Premio Racconti nella Rete 2018 “Il libro della mia vita” di Nadia Felicetti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Era diventata masochista, in cerca di qualcuno che la facesse sentire sbagliata. Che la punisse, che la rimproverasse o la ignorasse. Soprattutto che la desse per scontata. E lo trovava. Così la sua maturata idea di non valere niente veniva puntualmente confermata. Quella era diventata la sua zona di comfort, l’unica in cui si sentiva davvero protagonista. Ma tutto cambiò quando, per puro caso, si trovò in mezzo all’evento più sconvolgente della sua vita.
Clarissa Fascetti, Clari, per chi la conosceva, abitava con gli anziani e burberi genitori in un piccolo borgo di provincia. Non particolarmente bella, né giovanissima, tanto meno appariscente, lavorava come receptionist da qualche tempo, più o meno stabilmente, presso la biblioteca comunale di Cacena, una cittadina poco distante. Fare la receptionist in biblioteca è un lavoro sicuramente anomalo. Questo pensò al momento dell’assunzione. Ma tale fu la proposta. All’agenzia interinale, dove ebbe il colloquio di lavoro, le dissero che la figura professionale che loro stavano cercando doveva rispondere al telefono e occuparsi della corrispondenza, tutto qua. Per il resto c’erano le archiviste laureate. E lei, che non era andata all’università e che non possedeva la memoria dell’elefante, accettò subito con piacere. Sapeva di poter contare sul suo sorriso e la sua gentilezza, le uniche doti che fin da bambina le erano state riconosciute e che tutti ormai davano per scontato. E poi aveva bisogno di soldi per capire davvero cosa significasse essere indipendente.
Clarissa aveva molte amiche che la chiamavano quasi ogni giorno. Malgrado l’apparente riservatezza la ragazza godeva in qualche modo di una certa popolarità. C’era Vanessa, una biondina tutto pepe amante della bella vita, che la invitava per uscite mondane dove Clarissa fungeva più che altro da tappezzeria. Poi Lucia, più posata, che le telefonava quando era in crisi con il fidanzato a cui lei elargiva consigli appassionati dopo un’accurata analisi psicologica. C’era Carla, di qualche anno più grande, che le raccontava di essere in contatto con gli spiriti, fatto a cui Clarissa credeva ciecamente. E Lorella, la classica donna in carriera che sembrava sempre in procinto di mollare tutto e partire per le Bahamas, che ammirava incondizionatamente. Amiche che la donna sentiva al telefono almeno una volta a settimana. Sì, Clarissa negli anni si era creata uno zoccolo duro di conoscenze grazie alle quali riusciva ad alleviare il suo innato senso di inadeguatezza. E sentimentalmente? Ecco, dobbiamo ammettere, che anche in quel campo si era arrabattata. Nel corso della vita di corteggiatori ne aveva avuti pochi e per la maggior parte improbabili. Ma lei, così bramosa d’affetto, trascurava ogni evidente segnale negativo e, contro ogni pronostico, si infilava in storie sbagliate e chiaramente dannose. Possiamo dire che nel tempo si era così ben allenata a rivestire il ruolo di geisha che le risultava quasi naturale, spontaneo. E quando non faceva la geisha, era una piacevole dama di compagnia, una consigliera saggia, una persona rassicurante. Tanto che quelli che la conoscevano, sia uomini che donne, non le chiedevano mai se stesse bene, se fosse soddisfatta, se avesse qualche desiderio. La sua presenza era trasparente agli occhi altrui, eppure tutti la cercavano. E Clarissa taceva convinta che, se avesse manifestato le sue idee ambiziose e non sempre concilianti, il fantastico paese fatto di amici e amori che era riuscita con fatica a edificare sarebbe crollato sotto il terremoto delle sue esigenze. Perciò aveva imparato a farsi scivolare la vita addosso senza troppi interrogativi.
Il lavoro di receptionist in biblioteca le piaceva, le dava la possibilità, nei tempi morti, di sfogare la sua vera passione: la lettura. Leggeva di ogni argomento. Qualsiasi libro trovasse sulla sua scrivania, per caso appoggiato dalle archiviste, lo faceva suo. Da un po’ sembrava in preda a una forma bulimica incontrollabile, una fame incessante di storie. Il poter ritrovarsi per ore sola e in silenzio immersa nella lettura, la ricaricava, le dava una sicurezza nuova. Uno spazio diventato ormai necessario. Tanto che arrivò addirittura a pensare lei stessa di scrivere un libro e realizzare il sogno nascosto della sua vita. A casa aveva decine di quaderni di raccontini che nel corso degli anni aveva riempito. Tutti celati in una scatola di scarpe in fondo all’armadio di camera. Nessuno lo sapeva, nessuno conosceva il suo segreto. Era un sogno talmente grande che solo il pensiero la faceva vergognare a morte.
