Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Racconto nella rete, da pesca” di Antonio Andriani

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

L’aria del mare

e il freddo dell’inverno,

nell’atmosfera.

 

Termoli, mercoledì 31 dicembre 1930

Mi chiamo Ulisse Marinucci e sono nato in questo paese di mare, di nemmeno seimila anime. Ho la barba nera e

folta ma ben curata, pizzo e baffi abbastanza bianchi. Porto gli occhiali. Sono sacerdote e la mia parrocchia è quella

della cattedrale. Abito a due passi dal duomo, nella parte vecchia di Termoli; non potrei vivere lontano da qui. Il

borgo di pescatori occupa un piccolo promontorio, proteso nell’Adriatico e attaccato alla terraferma per un breve

tratto. L’attività parrocchiale che preferisco è la catechesi con i ragazzi e la carità nei confronti dei bisognosi. Tra

poche ore va via l’anno vecchio e, con i chierichetti, sto preparando la festicciola nel palazzo vescovile. Monsignor

Oddo Bernacchia ci ha dato l’autorizzazione e stiamo approntando gli striscioni con le scritte:

“W IL 1931”,

“AUGURI DI BUON ANNO”

e tanti altri. Stasera, ogni parrocchiano ha una mansione precisa e tutti sono felici di dare una mano per la buona

riuscita della festicciola. Le donne si sono prodigate per il cibo, pesce fritto, che è più facile da mangiare, e dolci in

abbondanza. Il marchese ci ha fatto recapitare un regalo molto gradito, venti litri di un vinello bianco frizzantino con

cui brindare allo scoccare della mezzanotte. Fra i tanti ragazzini presenti, il più bravo a disegnare è Benito. Il padre,

il signor Jacovitti è originario di Ururi e si è trasferito qui prima della nascita del figlio. Con il lapis in mano è

bravissimo, gli ho visto fare miracoli, e fidatevi di me che nel campo sono esperto. Qualche mese fa, mi ha dedicato

una caricatura esilarante. Sono venuto meglio nel disegno che nella foto ufficiale della Diocesi di Termoli-Larino a

cui appartengo.

Il quadretto che mi ritrae lo conservo, gelosamente, nella sagrestia. Poverino, grazie al fatto che è in vacanza e non si

va a scuola, ha lavorato giorno e notte nella preparazione dei fumetti che stiamo affiggendo alle pareti. Ha pure

colorato i festoni che attraversano la volta del salone. I suoi colori danno allegria alla carta da parati in velluto color

nocciola, ormai oscura e sfilacciata, e agli arredi troppo classici e cupi.

D’improvviso, un boato ferma il tempo gelandomi il sangue nelle vene. Trema la terra, anzi il pavimento sotto i miei

piedi, e poi per altri interminabili 10-15 secondi. I festoni, annodati al lampadario, si muovono e ondeggiano manco

fossero in balia delle onde dell’Oceano Atlantico. Molti ragazzi urlano, altri istintivamente gridano aiuto. Vanno tutti

fuori, all’aperto non ci sarà pericolo di crolli. L’antico palazzo ha retto molto bene alla scossa e, qui dentro, non ci

sono danni visibili, è tutto a posto. Ma all’interno siamo rimasti solo io ed il piccolo Benito, immobili ma vivi. I suoi

occhi seppur a distanza sono attaccati ai miei. Lo tengo per mano con lo sguardo e lui accenna ad un sorrisetto

liberatorio. Al boato di poco fa segue uno scricchiolio, non troppo distante da qui. Per buona sorte, non proviene dal

palazzo ma ci costringe ad avvicinarci, finalmente! Lo rapisco, alle sue paure, caricandomelo in spalla. È magrolino,

leggero come un fuscello, e così scendo rapidamente le due rampe della scalinata interna al palazzo vescovile.

Questo fanciullo di seconda elementare mi cinge con le braccia al collo, quasi soffocandomi: “Grazie don, cos’è

questo rumore?”

Tento di rassicurare sia lui che me: “Non so, ora andiamo a vedere, ma tu stai tranquillo che passerà presto!” lo

spero vivamente. Non ho dubbi, lo stridio proviene da oltre le mura, forse nei pressi della porta a terra che sta vicino

al carcere. Moltissima gente è uscita dalle case e corre in quella direzione. Sia io che Benito non abbiamo il cappotto

a proteggerci dal freddo, per la fretta di uscire li abbiamo lasciati nel salone. Manco il gelido vento di levante, almeno

venti nodi, ci infastidisce più di tanto. Al momento, il rumore è appena percettibile ma comunque prosegue. In un

paio di minuti, ci ritroviamo sul luogo dove ho immaginato che fosse accaduto qualcosa.

Lo scenario, apocalittico, è su Via Roma. Squarciata, la strada che dalla marina di San Pietro conduce ai giardini

comunali di Piazza Sant’Antonio. Nei trecento metri interessati, la frattura nel terreno temo sia molto profonda.

