, tre più lunghi e tre ancora brevi, come un segnale. Aveva preso la torcia ed aveva cercato di rispondere a quel segnale. Accese e spense più volte la torcia. Dopo vari tentativi pensò di desistere ma rimase vigile.

Melanie portava sempre con sé nella sua borsa sdrucita, quel vecchio specchietto. Era un compagno affidabile che, in maniera a volte cruda, le rimandava il  riflesso del suo  volto segnato da una vita sofferta. Non sapeva ancora quanto quello specchio avrebbe inciso nel suo destino.
Melanie adorava quel vecchio faro .Come altre volte si era incamminata verso quel luogo ideale per guardare il mare, sotto la luce ritmata del faro. Come faceva sempre quando si sentiva più disperata, estrasse dalla borsa il suo specchietto. Si voltò, dando le spalle al mare per poter vedere meglio quella strana iscrizione alla luce del faro e fu allora che proprio quella luce intermittente colpì più volte lo specchio, provocando un luccichio che, nell’aria fredda e buia, poteva sembrare, visto dal mare, una specie di sgrammaticato sos. Quando si voltò vide provenire dall’oscurità quegli strani segnali luminosi.
Salì rapidamente le scale del faro e chiamò a gran voce Réné. Raccontò al vecchio dei lampi che aveva intravisto in mezzo al mare. Lui guardò verso il mare e fece in tempo a vedere l’ultima serie di lampi che provenivano dall’oscurità. “Mélanie!” – gracchiò appena si riebbe dallo stupore – Svelta, vieni, c’è del lavoro da fare! Mélanie, che non sapeva neppure nuotare, lo guardò straniata. Davvero, non sapeva come avrebbe potuto essere d’aiuto. Il vecchio René, troppo vecchio e malandato per poter aiutare qualcuno,  le confidò che poco lontano, seminascosta dai cespugli sabbiosi, c’era una piccola barca di legno, a remi, che usava spesso molti anni prima e della quale non si era mai disfatto. Renè le fece una rapida lezione e Mélanie affrontò con aria di sfida, il mare aperto, dirigendosi nella direzione da cui erano apparsi quei lampi.

Fu allora che Damien sentì un rumore ritmico di acque smosse, che non era quello dell’onda leggera che si infrangeva dolcemente sulla chiglia dell’imbarcazione. Un minuscolo spicchio di luna che emergeva dal lato della terraferma, poco al di sopra delle colline che incorniciavano la baia, gli permise di distinguere una macchia scura, in controluce, una piccola imbarcazione che si avvicinava alla sua con rotta incerta. Quella barchetta puntava proprio sulla sua barca ormeggiata.

DAMIEN E MELANIE
Aveva il respiro corto, affannato, le braccia indolenzite per l’inusuale sforzo, era madida di sudore e, in un attimo, si accorse di avere paura.
Cercò di calmarsi, di ritrovare il ritmo del respiro, aveva sete. La riva era ormai troppo distante per lei e non sentiva più neppure la voce del vecchio René, quando avvistò l’imbarcazione. Allora il coraggio tornò a renderla più forte di prima e, dando fondo alle ultime energie, cercò di attirare l’attenzione  dell’ignoto naufrago.
La situazione iniziale si era ribaltata: l’improbabile salvatrice si era trasformata in naufraga, il naufrago nel più inatteso dei salvatori.
Damien si fece passare una cima e fermò quella piccola barca alla sua, poi protese le sue mani per far salire la ragazza. Fu tutto suo lo sforzo, lei sembrava esausta. Appena toccò il legno del ponte con i piedi nudi crollò fra le braccia dell’uomo. Le sole parole che si scambiarono furono: “Tutto bene?” “Si” rispose lei. Damien stringeva quel corpo che tremava per la stanchezza e per il freddo. Solo la sua borsa, che portava a tracolla, era rimasta asciutta, mentre gli abiti della ragazza si erano completamente bagnati nel mettere in acqua la barchetta di René. Ebbe la sensazione di abbracciare il mare. La sua bocca sfiorava i suoi capelli scomposti e cominciò a baciarli. Le prese il viso fra le mani, la guardò e vide quegli occhi     .
Erano stati i loro occhi a parlarsi a lungo, increduli, meravigliati da quella strana circostanza che si era venuta a creare.  Occhi che non riuscivano a distaccarsi l’uno dall’altra. Un incontro di anime, affamate e assetate, anime che, al primo sguardo si erano riconosciute. Era stato più di un abbraccio di solitudini, ma comprensione intima, profonda. Trasportate da una leggerezza di cui non avevano mai sperimentato l’esistenza, le due anime si erano unite magneticamente e,  come le tessere mancanti di un puzzle senza le quali non si può comprendere l’intero disegno,  avevano dato finalmente un senso compiuto al quadro  incompleto delle loro esistenze    .
Stettero così, sospesi in quella danza senza tempo saziandosi a vicenda la fame e la sete, prendendosi delicatamente cura l’uno dell’altra,   fino a quando, gli occhi pieni di gratitudine  di Damien si riempirono di una luce fredda, buia, distante.

