Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Tributo d’amore” di Giorgio Leone

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

L’amore non è sempre rose e fiori, ma richiede anche un certa dose di sacrificio. Ciò è vero soprattutto quando Cupido trafigge persone appartenenti a culture e religioni differenti, che si devono in qualche modo integrare. Per raggiungere buoni risultati, nel corso del processo qualcuno deve rinunziare a qualcosa. Per quanto riguarda quest’aspetto, credo di aver messo nel piatto un mio contributo più che sostanzioso.

Mi innamorai in età matura, può capitare! Lei era ebrea e aveva genitori ortodossi, che più ortodossi di così non si può. Le domandai di sposarmi.

«Però devi convertirti!» mi disse «Altrimenti non se ne fa niente.»

«Non c’è problema, per te questo e altro! Tanto, molti dei vostri usi e costumi già li conosco. Ho visto almeno due volte tutti i film di Woody Allen.»

«È un ottimo inizio, ma non basta. Per il Ghiur, la conversione in età adulta, dovrai studiare a lungo con un bravo rabbino, ma intanto possiamo portarci avanti con il Berit milà, ovvero la circoncisione. Una piccola rinunzia senza la quale il nostro amore è impossibile, perché non desidero aver contatti con uno schmuck deforme. Ma non ti preoccupare, ci penso io a organizzare tutto e, alla fine, avrai la gioia di offrire a molte persone un sontuoso banchetto kosher. Sarà una festa stupenda!»

Questo non l’avevo previsto e un poco mi spiazzò, ma ormai ero in ballo e non potevo far altro che ballare. Del resto, non è mia abitudine tirarmi indietro quando il gioco si fa duro.

La sera prima della cerimonia mi tenni leggero a cena, come mi aveva raccomandato Rachele. Non avrei neppure potuto bere, ma ero troppo nervoso e mi feci un giro di bar. In effetti sono uno dei migliori clienti dei locali che vendono superalcolici nella zona della movida, anche se da un po’ di tempo ne spuntano come funghi ed è diventato molto impegnativo starci dietro.

A metà mattina mi presentai a casa sua dove i genitori e una cinquantina di anziani con i payot, i riccioli, e la kippah in testa, mi guardarono con fare severo e indagatore. Molti giovani, invece, si davano di gomito, indicandomi e ridacchiando. Rachel mi presentò il mohel, la persona incaricata dell’operazione.

«Si tratta di un caro amico di famiglia, più di uno zio.» mi confidò «Uno studioso molto anziano di grande esperienza, figurati che ha circonciso anche mio padre!»

Non stentavo a crederci. In effetti doveva avere più di novant’anni, le mani gli tremavano e sembrava mezzo cieco. Ci mostrò un sacchetto lercio, dal quale estrasse un paio di forbici arrugginite ancora sporche di quel che sembrava sangue scuro e secco. Le alzò trionfalmente in aria, comunicando che, cinquant’anni prima, proprio con quelle aveva circonciso il mio futuro suocero. Seguirono esclamazioni di giubilo e tutti si voltarono verso di me. Era chiaro che avrei dovuto dire qualcosa.

«Sono commosso. Quale onore, non vedo l’ora di…» ma la voce mi mancò al solo pensiero dell’evento incombente.

«Ai punti ci penserà mia moglie, che in questo è molto più brava di me.» disse il mohel presentandomi una vecchia mefitica vestita di nero, alta poco più di un metro e mezzo. Mi venne vicino, osservandomi la patta come per prendermi le misure, e istintivamente mi ritrassi.

«Non aver paura, goy‘ arelim, ovvero gentile non ancora circonciso. Sei fortunato perché ho le mani d’oro. Guarda che bei lavoretti ho fatto da giovane a punto e croce.»

Attaccati alle pareti c’erano quadretti con vari soggetti che mi indicò orgogliosamente, ma quel che vidi non mi sembrò particolarmente incoraggiante. I muri delle case erano storti come dopo un terremoto, mentre nei ritratti gli occhi non erano mai in linea fra loro, e le bocche troppo alte o troppo basse rispetto ai nasi. Ciononostante gli ospiti si profusero in complimenti sperticati ai quali, per educazione, mi aggiunsi anch’io.

«Naturalmente il tempo passa per tutti, e non sono più quella di una volta» disse con mestizia mostrando mani mostruosamente deformate dall’artrite, mentre tutti minimizzavano «e anche la testa e gli occhi non sono più quelli di una volta, mia cara signora!»

«Guardi che sono un uomo!» risposi, sperando a quel punto di rimanere tale anche dopo l’intervento. Al che lei fece mente locale e sembrò riconoscermi e inquadrarmi, tanto che mi diede un buffetto affettuoso proprio lì. Capii che ormai anche la memoria la tradiva e mi venne la voglia irrefrenabile di scappare, ma poi guardai Rachele. Era bellissima e per lei mi sarei buttato nel fuoco. L’amore è così, non puoi sottratti al suo potere e sei pronto a dare tutto, qualunque cosa ti chieda.