Girano voci che sia ancora più sotterranea nei pressi del castello, fatto costruire in riva all’Adriatico da Federico

II di Svevia. Sugli alti bastioni che proteggono la città vecchia, proprio nel tratto che si affaccia su Via Roma, gran

parte dei termolesi assiste a quello spettacolo, purtroppo catastrofico. In men che non si dica, il promontorio in cui ci

troviamo ha mollato gli ormeggi e si sta distaccando dalla terra madre. Per deformazione professionale, la mia

preghiera s’intensifica trasformandosi però in lacrime, non me ne vergogno.

Così è la volta del mio piccolo chierichetto a consolarmi, a tirarmi su di morale accarezzandomi la schiena. Nel

frattempo le campane del duomo, scosse da Tripoli il sagrestano, suonano a distesa per avvertire del pericolo l’intera

comunità, soprattutto quelli che si trovano fuori le mura

DON … DON … DON …

Benito attira la mia attenzione attaccandosi ai peli della barba: “Don Ulisse, ho un’idea!”

In preda ad una visibile euforia creativa, estrae dalle tasche del pantalone alla zuava un foglio di carta, ripiegato otto

volte su se stesso, e poi un lapis ben appuntito ma non più grande di un mozzicone di sigaretta. Avendolo capito al

volo, gli porgo la schiena piegandola a quarantacinque gradi, affinché possa usarla come scrivania.

“Cos’avresti pensato di fare?” chissà in che maniera pensa di salvare il borgo che va rapidamente verso il largo, e che

si muove come una gigantesca barca. Le vele non sono altro che i palazzi più alti e con le facciate maggiormente

estese. Essendo saltata la corrente, sia nelle abitazioni che in strada, il ragazzino è costretto a lavorare al chiar di

luna, per fortuna quasi piena.

Giustamente, si lamenta per le difficili condizioni ambientali “Don Ulì, prima di ogni altra cosa disegnerò un bel

lampione che qui è impossibile guidare la matita, nella penombra diventa quasi impossibile. Poi realizzerò degli

scogli, enormi, che posizioneremo a nord-est del promontorio, per tentare di fermare la navigazione”

Tiro un sospiro di sollievo: “Procedi pure, ma velocemente e che la scogliera sia ciclopica e solida come il marmo,

che possa entrare per bellezza tra le sette meraviglie del mondo moderno, mi raccomando! Ma per lo spostamento,

da qui al muraglione su Via Federico II di Svevia, cosa ti sei inventato?”

“Nulla, è tutto vero. Sto creando seicento cavalli bianchi, sono della pregiata razza Trotta lemme lemme, sono

esemplari sorridenti e forzuti che, però ahimè, fumano come turchi tantissime sigarette al giorno e sono

golosissimi di salami, tipo Milano, rigorosamente provvisti di piedi e quasi sorridenti. Possiedono zoccoli grandi

come tegami rovesciati, utilissimi nel lavoro ma anche per andare in spiaggia. Al termine delle operazioni, dovrò

pagarli, e pure profumatamente!”

“E con che cosa?” aggiungo io preoccupandomi non poco.

Ci sgranchiamo la schiena, io perché mi sono stancato di stare piegato, e lui di disegnare.

“Con del tabacco di ottima qualità e con quintali di salame, ma li pretendono rigorosamente tagliati a metà, sulla

lunghezza dell’intero insaccato. Che pretese assurde!”

Non voglio preoccuparmi dell’aspetto economico, ora sono altre le priorità: “Conta pure sulle offerte che ho

racimolato durante il mese di dicembre e nel periodo di Natale. Ho un bel gruzzoletto, quei soldi sono a tua

completa disposizione!”

Il tono della sua voce si fa robusto e deciso, quasi non fosse un fanciullo: “Mo’ non ho il tempo di ringraziarti, lo farò

dopo, a missione compiuta!”

Mi piego nuovamente sulla schiena ed anche un po’ sulle ginocchia: “Non preoccuparti, procedi pure nel tuo

lavoro!”

Lui ha altre domande da farmi: “Mi manca poco, secondo te quanti metri ci separano dalla terraferma?”

Rimanendo con le spalle a mo’ di scrivania, sollevo la testa scrutando in lontananza: “Occhio e, soprattutto, croce

almeno trecento metri, ma l’oscurità potrebbe ingannarmi. A cosa ti serve saperlo?”

Intento com’è a disegnare sulla mia schiena, ne percepisco i tratti che compie con il lapis e ne sento la voce, ancor più

entusiasta di prima. Certo che i ragazzi riescono a trarre gli aspetti positivi anche dalle esperienze negative: “Farò un

ponte meraviglioso, tipo quello di Brooklyn per collegarci al resto di Termoli, e mica possiamo morire di fame e di

sete. Prima, hai visto che nella fontanella su Via Duomo non scorreva l’acqua?”