Quegli occhi che fissavano, quello sguardo così distante e freddo.. no , no, no non poteva essersene andato così, senza neppure darle il tempo di conoscere il suo nome. Quel corpo che aveva vissuto con lei gli ultimi istanti, in una comunione perfetta che li aveva visti vibrare di un’armonia che conteneva  l’essenza stessa dell’energia dell’universo, era lì, davanti a lei, immobile. Istintivamente cercò di rianimarlo, coprendolo di baci, quei baci che le donne come lei non riescono mai a dare.  Baciava quella bocca salmastra, quella pelle riarsa dal sole e che le pareva emanare il meraviglioso profumo del mare. Baciava quelle mani, che come nessuno fino ad allora, avevano  saputo accarezzare le cicatrici della sua vita, facendola perfino ridere di loro e invitandola a sfoggiarle come un prezioso tatuaggio, come un inno alla vita . Baciava quei lunghi capelli, quei piedi che chissà quali terre avevano calpestato e chissà dove avrebbero potuto condurla. Poi si ricordò dello specchietto e allora, fremente lo estrasse dalla borsa e glielo pose davanti al naso e alla bocca. Neppure un alito di vita lo appannò.  Deglutì di un dolore sordo e, con la più grande delicatezza, gli chiuse pietosamente le palpebre.

LO SPECCHIO IN FRANTUMI
Nuovamente sola, si rese conto che, dell’unico amore che avesse mai conosciuto, non avrebbe mai saputo il nome.  Rimase lì accoccolata, lasciando che il mare, il suo Dio, cullasse quel macabro abbraccio. Il tempo aveva smesso di scorrere insieme al respiro di Damien. Poi, improvvisamente, capì cosa c’era da fare. Non gridare, nessuno l’avrebbe sentita, non rimontare nel piccolo guscio che l’aveva condotta fin lì. Come un automa sollevò da terra lo specchietto che aveva dato l’ineluttabile sentenza. Le parole di suo padre, le vennero teneramente in soccorso e credette di comprenderne il significato profondo. Mia dolce Mélanie, un giorno saprai che farne e riprenderemo a giocare insieme. Tuo padre”.. Forse anche suo padre era morto e l’attendeva da qualche parte per riabbracciarla.  Prese quel piccolo oggetto e capì che era giunto il momento Si alzò in piedi e barcollando, lo sbattè su una parte metallica della barca . Quel vecchio oggetto, non andò in frantumi ma, si spezzò in due frammenti taglienti. Così lei ne prese uno. Si affacciò al bordo dell’imbarcazione, guardando il mare. Prese quel frammento tagliente e, senza paura, lo fece scorrere decisamente sui suoi polsi,  mentre la sua mente continuava a invocare il “suo” mare che, intenerito, pietosamente l’accolse, ponendo  fine alla sua vita tormentata.

