Premio Racconti nella Rete 2018 “La santa” di Eleonora Selvi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018L’ho mandata a chiamare perché mamma è ammattita di nuovo. La luna l’ha fatta ammattire. Ieri era piena e gialla come un uovo e infatti avevo piantato le patate e la terra era umida e la cavalla nitriva come indemoniata. Mamma ha mangiato la polenta, poi ha detto a mio fratello fai stare zitta quelle bestia che sennò scendo giù e l’ammazzo con le mie mani. E a Tonino gli sono venuti gli occhi rossi come ai conigli, ma più cattivi, e ha sbattuto il pugno sul tavolo e ha strillato chi ammazzi tu? Non ammazzi proprio nessuno va a finire che un giorno di questi io ti ammazzo a te!
Poi lei senza dire una parola se n’è andata a letto, mentre Tonino come sempre ha preso la strada dell’osteria e io ho lavato i piatti e le forchette, ho tolto le briciole dal paiuolo e le ho date ai polli e poi sono sceso a rigovernare le vacche. Ma dalla stalla, mentre strigliavo le bestie, all’improvviso ho sentito mamma che strillava come una furia. Sono corso fuori e alla luce della luna l’ho vista, alla finestra della camera da letto che s’affaccia sull’aia, la faccia stravolta, che lanciava di sotto i vasi, il vecchio lume, la statuetta di Sant’Antonio, e mostrava i pugni a nostro Signore gridando le sue maledizioni. Allora sono andato di corsa a casa di Tommasino che vive davanti a noi e ho chiesto alla madre di mandarlo a cercare la santa, che venisse subito. Sono tornato nell’aia che la mia povera vecchia ancora si sgolava e quando sono salito nella sua stanza lei m’ha guardato come se avesse davanti il diavolo, e m’ha afferrato per la gola e sputato addosso certe maledizioni da far tremare. Allora sono tornato dabbasso e mi sono seduto davanti al fuoco spento a finire di pulire il paiolo, e ho aspettato.
La santa è entrata insieme a Tommasino e m’ha guardato con quegli occhi da strega che ti si ficcano nella carne come uncini. E un po’ strega lo deve essere se ha fatto uscire pazzo mio fratello. Da quando è venuta a visitare mamma la prima volta mi pare che lui non ha pace. In paese ha preso a seguirla, al mercato e in chiesa. S’è fatto radere tutta la faccia dal barbiere e io ho capito che era per lei. Domenica a messa non dava attenzione alle parole del prete. Invece aveva preso posto poco distante da lei e la guardava fissa cogli occhi di fuori, come a casa guarda il lardo crudo prima di ingollarselo.
Ma di tutte queste attenzioni lei non se n’è accorta. Perché lei è una santa, mica li guarda gli uomini, e Tonino è un pazzo se pensa che si farà mettere le mani addosso da uno come lui. Ci ha provato quel giorno, mentre lei saliva sulla scala di casa nostra per andare da mamma, e lui dietro, che la spingeva con le sue manacce grosse con la scusa di accompagnarla, ma lei l’ha spinto via e l’ha incenerito col suo sguardo di fiamma.
Bella non è. E’ che con quegli occhi ti lacera il petto, e come è capace di toglierti il malocchio e di cacciare i demoni dalle viscere delle persone, secondo me ti può strappare via pure un pezzo d’anima.
Per prima cosa quand’è arrivata ha messo a bollire l’acqua con le erbe e trafficava in cucina come una vera moglie. Ma le sante non hanno marito. Vanno spose a Dio.
Si doveva essere vestita di fretta per uscire di casa a quell’ora. Portava una camicia di canapa lunga fino al ginocchio e sotto una gonnella di traliccio turchino.
Con l’infuso in una mano e il piattino d’olio bollente nell’altra saliva dritta le scale e io dietro pensando che con quelle gambe svelte e robuste potrebbe salire in alto quanto vuole, senza fermarsi, fino al Paradiso.
Entrammo che mamma se ne stava seduta sul letto con gli occhi stralunati, i pugni stretti, tra le dita i ciuffi bianchi dei capelli che s’era strappata dalla testa, dove le restavano le chiazze spelacchiate come sulla schiena di un cane rognoso.
