Premio Racconti nella Rete 2018 “Il paradosso dei gemelli” di Claudio Bacci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Vi è mai capitato di assistere alla dilatazione del tempo come se foste il gemello che viaggia sull’astronave alla velocità della luce?
Ero portiere di una squadra di prima categoria che a poche giornate dalla fine aveva un distacco abissale dalla zona salvezza. Incredibilmente a seguito di alcune vittorie consecutive ci trovammo ad affrontare una partita da dentro o fuori: battendoli ci saremmo salvati. Inutile dire quanto fosse sentita la partita.
Mario è un mio carissimo amico fin dall’adolescenza, di quelli a cui puoi mostrare senza vergogna anche i tuoi aspetti più scabrosi, senza timore dei giudizi. Ma ebbe la pessima idea di organizzare la festa della sua laurea (era diventato un dottore delle piante) in un albergo della Versilia gestito dal nostro amico Paolo proprio il sabato precedente il big match. Sapendo cosa sarebbe stata quella festa avrei voluto dire “No non vengo, Mario, lo so cosa vuol dire” ma non potevo: c’erano amici comuni che era da tanto che non vedevo e poi ci tenevo troppo. Decisi: “Vengo ma non bevo e alle undici sono a letto “
Ben presto la festa prese la piega prevista, oltre agli strumenti musicali, al cibo, avevamo a disposizione il bar dell’albergo e la cosa più leggera che venne servita era l’Angelo Azzurro, un cocktail dal colore aurora boreale e dal contenuto che solo Maurizio conosceva. Il tasso alcolico medio assunse livelli incompatibili non solo con la guida di automezzi, ma anche con il mantenimento della posizione tipica dell’homo erectus. Per fortuna Mario aveva prenotato anche le camere dell’albergo per cui ci sarebbe stata la notte per smaltire le tossine prima di guidare.
Ma io da buon atleta non assaggiai neppure un goccio e prima di mezzanotte ero a letto . “E’ fatta – dissi – ho passato la serata ridendo e cantando ma senza sfarmi, ho nove ore di sonno davanti e domani sarò in forma smagliante”. La convocazione della squadra era alle undici e mezza al ristorante e potevo partire alle dieci dal’albergo : però un altro caro amico, Cassandra Remo aveva previsto che se mi fossi comportato da atleta avrei pagato con una prestazione da ciappacialde, termine nostrano per definire uno sportivo dai riflessi lenti e dalla tecnica scarsa.
Dal secondo piano in cui ero a dormire sentivo un po’ di casino ma riuscii ad addormentarmi quasi subito: ormai erano passati i tempi in cui sentivo la partita e la sera prima faticavo a prender sonno. Verso le due però Remo mi bussa alla porta: “Claudio – disse – vieni che Mario sta male…” “Vai a quel paese” – risposi pensando che fosse una mossa affinché la sua previsione sulla mia prestazione si avverasse “Ti giuro sta male”– “E tu torna a quel paese”. Però nel sonno mi ricordai del mio giuramento di Ippocrate: “Guarda, vengo ma se non è vero ti spappolo”. Scesi e trovai Mario steso in uno stato vicino al coma alcolico con il suo caro amico Mostro di Firenze (un nome una garanzia) che mi ripeteva “Dottore lo finisco ?” mimando il gesto della pistola sulla tempia. Avrei voluto rispondergli “Sì” ma mi sincerai che le vie aeree fossero libere, che il respiro fosse spontaneo, che il cuore battesse: “E’ vivo, vedo che ha vomitato, non dategli altro alcool e chiamatemi solo ed esclusivamente se vedete che alterna momenti in cui non respira…”
Non fui richiamato ma comunque non riposai molto quella notte e quando suonò la sveglia ebbi come il presentimento che non sarebbe stata una giornata facile. Scesi per fare colazione, incontrai il gestore dell’albergo Paolo, che controllava i danni provocati dalla serata, commentando “poteva andare peggio..”. Chiesi notizie di Mario, ebbi la conferma che era ancora vivo, e alle dieci in punto caricai in macchina Giuseppe, detto Scarselli, cugino di Remo, nonché grande sostenitore della nostra squadra, in cui tra l’altro giocavano anche i due suoi fratelli. Scarselli era stato mio compagno alle elementari, ragazzo timidissimo e nel viaggio verso il luogo della convocazione credo che dicemmo forse tre parole (“Speriamo bene” – “Sì”).
Io mi sentivo torbo come se fossi in pieno hangover. Volevo fermarmi a dormire e maledicevo Remo che mi aveva svegliato nella notte quando avrebbe potuto benissimo permettere al Mostro di Firenze di compiere il saggio gesto nei confronti di Mario…
Di quello che successe a pranzo, e del prepartita ho un vaghissimo ricordo, stavo forse già entrando nel mio viaggio iperspaziale. Ho a malapena un’immagine del primo gol subito alla metà del primo tempo: cross rasoterra dal fondo, con respinta mia non troppo decisa e tap in vincente del centravanti nemico (un giornalista avrebbe commentato “non esente da colpe anche il portiere”..). Ad inizio del secondo tempo raggiungiamo il pareggio non ricordo con chi e come.