LA PIETÀ DEL COMMISSARIO
Non appena aveva visto la custodia di quello specchietto,  quella sorta di feticcio che Melanie portava sempre con se’, aveva subito capito. Quella custodia era quella in uso in certe istituzioni carcerarie, per la restituzione degli oggetti personali dei detenuti, alle loro famiglie. Sapeva anche che da qualche parte era sicuramente inciso il numero del detenuto al quale l’oggetto era appartenuto. Si trattava di Patrick Dessanges, il padre di Mélanie alla quale probabilmente la madre, per pietà,  non aveva mai detto che il padre era chiuso in un carcere da cui non sarebbe mai uscito.
Di tutto questo, il cane da pastore, non aveva mai parlato a Melanie nell’intento di non privarla dell’unica cosa pulita che possedesse della sua infanzia.
Adesso aveva fra le mani i reperti di quella piccola tragedia umana, di quella storia in cui, si era trovato, suo malgrado, coinvolto sia professionalmente che umanamente. Una custodia che conteneva quella piccola cosa  che continuava a rigirarsi tra le mani robuste, protette da sterili guanti in lattice, e che non si risolveva ad aprire.
Quando riuscì a farlo, lo specchio rotto, ricomposto nei due pezzi, riflesse in modo distorto, quasi comico, il suo sguardo stanco rivelandogli ancora una volta  che il suo intuito da segugio non lo aveva tradito.
Poteva essere soddisfatto: quel caso non aveva richiesto, fino dall’inizio, la ricerca di un colpevole: l’unico colpevole era il destino, o il caso. Era riuscito a ricostruire esattamente tutti i fatti oggettivi della vicenda, ma ovviamente, non tutti gli stati d’animo e i sentimenti che avevano animato i personaggi della storia: poteva soltanto intuirli. Come il suo volto che gli si era mostrato scomposto nell’immagine riflessa dallo specchio rotto, anche nella sua storia restava qualcosa di scomposto e di mancante: era proprio il “suo” pezzo che mancava. Con un gesto improvviso, si alzò e aprì il cassetto dell’ingresso, dove teneva l’elenco telefonico, lo scartabellò rapidamente e compose un numero: “Pronto, Agenzia Intermonde? …., sono il Commissario Leroux, buonasera. Può vedere che voli ci sono da Parigi per il Niger? Come?  … Niamey? …Non so, immagino di si …

FINE

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20 commenti »

  1. Uno specchio rotto, i frammenti riaccostati, che pure restano separati da sottili fessure. Sembrano i fili di una ragnatela che ha catturato e unito le vite diverse dei tuoi personaggi. Brava!

  2. Grazie del commento! Molto efficace l’immagine della tela di ragno..

  3. Sembra un racconto destinato a diventare leggenda, una leggenda da tramandare a chi passeggerà lungo quella riva, nei pressi di quel faro. Bello l’intreccio, il finale lascia spazio a sentimenti positivi, nonostante tutto: una pace ritrovata, un cerchio che si chiude. Complimenti!

  4. Grazie Ester del tuo bel commento. Abbiamo apprezzato tantissimo l’idea che questa storia potrebbe in qualche modo divenire una leggenda da tramandare, una immagine poetica che ci spinge a scrivere ancora storie senza tempo

  5. Il destino la fa da padrone in un insieme di esistenze sapientemente intrecciate. Destino drammatico che non lascia scampo e si porta via tutto ciò che avrebbe potuto essere e non sarà. L’unica via d’uscita, forse, ce la suggerisce il finale. Molto bello, complimenti.

  6. una via d’uscita, una porta socchiusa, una speranza, una seconda chance.. grazie Pasqualini di aver colto questa sfumatura con il tuo bel commento

  7. Mi ha molto colpita il vostro racconto. Ricordo che mi era piaciuto anche quello dello scorso anno che era altrettanto interessante. Bellissima l’immagine di questo specchio rotto con cui si apre la storia. Ma ciò che più mi è piaciuto è che la struttura del racconto riproduce l’idea stessa di specchio rotto. Ogni parte, è un frammento che riflette una sfaccettatura della storia, un punto di vista. Un perfetto esempio di unione di forma e contenuto!