La santa s’è seduta vicino a lei e le ha messo una mano sulla testa, recitando le preghiere e lei s’è subito calmata. Allora l’altra si è fatta tre volte il segno della croce, ha tirato fuori dalla tasca un sacchetto e con una spilla lo ha appuntato sulla veste da notte di mamma. Poi le ha dato da bere l’infuso e io pensavo che lei l’avrebbe sputato invece se l’è sorbito pian piano, docile come una bambina.
Ha il collo sottile, la santa, e lungo, mica tozzo come le mogli dei bifolchi. E m’ero messo a fissarlo nel punto dove, dietro l’orecchio, le s’arricciavano i capelli che portava tirati su, annodati con un nastrino azzurro sfilacciato, quando lei s’è voltata e ha detto che aveva finito e ha sorriso, con la piccola cicatrice bianca sulla guancia che pareva disegnata apposta. Ha raccolto le sue cose e siamo scesi. La cucina era diventata fredda e Tonino non era ancora tornato. Lei s’è annodata il fazzoletto in capo e i capelli sono scomparsi dentro, e anche la cicatrice, e poi è scomparsa pure lei, fuori, nella notte. Allora, mentre dalla porta me ne stavo a guardare il campo rischiarato dalla luna, ho visto. Ho visto Tonino nascosto dietro il pozzo, che sgusciava fuori e s’incamminava per la strada dove lei era appena passata. E l’ho seguito. Lei era scesa lungo il sentiero che porta al fiume, per tornarsene a casa. E lui appresso a lei.
Ho accelerato il passo, pensando a quella veste lunga che si impigliava tra i rovi, agli zoccoli che incespicavano tra i sassi del fiume. La notte era luminosa e piena di strepiti d’uccelli e io scendevo di corsa giù per la discesa.
Quando sono arrivato era tutto finito.
Il corpo era disteso a terra, in mezzo alle rose selvatiche.
Gli occhi sgranati rivolti alle stelle.
I ciottoli bianchi divenuti rossi e bruni di sangue.
La fronte aperta dalla ferita che pareva una corona di bacche selvatiche.
Mi sono avvicinato, e in ginocchio ho pianto, tenendo quelle mani tra le mie fino a che sono diventate fredde.
Dobbiamo nascondere il corpo, ho detto. E l’abbiamo trascinato in mezzo ai rovi.
Dobbiamo coprirlo, ho detto. E l’abbiamo coperto con le pietre del fiume.
Lavati!, ho detto poi. Ma poiché non si muoveva, e restava con gli occhi fissi su quei rovi, ho lavato io le sue mani dal sangue.
E adesso andiamo, ho detto. Tu per la tua strada e io per la mia.
E sono risalito lungo il sentiero e ho attraversato il campo e sono entrato a casa e sono salito di sopra a vedere mamma, che se ne stava tranquilla a letto, a pancia in su, con le mani intrecciate sul grembo, gli occhi fissi come una morta.
Dov’è Tonino? ha chiesto.
E che ne so, ho detto io. Sarà ancora a ubriacarsi all’osteria.
Ma quando torna?
E che ne so, ho risposto.
Ma Tonino non torna. Non torna più. Tonino dorme giù al fiume, in mezzo ai rovi, mentre io sto qui e me ne vado in giro come un dannato. E aspetto che torni la santa, la zingara, la maledetta che s’è messa in tasca il mio cuore e se l’è portato via come pegno, nella notte, pesante e nudo come una pietra del fiume.
Che bel racconto! È scritto molto bene e cala il lettore in una realtà antica e magica, ma lo stile è moderno, rapido, sincopato, impregnato di oralità. Ho trovato il finale un po’ ambiguo, non so se l’ho interpretato bene, come se si volesse aprire a più possibilità (chi è morto e chi ha ucciso? chi ama chi?).
Grazie Ivana per il tuo commento. Effettivamente volevo lasciare una certa ambiguità e chiarire solo nel finale che ad essere ucciso è stato Tonino.
Così bello che l’ho letto tre volte, di fila. Per capire come questo racconto abbia un sapore antico e sia contemporaneamente tanto attuale. Al di là dell’accadimento centrale, fa in modo che i ricordi contenuti nel nostro cervello rettile, ancestrali, si impongano sulla nostra razionalità. Lo stile sincopato, preciso, non una parola di troppo… bellissimo.
