Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Una casa per l’eternità” di Patrizia Gherardi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Non voleva che nessuno alla sua morte si preoccupasse di seppellirlo. Per questo Zhuang Hu aveva deciso di lasciare il villaggio di Quikouzhen, nella contea di Wuyuan, e andare a vivere sulle colline bagnate dal fiume Donghe per costruire lì la sua tomba.

In passato bisognava prendere un autobus per raggiungere la contea di Wuyuan, ma da circa due anni ci si poteva arrivare in sole due ore con i treni G in partenza da Nanchang. Il periodo migliore per visitare Wuyuan è la primavera quando la colza fiorisce e i campi attorno ai villaggi si colorano di un giallo brillante.

Fu proprio durante la primavera del 1991 che un’epidemia di influenza aviaria si portò via la sua devota moglie Fang Li. Si ricordava ancora l’eccezionale fioritura. L’odore pungente di colza impregnava i pensieri. I pollini saturavano l’aria. Il dolore della morte misto all’irritazione per quell’ostentazione della natura scatenarono il lui una violenta allergia. Il puntuale sopraggiungere della congestione nasale, del prurito e della lacrimazione, restituivano ogni anno a Zhuang Hu la sofferenza di quel ricordo.

Passati dodici anni da quell’infausto mese di aprile ebbe la brillante idea di investire tutto il suo tempo e i suoi risparmi nella realizzazione dell’abitacolo che lo avrebbe custodito per l’eternità.

Solo un pensiero aveva provato a farlo desistere, la sua paura incontrollata del krait, il cui nome scientifico, bungarus multicinctus, sapeva ben padroneggiare avendo esercitato la professione di “dottore di villaggio” o più comunemente conosciuta come “dottore a piedi scalzi”.

Il krait è un serpente lungo circa un metro e mezzo, di colore nero alternato da anelli bianchi che coprono tutto il corpo. Zhuang Hu era diventato esperto nel riconoscerne il morso, difficile da individuare giacché non lasciava segni di zanne intorno alla ferita, non provocava eccessivo sanguinamento e gonfiore. Non altrettanto esperto era stato a curarne gli effetti devastanti e quasi sempre mortali.

Si sentiva in colpa di tutti quei pazienti che non era riuscito a curare. Sapeva bene che l’istruzione sommaria che aveva ricevuto gli permetteva di intervenire solo su operazioni di vaccinazione e malattie minori ma quella povera gente poteva rivolgersi solo a lui. Il senso di inadeguatezza provato per le atroci agonie a cui aveva assistito nei molti anni di attività lo avevano reso cinico e, con l’avanzare della vecchiaia, sempre più brusco, persino con Lin, la più giovane e dolce delle sue tre figlie, l’unica che ogni sabato mattina saliva la collina e lo raggiungeva in quel mausoleo saldamente costruito là dove la vegetazione si ferma contro il costone roccioso.

“Padre, torna a vivere nel villaggio. In molti ti sono riconoscenti. Vedrai che non dovrai stare solo. Potrai ricominciare a giocare a Mah Jong.”

Il vecchio Zhuang Hu a volte rispondeva: “Non venire se devi solo dire scempiaggini!”

Più spesso restava in silenzio e porgeva alla figlia una scodella di tè al gelsomino. Su una tavola fissata a un basamento di pietre e disposta appena sotto la finestra dell’unica grande stanza Lin appoggiava guotie e riso in foglia di loto, preparati con cura per essere ingeriti da una bocca oramai priva di denti.

Lui le rivolgeva sempre e solo una domanda: “Quanti sono stati morsi dal krait questa settimana?” e stava ad ascoltare Lin che rispondeva: “Padre devi smettere di pensare a questo serpente. Nessuno lo vede più in giro.”

“Bugiarda! Io ne ho intravisto uno lo scorso mese, era nascosto sotto la sterpaglia e aspettava la notte per entrare nella mia abitazione in cerca di sangue. L’ho cacciato via con un bastone a tre punte quel maledetto!”

Lei lo osservava ricurvo su se stesso, con quei capelli color argento sempre scarruffati e il volto spigoloso come il carattere.

“Padre mio, la tua non è un’abitazione. Come fai a dormire chiuso dentro a quell’involucro di metallo? ho timore di trovarti senza vita soffocato da queste lastre.”

“Figlia se così sarà non esitare a sigillare anche l’ultimo portellone di questo involucro che tu tanto disprezzi.”