In verità, intento e com’ero a correre con lui sulle spalle, non me ne ero accorto: “In effetti non ho sentito il fluire

dell’acqua. A causa del terremoto, sono saltati un po’ tutti gli impianti. Complimenti, la tua trovata è geniale,

ma … ”

Non avendo con se la gomma, il più piccino tra i miei chierichetti cancella bagnandosi l’indice destro con la saliva e

strofinando leggermente sulla carta, facendo attenzione a non bucarla: “Ma … ma cosa don Ulì?”

Nell’intento di non disturbare il suo disegno, trattengo il respiro e ogni tanto immobilizzo questa scrivania anatomica

e rudimentale, andando in apnea: “Da umile marinaio, non mi dispiacerebbe risalire l’Adriatico, in regata fino a

Venezia sarebbe un’esperienza unica, bellissima, ma tu dovresti … ”

Il bambino manifesta il suo entusiasmo, ancor più di prima siamo in sintonia: “Ho capito, disegnerò un emporio

alimentare modernissimo, che non manchi di nulla e che possa rifornire a sufficienza la popolazione che vive sul

promontorio. Male che vada, anche se il negozio non dovesse essere tanto fornito di generi di prima necessità,

avremo pesce fresco in gran quantità!”

Io, da persona navigata ed esperta, sono perplesso ma ugualmente fiducioso: “Non abbiamo reti a sufficienza, mi

raccomando a te, fanne più che puoi!”

La sua voce continua ad essere autoritaria e convincente: “Senz’altro, anche se preferisco farne una immensa, nella

rete tantissimo pesce e soprattutto racconti. Forse, uno è questo!”

 

Adesso, Termoli

non è più promontorio

e va, in crociera.

 

 

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5 commenti »

  1. Originalissimo, simpaticissimo e tenerissimo… Sul finale mi fa venire in mente Gianni Rodari. Ci hai catapultati nel ’31, mi immagino bene il bimbo e il suo “don”, figura un tempo amata e rispettata nelle piccole realtà. Li rendi, con il tuo scrivere, popolari e amici per chi legge: siamo anche noi abitanti del paese, è il nostro parroco, e quel monello lo conosciamo bene. Che bello il disegno, se bastasse disegnare soluzioni ai problemi… Che gran cosa! Grazie per avermi risucchiato dentro al tuo racconto!

  2. Che delizia questo racconto! Bellissima l’idea e l’omaggio che hai fatto a questo sito e a Jacovitti. Mi ha ricordato un po’ La zattera di pietra di Saramago, anche lì a seguito di un terremoto la Penisola Iberica si stacca dall’Europa e parte alla deriva verso il Nuovo Mondo, verso l’avventura e la speranza.

  3. Ringrazio le prime due signore che hanno commentato il mio lavoro; don Ulisse Marinucci non è frutto della fantasia, è stato un sacerdote, ma ora non c’è più; un grande amico per tutta la nostra città!

  4. Carico il commento di un’amica, M. R., che non è riuscita a farlo qui:

    Bravo Antonio, l’ho letto tutto d’un fiato….con la mente ho seguito i tuoi dettagli e ho immaginato tutti gli scenari della nostra meravigliosa città.

  5. Altro commento di una persone che non è riuscita a caricare ciò che aveva scritto, lo faccio io:
    IL TRASPORTO, DOVUTO AL TUO STILE SEMPLICE, CHE UTILIZZA SCENE DI VITA QUOTIDIANA, E’ TANGIBILE SIN DALLE PRIME BATTUTE.
    LA DESCRIZIONE RIVISITATA DI UN RICORDO, EVIDENTEMENTE TRISTE, E’APPUNTO SMORZATA DALLA TUA SPICCATA FANTASIA E DAL TUO SENSE OF HUMOR APPARENTEMENTE NAIF MA CHE INVECE EVIDENZIA, PER CHI E’ IN GRADO DI RICONOSCERLO, UN ANIMO FORTEMENTE SENSIBILE.
    DA CIO’, IL NON VOLERSI DISTACCARE DAI NOMI PROPRI, DAGLI EVENTI, DAI LUOGHI…CHE COSTANTEMENTE RIPROPONI NEI TUOI SCRITTI.
    I LEGAMI CHE SI INSTAURANO TRA LE PERSONE SONO I PUNTI FERMI DELLA TUA ESISTENZA.
    IL SENSO DI PROTEZIONE CHE IL PARROCO DIMOSTRA, E’ CHIARAMENTE QUELLO TUO NEI CONFRONTI DI TUO FIGLIO E QUESTO FA DI TE UNA PERSONA ESEMPLARE.
    IL BISOGNO DI TORNARE INDIETRO NEL TEMPO EVINCE IL DESIDERIO DI “CAMBIARE” LA (TUA) STORIA E RENDERE REALI QUEI LUOGHI CHE SONO PERFETTI SONO NELLA FANTASIA.

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