Si fece coraggio e decise, in un impeto d’orgoglio improvviso, di condividere la sopraggiunta idea. In fondo era adulta da un pezzo, non aveva più senso tenersi dentro i progetti. Ne parlò timida prima con colui che rappresentava per lei una sorta di fidanzato storico. Una persona che si era tranquillamente autoproclamata compagno part time, condizione alla quale lei si era con gli anni sottomessa. Poi con la migliore amica. Ma l’espressione di derisione che vide chiaramente negli occhi sia dell’amato che dell’amica fu sufficiente a sfracellare ogni sua nostalgica fantasia. Attraverso il loro sguardo capì che non era in grado, che la sua era un’idea malsana, che non doveva montarsi la testa. L’uomo le disse che doveva pensare a stare bene e accontentarsi di ciò che aveva, l’amica d’infanzia l’avvisò che la scrittura era inutile, non serviva a dimostrare nulla. Raggelata nel cuore dalla loro reazione, si arrese senza replica. Ma iniziò a stare male, a respirare con affanno, fino a quando non accadde l’impensabile.
Cacena era una località modesta e non troppo mondana. Di avvenimenti importanti ne avvenivano raramente, ma il 15 del mese seguente il comune aveva in programma un evento a caratura nazionale. La biblioteca dove lavorava fu deputata dall’Assessore alla Cultura luogo adatto per la presentazione dell’ultimo libro del famoso giallista italiano Manrico Bellofiglio. Clarissa fu informata della notizia soltanto una settimana prima e, anche se Bellofiglio era uno scrittore rinomato, dover rinunciare alle sue letture solitarie in biblioteca nei giorni a venire la rattristò. Fu incaricata dell’allestimento della sala principale, della spedizione degli inviti e dell’organizzazione di un piccolo buffet. Mansioni che svolse senza entusiasmo, per il solo spirito di dovere. Il 15 maggio cadeva di venerdì. Menomale che poi c’era sabato e il suo ragazzo forse le avrebbe proposto, dopo tanto, un’uscita insieme. Ma, nonostante la poca voglia, riuscì a portare a termine in tempo i suoi compiti.
Il giorno della presentazione del libro tutto sembrava impeccabile. La biblioteca aveva un aspetto accogliente e niente era fuori posto. Le sedie nel salone principale erano state allineate in file di 20 fino a un massimo di 5 file. E in fondo c’era la postazione adibita alla receptionist. Il celebre scrittore arrivò in anticipo rispetto all’orario stabilito. Clarissa ebbe anche occasione di presentarsi. Era affascinante Bellofiglio, non si poteva negare, e poi aveva una parlantina brillante e dei modi simpatici. Ma la donna dopo poche parole da lui si congedò. Sapeva che il suo posto era in fondo alla platea a sistemare la pila di libri e là si piazzò. Le persone, invitate e non, non tardarono a comparire. D’altronde Bellofiglio era un giallista molto conosciuto e l’evento era stato ben pubblicizzato. Alle 15.00 l’Assessore alla Cultura iniziò a intervistare l’ospite. La sala era piena. Quasi due ore più tardi e dopo una quindicina di domanda formulate il Comunale si rivolse agli astanti. – Chiunque voglia fare domande a questo punto è autorizzato. Disse con tono secco. E allora accadde. Dalla terza fila un giovane con barba lunga e vestito con un completo nero si alzò di scatto. Clarissa notò subito che teneva una pistola nella mano destra. – Non è giusto! È tutto sbagliato! Sei uno scrittore di merda! Gridò. Bellofiglio sbiancò in un secondo. Il barbone quindi gli puntò contro l’arma mirando alla testa. Clarissa senza ragionare prese un libro adagiato sul banco a fianco e lo lanciò con una forza bestiale. La copertina dura colpì la tempia del contestatore che si accasciò. Le persone intorno restarono immobili. In un attimo Bellofiglio si buttò verso il suo aggressore e lo disarmò. Tutto avvenne in un tempo indefinito. Dopo di che l’Assessore uscì e chiamò la polizia. La folla a quel punto era ormai già tutta fuori dalla stanza. Erano le 17.15 e la biblioteca era vuota. C’erano sono soltanto Clarissa, Bellofiglio e il malintenzionato ormai inerme. Lo scrittore e la donna si guardarono con intensa complicità.
Il giorno dopo, sabato, Clarissa a casa aspettava l’agognata telefonata. Magari il suo amore l’avrebbe portata in giro stavolta. Il display del cellulare finalmente si illuminò. Numero anonimo. – Salve Clarissa, sono Manrico Bellofiglio, ieri lei mi ha salvato la vita! Disse la voce che uscì dal telefono. Clarissa sentì una vampata al viso. Si ricordò immediatamente gli occhi dello scrittore e di come l’avevano guardata. Mai nessuno l’aveva fatto in quel modo. In un attimo la donna vide come in un film tutta la sua esistenza davanti a sé. E sorrise. – Lei ha salvato la mia! Gli rispose. – Come posso sdebitarmi? Replicò l’uomo. – Oggi sono libera, se vuole ci possiamo incontrare. Vorrei parlarle del libro che ho intenzione di scrivere, disse Clarissa ad alta voce. E il suo affanno scomparve in quel preciso istante.
Un racconto pieno di speranza. La vita attraverso episodi casuali porta in maniera impensata alla realizzazione dei nostri sogni. Si potrebbe dire, leggendo, che l’importante anche in una esistenza con molti ostacoli è riuscire a cogliere l’attimo fugace dell’opportunità che il destino o il caso ti presenta. Ho letto molto volentieri, Nadia.
Grazie, e’ proprio quello che volevo trasmettere. Personalmente credo molto nel caso per poi non e’ mai puro caso.