Molto bello Eleonora, carico di sentimenti, misteri ,emozioni, uniti insieme in un atmosfera lontana e ricca di suggestioni.
La tua prosa è semplice e articolata insieme , evocativa e a tratti mistica, resta questo senso profondo di accettazione di un mondo doloroso, dove bene e male sono uniti da fragili confini. Bravissima !
Molto, molto bello, suggestivo e “potente”. Dopo averlo letto la prima volta, quasi mi spiaceva l’omicidio, sarebbe anche potuto finire altrimenti. Poi, invece, l’ho riletto e ci stava e come.
Ti dico solo una mia impressione. Non so come mai, ma leggendolo ho avuto l’impressione che l’io narrante fosse di sesso femminile, e l’impressione è durata sino al termine. Poi, rileggendo, ho trovato in vari punti il riferimento a un maschio. Come ti ho detto non ho capito il motivo di questo mio fraintendimento, ma sarei curioso di sapere se è capitato anche ad altre persone. Se così fosse e tu ne avessi conferma, ti sarebbe facile chiarire in qualche modo sin dall’inizio il sesso di chi racconta. Ma anche una sorella ci starebbe bene, e il suo innamoramento della santa anzi aggiungerebbe qualcosa di “morboso” al racconto. Anche se ormai le relazioni omosessuali sono del tutto normali.
Ancora complimenti.
bel racconto Eleonora. Brava, mi piace
L’ho letto e riletto, anch’io come Oscar Tison e ogni volta mi è piaciuto tanto quanto.
L’ho letto e riletto e, a differenza di Giorgio Leone, ho colto proprio all’inizio del terzo paragrafo un verbo coniugato inequivocabilmente al maschile. E del resto non può essere che un ragazzo quello a cui capita un’avventura tanto balzana come vedere sua madre ammattire sotto la luna. E’ un ragazzo quello che vede la santa trafficare tra le cose di cucina come una vera moglie.
E’ un ragazzo quello al quale viene rubato il cuore, pesante e nudo come una pietra del fiume.
Ma non potrebbe essere che una ragazza quella che trascrive i suoi pensieri con parole così dense e spesse, così intrise di terra e piante e animali, così materiche. Ed è forse questo il senso di spiazzamento che dà questo racconto: l’io narrante che si trascina dietro un sentire tanto greve e, al tempo stesso, così raffinato.
E poi, alla fine sono rimasta sorpresa perché non pensavo che, con il sanguigno Tonino, l’avrebbe spuntata la santa. Anche se si doveva capire, forse, da quell’indugiare nel tenere quelle mani fino a che non divenivano fredde, dal senso di colpa che impedisce di dire l’indicibile…
In bocca al Lupo per il tuo bellissimo racconto Eleonora.
Molto bello questo tuo racconto, Eleonora. Prosa diretta, schietta, che si fà leggere che è una meraviglia. e profondo che ti ammalia. Complimenti.
Intervengo di nuovo su questo bellissimo racconto perché dai commenti che ho letto dopo il mio vedo che suscita dubbi e discussioni. Secondo me è dovuto anche alla sua struttura misteriosa e al grande spazio lasciato al non detto. In particolare è interessante il dubbio che si insinua nel lettore sul sesso dei personaggi. È vero che della voce narrante viene presto svelato il genere ma anch’io all’inizio ho pensato a una donna (il gesto di sparecchiare, riordinare, togliere le briciole non possono che essere femminili in quel contesto), ma non solo, io ho anche avuto il dubbio se alla fine sia stata uccisa la santa o Tonino perché la descrizione del cadavere non ne esplicita il sesso. Credo che tutto ciò sia voluto e contribuisca a rendere questo pezzo uno di quei racconti che continuano a “lavorare” nella testa dei lettori. Per me, ribadisco, un piccolo capolavoro. Chissà se l’autrice ci rivelerà qualcisa o, come i suoi sfuggenti personaggi, ci lascerà nel dubbio. Ancora complimenti Eleonora!
Io non vedo i dubbi di cui tutti parlate, la voce narrante è chiaramente maschile e il morto è Tonio che “…dorme giù al fiume, in mezzo ai rovi…” La voce narrante se ne va in giro come un dannato perchè ha nascosto il cadavere del fratello e aspetta che torni la santa della quale si è innamorato. La parola spetta ora a Eleonora, se ha voglia di spiegarci il suo punto di vista.