Ogni mattina Zhuang Hu apriva gli occhi poco prima del sole. Nella penombra osservava bene che attorno niente strisciasse. Si alzava sempre con più fatica dal funereo e scomodo guscio e cominciava la sua umile giornata fatta di semplici azioni volte ad ultimare quella insolita tomba, ad accertarsi che non ci fosse neppure l’ombra di un krait nella poca radura antistante, a procurarsi legname per il fuoco e riempire la scorta d’acqua. Aveva anche da occuparsi di due galline e qualche quaglia, un sacrificio che tollerava al solo fine di poter avere uova fresche. Non amava gli animali.

Una mattina mentre riscaldava l’acqua per il tè sentì un rumore di passi all’esterno. Non era sabato, quindi non era Lin. Si affacciò indispettito e rimase pietrificato. Mei, la maggiore delle sue figlie, era dinnanzi a lui. Erano due anni che non aveva sue notizie e non si ricordava quando l’aveva vista l’ultima volta. Lei lo fissava come se fosse ancora incerta della sua scelta. Lui abbassò un poco lo sguardo e appoggiato alla donna vide un ragazzino. Con il capino arrivava all’altezza dell’ombelico. Aveva i capelli neri tagliati a caschetto e un carnato chiaro. Indossava una maglina verde marino sopra un paio di jeans consumati e portava scarpe sportive di tela bianca. Era il suo unico nipote.

“Cosa vuoi Mei?”

“Ti ho portato Tian. Starà con te qualche giorno. Devo partire; un lavoro improvviso. Troppo importante. Non ho altra possibilità. Ho provato a chiedere …”

“Non se ne parla, non sarei in grado. Vattene!” e rientrò in casa senza neppure un saluto. Tolse il bricco dal fuoco e fece calare a filo l’acqua nella ciotola, sopra le foglie di tè adagiate sul fondo. Fuori nessun rumore sospetto. Il clima era mite, la primavera inoltrata e il polline dei fiori non riusciva a salire fin lassù. Fece colazione con il cuore pesante. I cambiamenti importanti nella sua vita erano avvenuti sempre in quella stagione. Rimise a posto quei pochi oggetti. Uscì di nuovo e di nuovo rimase impietrito. Tian era lì, solo, fermo, in silenzio, smarrito, con un borsone nero a due manici ai suoi piedi. Zhuang Hu si sentì scorrere il sangue dalla testa fino alle dita dei piedi.

Ci volle un giorno intero per smaltire la rabbia. Non sapeva neppure dove metterlo a dormire. A dire il vero la prima notte Tian dormì su una delle due sedie.

L’indomani mattina da quelle bocche incerte cominciarono ad uscire le prime parole.

“Hai fame?” chiese il nonno. Il ragazzino annuì con la testa.

“Questi bao zi li ha cucinati Lin.” Disse Zhuang osservando per alcuni secondi Tian che mangiava di gusto. “Sai chi è tua zia Lin, vero?” Il ragazzino annuì con la testa.

Una leggera brezza accarezzò il volto del vecchio. Si occuparono di prendere il legname, riempire la scorta di acqua, raccogliere prima le uova di gallina poi quelle di quaglia, preparare semplici ji dan bing per il pranzo, costruire un letto con poche assi, paglia e stracci. Il ragazzino era tranquillo e educato. Chiedeva sempre il permesso prima di fare qualcosa. “Per grazia, nonno, posso prendere io le uova? Nonno Zhu posso provare a entrare nel tuo letto? Nonno Zhu perché è tutto di lamiera? Nonno Zhu a cosa servono questi rami a tre punte?”

Lo chiamava semplicemente Zhu, la sola licenza per cui Tian non aveva chiesto il permesso. Un’abbreviazione fastidiosa la prima volta che il nipote l’aveva pronunciata, ma che non mancò molto ad acquisire le sembianze di una nota musicale.

Il vecchio e il bambino si facevano compagnia, si tenevano per mano, sorridevano.

Ricominciare a sorridere per Zhuang Hu era cosa strana. Seppure quel gesto nascesse spontaneo vi era la tentazione a frenarlo. Poi non ci pensò più e riprese quell’abitudine persa assieme alla moglie. Non pensò più neppure a cosa servissero quei bastoni a tre punte e non si ricordò di mettere in guardia Tian dal Krait e dal suo morso letale.