  8. Ci fa davvero piacere ricevere il tuo commento. Anche noi apprezziamo tanto il tuo stile e i tuoi racconti delicati e mai scontati. Grazie di cuore

  9. Complimenti al duo Ubu: bella e originale composizione della storia! Lo smarrimento nel mare buio, un personaggio femminile che viene e ritorna al mare, un amore che brucia in una notte, un dolente e umano commissario francese e il piccolo pezzo di vetro che gli restituisce la strada da prendere. Particolare ed elegante!

  10. Complimenti! Un racconto ben scritto, appassionante, coinvolgente, ma soprattutto armonioso. Il destino, quasi un’armonia prestabilita di leibniziana fattura… Una, sola, unica realtà, che emerge dai punti di vista di più monadi. Davvero un capolavoro!

  11. Ti ringraziamo Marco per il tuo ottimo commento dal quale si evince la grande sensibilità che caratterizza i tuoi racconti.

  12. Bellissimo racconto. Cattura il lettore, è avvincente e al tempo stesso delicato. La struttura narrativa, poi, è perfetta. La metafora dello specchio rotto è usata in modo geniale, e la sua immagine ricorrente dà una meravigliosa chiave di lettura a tutta la storia: quello che si rompe si ricompone alla fine. Lo fa la struttura del vostro racconto e lo fa la vita del commissario. Complimenti!

  13. Al Duo Ubu complimenti per i vostri racconti! Il sapiente articolarsi del destino, con movenze decise eppur compassionevoli, da armonia allo stridore della vita.Bravi!

  14. Bellissimo e struggente anche questo racconto.
    Mi piace molto la vostra scrittura, pulita e elegante, che evoca un pas de deux di voci che narrano storie di coppia e che si fondono sempre in un unica sincronica danza.
    Davvero bravi.

  15. Ringraziamo Michele Capece per il giudizio raffinato e colto che ne dà, indubbiamente oltre le nostre aspettative ed intenzioni nella scrittura del racconto. Ci emoziona sempre comunque scoprire nuove chiavi di lettura e scoprire un interesse nei nostri racconti da parte di sensibilità molto diverse fra loro. Grazie.

  16. Grazie Carola. Noi non potevamo sintetizzare meglio il nostro racconto. Hai detto tutto quello che di essenziale si poteva dire in poche parole. Per noi è un gran premio avere la sensazione che quello che volevamo dire è stato compreso.

  17. Grazie Elisa, ti ringraziamo di cuore per le tue parole che ci servono di stimolo per continuare e rappresentano per noi una grande gratificazione. Ti rinnoviamo i complimenti per il tuo racconto.

  18. Grazie Marcella ci fa molto piacere quello che dici. E’ un gioco molto divertente e a volte complicato riuscire a miscelare le nostre diversità in una scrittura che abbia una certa onogeneità e coerenza. Non sempre si riesce ma quando ci si riesce è veramente bello.

  19. Molto bella questa storia nella storia di cui il Commissario Leroux (nome direi perfetto per un Commissario) tiene ben strette le fila, guardando in tralice, e riuscendo a intravedere un segno, una traiettoria possibile della propria vita, un’altra vita, nei pezzi “frammentati” della vita altrui. Bello anche il passaggio repentino da un punto di vista all’altro, quest’altalena degli sguardi…

  20. Grazie Simona, il tuo commento è bellissimo e il tuo modo di scrivere è veramente affascinante.. La cosa bella per noi è scoprire in commenti come il tuo, alcuni aspetti della nostra storia su cui noi stessi non avevamo posto l’attenzione nella scrittura e che probabilmente sono nati spontaneamente e inconsapevolmente.

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