Perdonami Pasqualina, ma non sono d’accordo con te. A volte un testo va anche al di là della volontà e delle intenzioni del proprio autore. Non credo di sbagliare nel rilevare qui una certa ambiguità, una confusione di ruoli (ad esempio l’assenza della figura del padre) che contribuisce a dare spessore a una storia che mi pare in bilico tra opposti (amore/morte, antico/moderno). Per me tutto ciò che è scritto, ma anche ciò che non è scritto, in un testo ne fa parte. Questo nulla toglie al valore di questo racconto, anzi, per mio gusto personale, ne aggiunge.
Che bello! Mi è sembrato qualcosa di leggere Beppe Fenoglio, e poi quel finale a sorpresa. Bravissima
Grazie a tutti per i vostri commenti. Il racconto voleva cogliere questo scorcio di mondo arcaico dal punto di vista di un ragazzo di campagna che osserva i movimenti degli altri. Lui è catturato dal fascino di questa ragazzina, una guaritrice (ce ne erano tante in passato considerate tali); il fratello ne è ossessionato e come ha scritto Pasqualina è lui che viene ucciso dalla ragazza, per legittima difesa. L’osservatore aiuta la ragazza a nascondere il cadavere del proprio fratello perché sconvolto dalla passione per lei. Ma forse anche perché riconosce la liceità del gesto di autodifesa. All’inizio stavo andando verso un finale più scontato in cui era lei ad essere uccisa ma poi ci ho ripensato.
Bellissimo racconto. Complimenti!
Molto bello! Non sono in grado di fare valutazioni tecniche. Posso dire però che la forma del linguaggio utilizzato per dare vita ai pensieri del giovane protagonista mi ha immerso completamente nel racconto e mi ha permesso di vederlo coi suoi occhi.
Bellissimo racconto Eleonora. Potente e lucido il punto di vista di un ragazzino; lingua colloquiale, ma non banale, non artefatta. Davvero brava!
Bellissimo. Sospeso in una dimensione in cui tutto è naturale e al tempo stesso incomprensibile, e religione e superstizione convivono senza contrasti. Gesti vecchi di secoli rivolti alla terra e agli animali, personaggi che sono mossi dall’istinto e da forze superiori a loro stessi. Una scrittura materica che si cala in modo straordinario nella testa di questo ragazzo che attraversa la vita fra necessità e destino. Come Oscar, Simona e altri, l’ho letto e riletto, è come calarsi in una musica antica e ipnotica. Eleonora: tutti i complimenti possibili per la tua bravura.
Davvero bello questo racconto, corposo e vibrante, selvatico e profondo. I personaggi hanno vita, e l’ambientazione è ben costruita, nitida e reale.
Eleonora, bello, veramente bello! Una vicenda dal sapore antico, ma che non è detto che oggi non possa ancora ripetersi in piccole realtà, dove, in mancanza di altro, per soddisfare il bisogno si ricorre alla magia e alla superstizione.
Wosh!
Leggendo il tuo racconto sono tornata indietro alla gita scolastica delle elementari, quando ci portarono a vedere L’albero degli zoccoli.
Stesse atmosfere contadine, rese con grande maestria.
Bravissima.
Per amore di statistica, all’inizio anch’io pensavo che il protagonista fosse una donna 🙂
Bellissimo l’incipit e la descrizione dell’ambiente contadino e di effetto la scelta di rendere maschile il narratore che per altro si dedica a faccende domestiche tipicamente femminili in quel tipo di contesto e ambiente!
Ben congeniato il movimento della trama che da lenta, quasi scialba si fa intrigante e lascia il lettore avido di saperne di più e quindi la delusione che la storia si sia interrotta troppo presto.
Eleonora hai le doti dello scrittore navigato sebbene tu sia principiante in questo genere.
Complimenti e spero di leggere ancora altre tue produzioni.
Saluti!
Racconto molto bello e accattivante, stile asciutto, sobrio ed efficace. Il colpo di scena finale è un artificio ben riuscito, che stupisce piacevolmente e spiazza il lettore che aveva immaginato tutto un altro scenario. L’ empatia maggiore che si prova per la figura magnetica della santa porta ad accettare molto meglio la morte del fratello. Brava!