Premio Racconti nella Rete 2018 “Camogli” di Giorgio Leone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Sulla tela dei pittori e nelle foto dei cellulari le immagini sono tutte eguali, ma nulla mai cambia neppure per chi ci vive dentro. Il porticciolo è sempre lo stesso, caldo e assolato o grondante di pioggia e spazzato dai venti, accarezzato dai riflessi dell’acqua immota e oleosa dei mezzogiorni d’agosto o minacciato dalle onde invernali che sventagliano spuma ribollente sul molo.
Colline verdi incombono alle spalle, ansiose di mantenere le loro promesse, ma il destino e la pagnotta sono sempre stati e sempre saranno sul mare. Rimangono sogni da gita familiare i funghi, le castagne e le noci, i campi da bocce sotto i pergolati, le osterie tra gli olivi, i terrazzamenti coltivati con sapienza, il profumo leggero delle erbe aromatiche e quello acre delle fascine che ardono.
Ruscin era stravaccato sulla sedia con i piedi allungati su una bitta. Il volto butterato mostrava, a fianco degli occhi e sulla fronte, profonde rughe dovute al sole. Sui sessanta, aveva ancora folti capelli bianchi che facevano risaltare l’abbronzatura. Visto davanti e di spalle sembrava solo un po’ sovrappeso, ma la prospettiva laterale rivelava il ventre gonfio che debordava al di sopra della cintura.
Le barche gli dondolavano davanti pigre, muovendosi sotto la spinta continua delle onde, sciabordando e scricchiolando tra cigolii di bozzelli e catene. Nell’aria, un miscuglio assurdo di odori. Cime marce di sale, reti da pesca stese ad asciugare, alghe strappate agli scogli che seccavano al sole, pipì di gatto, diesel, focaccia con le cipolle, e verso mezzogiorno arrivarono dai ristoranti zaffate di frittelle di gianchetti e acciughe impanate. Non restava che capitolare e si drizzò sulla sedia, provvedendo a calmare fame e sete.
Fece un cenno a Pinin, perché lo sostituisse, e andò a prendersi un caffè da Batti. Dentro il bar fu aggredito dall’olezzo di olio solare del quale i turisti si ungevano senza risparmio, quasi in attesa di finire fritti, insieme al pesce azzurro, nella padella gigante di Largo Simonetti. Trovavano sempre il modo di rompere il belino sia quand’erano in pochi, e le palanche mancavano all’appello, sia quando, come quel giorno, a migliaia si impossessavano del paese con l’arroganza dei conquistatori.
Batti, impegnato a fronteggiarne alcuni mentre spremeva un’arancia sino all’ultima goccia, gli lanciò uno sguardo rassegnato. Tutti e due avevano navigato, un paio di volte anche insieme, ma Ruscin era di macchina e Batti di coperta, quindi superiore nella gerarchia marinara non scritta. A suo tempo non aveva mancato di farlo pesare, ma adesso era lui che serviva il caffè all’altro, che ne ritraeva un sottile piacere quotidiano che sapeva di rivincita.
Dopo essere andato al cesso, uscì dalla penombra del bar restando stordito nella luce abbacinante che faceva risaltare, contro il cielo e le nubi, la sorprendente tavolozza delle case sul porto. D’abitudine, il suo sguardo corse alla facciata rosso carminio, che usava insieme ad altri due punti per trovare, quand’era al largo, la secca dove calare i palamiti.
Vivevano immersi nei colori, ma per una maledizione secolare le anime degli abitanti di quella striscia di terra, stretta fra monti e mare, venivano al mondo in bianco e nero come i monumenti funebri al cimitero della Cala dei Genovesi, senza speranze e senza futuro. Quanto al passato, solo occasioni perse, rimpianti e sfortuna. Una misteriosa e micidiale combinazione di negatività, depressione, invidia e rassegnazione che i turisti non potevano comprendere, e la loro allegria chiassosa costituiva quasi un affronto.
Uno dei suoi compiti era quello di andare a prendere gli occupanti delle barche per portarli a terra con la sua a remi, mentre ore prima aveva fatto il contrario accompagnandoli a bordo. Solo poche di esse, infatti, potevano attraccare alla banchina, il posto più ambito perché permetteva di uscire in autonomia a qualunque ora, mentre le altre dovevano ormeggiarsi ai gavitelli sparsi in porto. Quel giorno faceva molto caldo e si respirava l’alito osceno della macaia, il soffio umido, afoso e soffocante della bonaccia pesante. Per più di un’ora non fece altro che andare avanti e indietro sudando, sbuffando e mugugnando, ricompensato solo in parte dai soldi che si metteva in tasca.
Se ogni barca incarnava le possibilità economiche, i gusti, le aspirazioni o la vanagloria del loro proprietario, le mance dipendevano invece dalla sua provenienza territoriale. Quindi poco da sperare da parte dei liguri, genovesi in testa, mentre piemontesi e lombardi erano più prodighi. Giustamente, perché erano quasi tutti antipatici, sbruffoni, supponenti e, tranne qualche eccezione, negati per la navigazione e le manovre in porto.
A proposito di eccezioni, ecco arrivare l’avvocato. Quando l’aveva conosciuto, ne aveva avuto un’ottima impressione ed era rimasto incredulo apprendendo che fosse milanese. Eppure sembrava una così una brava persona, aveva detto a Batti. E infatti lo era. Amabile e educato, innamorato del mare e sempre alla mano, non certo uno sborone, un bauscia. Lo stesso si poteva dire di moglie e figlia, e nel tempo era nato un bel rapporto basato sulla stima e simpatia reciproche. Qualcosa che assomigliava molto a un’amicizia, pur fra persone così diverse.