Appoggiata alla parete est del muro di mattoni del mausoleo c’era una vecchia scala di legno che portava al tetto, un basamento pendente per far defluire la pioggia fatto anch’esso di pietre e cemento. Zhuang Hu non ci saliva più da tempo a causa dei dolori agli arti, oramai irrigiditi dall’artrosi. Tian invece, agile e ardito, si arrampicava fin lassù, si sedeva a gambe incrociate e si divertiva a chiamare il nonno da quell’altezza. Zhuang fingeva di arrabbiarsi.

“Tian, scendi immediatamente. Cosa fai lì? Potresti farti male.”

Una mattina il giovane nipote inerpicandosi come al solito sui gradini della scala, arrivato col nasino all’altezza del tetto vide là sopra un animale arrotolato su sé stesso come se volesse scaldarsi a sole, di colore nero e bianco che, allertato dal rumore, aveva rizzato la testa.

Tian si appoggio col ginocchio sul tetto con l’intento di avvicinarsi curioso. In quel preciso momento un granello di polline di fiore di colza, portato da chi sa chi, si insinuò nelle narici di Zhuang provocando un fragoroso starnuto, mentre un sasso sporgente, proprio dove stava facendo leva il ginocchio di Tian, provocò al ragazzino un dolore acuto.

“Ahia!”

Nello stesso istante in cui veniva lanciato il lacerante grido di dolore, dalle frasche del bosco che coprivano a tratti il sentiero comparve Mei.

“Tian, bambino mio, che hai fatto?”

“Mamma” rispose con la voce spezzata da un inizio di pianto. Ripose i piedini sui gradini uno alla volta fino a toccare terra e corse ad abbracciarla.

Il vecchio, che seduto su un grosso sasso stava ricucendo la manica strappata di una logora giacca, fece appena in tempo ad alzare la testa ed accorgersi ancora una volta di quanto la vita possa cambiare in pochi secondi.

Non ci furono ringraziamenti o parole di affetto. Solo le braccia di Tian strette attorno alle gambe del nonno e la mano ruvida di Zhuang Hu appoggiata con affetto a quel capino nero corvino.

Come era venuto se ne andò. Quanti giorni erano passati? Non ricordava, come se il tempo si fosse fermato.

Attese allora la sera, con azioni lente e ordinarie. Scese la notte e si sistemò dentro il guscio di lamiera lasciando l’ultima parte scoperchiata come di consueto quando si coricava. Quella fresca brezza che oramai si era abituato a riconoscere tornò per un un’ultima volta ad accarezzargli il volto grinzoso. Si copri alla meglio con il braccio sinistro ancora libero. Ringraziò gli dei e gli spiriti del grande cielo pensando che per molti anni aveva creduto di potersi preparare alla morte costruendo un mausoleo esteriore ma con il terrore nell’intimo del cuore. La vita invece inaspettatamente gli aveva offerto l’opportunità di scalzare quella paura con l’affetto. Era pronto. Chiuse gli occhi e alitò l’ultimo respiro.

 

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5 commenti »

  1. Mi è piaciuto molto questo racconto. Mi sono trovato immerso in quest mondo così lontano e diverso dal nostro, almeno da quello attuale. Se avessi letto questo racconto, fuori da questo contesto e senza leggere il nome dell’autore, avrei potuto pensare alla traduzione di un brano di uno scrittore orientale che ha provato in prima persona quelle stesse sensazioni e quelle esperienze. Allora mi chiedo, con una certa curiosità: quali esperienze personali e di vita ti hanno consentito di descrivere così bene quel mondo? … L’odore pungente di colza che impregnava i pensieri … è bellissimo!

  2. Un racconto interessante, sia per l’ambientazione esotica estremamente curata, che per la struttura classica ed elegante. Molto bello lo stile e la cura per i dettagli nei rimandi interni. I due personaggi del nonno e del nipote suscitano molta tenerezza. Segnalo solo che ci sono alcuni refusi che, dato il livello elevato di attenzione anche linguistica con cui il testo è stato scritto, potrebbero essere corretti.

  3. Grazie per i vostri bellissimi commenti.
    Ho fatto correggere i refusi come suggerito.

  4. E’ vero, sembra proprio un racconto che arriva da oriente. L’ambientanzione mi ha fatto venire in mente i film di Kurosowa e l’eleganza dello stile mi ha ricordato vagamente i racconti Akutagawa, ma dentro si vede che è un racconto autentico. L’ho apprezzato particolarmente. Complimenti.

  5. Racconto dai toni delicati, che tocca i tasti giusti grazie ad alcune frasi inserite sapientemente e alla coerenza, molto piacevole, tra il tema, l’ambientazione e il ritmo della narrazione.

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