«Bene, adesso però diamoci un taglio!» scherzò il mohel prendendo me e sua moglie sottobraccio «Domandiamo scusa e ce ne andiamo di là. Mettete nel lettore CD un bel klezmer, così tutto risulterà confuso e, almeno voi, non vi accorgerete di niente.»

«Cos’è un klezmer?» chiesi a Rachele.

«Musica ebrea, la cui melodia ossessiva ricorda il pianto umano. Il mohel ne ha scelte alcune dove sono inframmezzati anche numerosi dreydlekh, ovvero interventi strumentali che simulano i singhiozzi.»

Seguiti dai due enormi gatti di casa, ci recammo in uno studiolo pieno di libri sacri polverosi, dove lui mi ordinò di tirarlo fuori.

«Che nostalgia, è una vita che non ne vedo» mi confidò «inoltre l’ho sempre fatto su bambini di otto giorni come vuole il Tanakh. Ehilà, com’è grosso!»

«Modestamente…»

«Di sicuro non c’è da sbagliarsi!»

«Ma guardi che non me lo deve mica tagliare!»

«Ah no? Ha fatto bene a ricordarmelo, mi stavo facendo prendere la mano.»

Proprio quella iniziò a tremargli in modo convulso. Inoltre, dopo avermelo afferrato con l’altra, posizionò le forbici troppo in basso. Esattamente quello che avevo sempre temuto.

«Basta così, dia qua!» gliele strappai di mano appena in tempo, e un’aria delusa e offesa gli si dipinse sul volto.

Per stordirmi il più possibile e farmi coraggio, bevvi vodka a canna da una fiaschetta che tengo sempre nella giacca. Quindi presi fra pollice e indice il prepuzio che, dagli oggi e dagli domani, aveva raggiunto pure lui dimensioni di tutto rispetto. Chiusi gli occhi cercando di tagliare con decisione, ma le lame erano slabbrate per l’inutilizzo e furono necessari vari tentativi. Per parecchio tempo le mie urla sovrastarono la melodia triste del klezmer ed ebbi anche uno svenimento, ma mi ripresi rivolgendomi alla vecchia.

«Presto, mi dia i punti che mi sto dissanguando!»

«Ho dimenticato ago e filo a casa…» rispose affranta.

Per fortuna sulla scrivania c’era una cucitrice da ufficio e me ne impossessai. Come al solito, i punti metallici mancavano e dovetti cercare affannosamente nei cassetti, ma alla fine li trovai e provvidi alle suture strillando ogni volta come un ossesso. Mi riposai, esausto, e dopo circa mezz’ora tornammo in salotto dove avevano già banchettato, non lasciando neppure l’ombra di un knafeh.

«Com’è andata?» domandò Rachele abbracciandomi. Come sempre il suo corpo procace contro il mio provocò una reazione violenta e sentii qualche graffetta saltare.

«Ha voluto fare tutto da solo e ha anche bevuto alcol!» riferì sconsolato il vecchio.

«Qelalàh!» si scandalizzò il padre di Rachele «Per il Talmud l’intervento di un mohel è imprescindibile. Quanto al bere, non ne parliamo neanche… basta, la festa è rovinata! Il Berit milà non è valido e non può dispiegare i suoi effetti.»

A quel punto Rachele scoppiò in un pianto dirotto e sua madre svenne.

«Ma ha già dispiegato i suoi effetti» mi opposi «me ne sono tagliato una bella fetta.»

«Trippa per i gatti!» abbaiò il mio mancato suocero puntandomi contro, come fosse un’arma, la sua enorme barba incolta nella quale avrebbe potuto agevolmente nidificare un tordo. In quel momento compresi che non mi aveva mai accettato come genero e aveva atteso l’occasione giusta per farmi fuori. Intanto un ometto aveva iniziato a girarci attorno con aria soddisfatta, fregandosi le mani.

«Come hai potuto farlo?» mi accusò Rachele «Hai disonorato la nostra famiglia e adesso il rabbino ce la farà pagare molto cara! Ci hai rovinati!»

Mi buttarono in strada dove incontrai, innamorandomene all’istante, Ajsha, principessa Sinti, sottogruppo Piemontákeri, depositaria di millenarie tradizioni rom che mi resero la vita molto difficile quanto a integrazione fra culture diverse, tanto da farmi sembrare una passeggiata l’esperienza della circoncisione.

Ne valeva la pena, però, ma questa è un’altra storia.

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7 commenti »

  1. Giorgio, la tua comicità è tagliente… in tutti i sensi! Ti giuro, mi hai fatto morire dal ridere. Bravissimo!!

  2. Grazie, Margherita, è stata proprio una brutta avventura. Contento di averti divertito.

  3. Racconto divertente e sagace. Complimenti Giorgio!

  4. Che storia! Ridevo mentre mi veniva la pelle d’oca. Complimenti, Giorgio, per i personaggi, per l’idea e per la comicità. In bocca al lupo!

  5. Grazie mille, Francesca e Carola.

  6. Giorgio sei un mito, i tuoi racconti mi fanno riderissimo!!!

  7. Grazie Patrizia, mi fa piacere che ridi,

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