La barca rispecchiava il suo carattere. Non un volgare e inutile motoscafo veloce, ma una paraggina costruita negli anni settanta in legno fasciame dai Cantieri di Chiavari, perfettamente tenuta. Un capolavoro di eleganza ed equilibrio, che Ruscin venerava e trattava come fosse sua.
Da un momento all’altro il tempo iniziò a peggiorare, le nuvole si addensarono all’orizzonte e le poche barche ancora in mare rientrarono di corsa, molte già con i parabordi calati. Adesso quelle in porto caracollavano stizzite, sollecitate dal vento di scirocco che rinforzava. Le coprì coi teli, cercando di fare in fretta prima che il mostro si scatenasse.
Tornato a terra, alzò gli occhi e, oltre il molo, vide una tromba marina. Sembrava andare verso Genova, ma si stava anche avvicinando a terra. All’improvviso il porto fu schiaffeggiato da vento e acqua e le barche iniziarono a muoversi in modo isterico, come galline in un pollaio quando riesce a entrare la faina.
Rimasto ormai solo in porto si rivestì, pronto per correre in casa al coperto. Ma udì uno strano rumore e vide che il battello del Golfo Paradiso, il servizio per San Fruttuoso, in qualche modo si era liberato e ora la sua prua si muoveva, in un raggio ancora limitato, come fosse un martello. Capì subito che quella che rischiava di più era proprio la sua paraggina e, senza pensarci su, saltò di nuovo dentro la barca a remi. Era quasi arrivato sotto bordo, tenendo gli occhi aperti con difficoltà e governando a stento, quando fu preso dall’impulso violento di tornare a riva. Pensando però al fasciame violato e distrutto, si fece forza e scivolò dentro il pozzetto in tempo per vedere qualcosa di terribile. La tromba marina aveva cambiato direzione e, dopo aver doppiato il molo, stava entrando in porto.
Una raffica lo strappò via, sbatté la testa contro il bordo e cadde in acqua risucchiato verso il fondo. Rimase intontito come in un sogno mentre intorno a lui un mondo confuso ribolliva e si muoveva. Contro le orecchie premevano suoni ovattati sconosciuti, e idee sconnesse gli giravano nella testa. Privo di forze e di volontà, si trovò assurdamente a pensare che, pur essendo vissuto sempre a contatto del mare e di uomini di mare, non sapeva come si annega. Dibattendosi disperato come un pesce o affondando lentamente, con poche bollicine che uscivano dalla bocca, come nel finale di Titanic?
Invece si ritrovò fuori nella violenza dell’acqua, con i polmoni che gli facevano male. Il vortice era ormai a poche centinaia di metri e le barche si stavano distruggendo fra loro, come magari avevano sempre desiderato fare. Era girato verso terra e, quando si voltò e guardò il molo, vide che un’ondata gigantesca stava per abbattersi su di lui. L’avrebbe scagliato contro la fiancata di una barca o il suo corpo si sarebbe fracassato contro la banchina.
Dicevano che in quell’attimo tutta la vita ti passa davanti, ma non era vero. Mentre chiudeva gli occhi aspettando la valanga liquida, pensò solo che sarebbe morto in acqua senza neppure sapere come si annega.
Da ligure non posso che apprezzare l’atmosfera da mugugno di questo racconto! Ma a parte questo mi è piaciuta la tua capacità descrittiva, l’attenzione al dettaglio, la commistione tra sublime e infimo che inoltre si rispecchia perfettamente nell’impasto linguistico.
Da non ligure non posso che apprezzare il commento favorevole di una ligure. Grazie, Ivana.
sicuramente scritta da chi conosce il mare e i suoi personaggi. Ottimo racconto e descritto con sapienza. Complimenti
Scritto bene, molto efficace l’ambientazione, sembra di essere lì. Bello anche il finale.
Rientrata poco fa da Genova in questa domenica sera, ho rivisto tutto. Belle descrizioni e bello il personaggio.
Bellissimo quadro il tuo, Giorgio, dove oltre alle immagini e ai colori del luogo aggiungi odori e sapori. Tutto rimane uguale…sembra così…fino a quando… le forze della natura si scatenano e in poco tempo mandano in frantumi il quadro e ciò che contiene. Mi è piaciuto molto questo contrasto. Bravo!
Grazie dei bei commenti ad Aldo, Marco, Elena e Pasqualina. Contento vi sia piaciuto.
Complimenti Giorgio, bravissimo in tutti i tuoi racconti e in questo su Camogli in particolare: maturo, denso e ricchissimo di vive descrizioni di luoghi, personaggi, odori, paure, atmosfere ed emozioni che rimangono con il lettore. Molto bello per me il passaggio progressivo di ritmo dalla indolente quiete iniziale alla rapida e vorticosa sequenza di azioni e situazioni sempre meno controllabili.
Grazie mille del lusinghiero commento, Marco.
Complimenti, Giorgio. Io sono una ligure di adozione, e anche io amo ritrarre la “mia” terra nei racconti. Tu l’hai fatto superbamente, tanto nelle descrizioni quanto nella mimesi dei personaggi. Molto apprezzabile l’elasticità della narrazione, con variazioni di velocità che ben si adeguano al paesaggio marino che fa da sfondo. Il finale è letteralmente travolgente. Bravo!
Grazie del bel commento, Giada.
Complimenti Giorgio! Camogli era uno dei miei racconti preferiti. L’avevo anche commentato per prima!
Proprio così Ivana, tu sì che te ne intendi!
Grazie ancora.
Giorgio