Ma è a dieci minuti dalla fine, quando stavamo pressando per ottenere la vittoria, unico risultato utile per salvarci, che saluto il mio gemello ed entro nel mio viaggio alla velocità della luce: c’è una punizione a centrocampo per loro, il loro centrale la calcia verso la nostra area ed è allora che il tempo comincia a dilatarsi.
“Sono stanco – penso – eppure sono stato attento ieri, va a finire aveva ragione Remo cavolo era meglio se me ne fregavo e facevo l’alba con gli altri, sorseggiando a più riprese Angelo Azzurro… No dai Claudio, torna con la testa alla partita questo è un pallone facile, che dovrebbe cadere preciso tra il limite dell’area di porta e il dischetto del rigore; ora fai cinque passi chiami la palla e la afferri in uscita, lo hai fatto mille volte non puoi sbagliare proprio oggi, proprio adesso…Ci sono centinaia di persone a vedere la partita, c’è anche tuo padre che non se ne perde una, non sei abbastanza stanco per non riuscire a fare questi cavolo di cinque passi.” La palla nel frattempo ha percorso pochi metri e uno dei due miei centrali sta prendendo la posizione giusta per poterla respingere ed anticipare la loro punta. Magari sta pensando “Sicuramente Claudio me la chiama e io la lascio..”: lui è Giacomo è giovane ma già forte ha fatto un buon campionato e da quando il mister lo ha messo titolare abbiamo subito meno gol: anche lui è artefice del recupero che ci ha portato a sperare nella salvezza.
“Voglio sparire – pensavo – non esisto, lascio respingere Giacomo anche se è una palla mia, non ho voglia, sono nell’iperspazio, anche se tutti urleranno -era tua Claudio!- io lascio che sia lui a respingere… No dai, sei un portiere esperto, tutti si aspettano da te il meglio, 1, 2, 3, 4 e 5 passi, la chiami, la blocchi e rinvii lungo e magari segniamo noi e stasera festeggiamo il miracolo”.
Accanto a Giacomo c’è Ettore, mio compagno di liceo, di calcio, di scherzi, insieme abbiamo giocato trecento partite, sta proteggendo sia la respinta di Giacomo che la mia eventuale uscita.
Nel frattempo la palla è a 10 metri dalla testa del mio difensore che è pronto sia a respingere che a lasciarmela. “Claudio – mi dico – non c’entrano Mario, Remo, Giacomo, Ettore, Scarselli, questa da quando calcio è calcio è una palla del portiere, è uno spiovente da centrocampo, esci cavolo!” “ E va bene…” La palla è a 3 metri da Giacomo, 1, 2, 3 passi la chiamo, lui diligentemente china la testa e la lascia passare, ma io sono in ritardo la palla mi rimbalza davanti, mi scavalca e si dirige verso la porta, sta per entrare, il mio sangue inizia a gelare, ma c’è ancora chi mi può salvare.
“Ettore ti ricordi quante cavolo di volte ti ho aiutato al liceo, i compiti che ti ho passato? Ti ricordi quando andavamo insieme a cercare i fossili col professore di scienze? E quante partite abbiamo vinto a briscola in coppia? Ti ricordi quando venni ai tuoi esami di riparazione a settembre e la prof di italiano incredibilmente mi permise di assistere al tuo esame e di aiutarti, e promuovesti nonostante le 4 materie beccate? E’ vero ho fatto una cavolata dovevo uscire prima ma ora aiutami, leva quella palla che sta entrando a fil di traversa dopo il rimbalzo…” Ettore corre, vuole aiutarmi ma il rimbalzo è stato bastardo, tenta una rovesciata disperata, riesce a toccare la palla “E’ fatta” pensai “ti pago cena Ettore, sapevo che non mi avresti deluso” e invece no, la palla rimbalza sulla traversa ma beffardamente si infila nella porta.
“Angelo Azzurro dove sei” pensai” riempi il mio sangue di oblio, fammi entrare in coma alcolico e risvegliami tra un anno quando nessuno più ricorderà questo spiovente da centrocampo che ha impiegato mezz’ora ad arrivare…” Nessuno dei miei compagni ebbe il coraggio di insultarmi come avrebbe voluto, era troppo il rispetto nei miei confronti; anche il mio gemello, che non aveva viaggiato con me nell’iperspazio e ora era un po’ più anziano, non aprì bocca. Si sentì solo il tripudio dei giocatori e dei tifosi della squadra ospite. E quando stava per riprendere il gioco, si sentì nitido un commento dal pubblico: “Dottore, fatti una flebo!” Ma forse sarebbe bastato un Angelo Azzurro preparato da Maurizio.
Retrocedemmo in seconda categoria.
C’è tanta ironia e, cosa non da poco, soprattutto molta autoironia in questo racconto.
Una scrittura leggera e colloquiale ci fa conoscere una serie di personaggi da Bar Sport verso i quali non può che nascere simpatia, per guidarci poi verso l’epilogo finale, in cui il lettore viene naturalmente trascinato a fare il tifo per il protagonista e sperare che non succeda mai quello che in realtà è già scritto fin dall’inizio della storia.
Molto divertente. Bravo Claudio.
Bel racconto ironico e molto umano,spero poi siate tornati in prima. Scritto bene, complimenti
Grazie mille Paolo, sono contento ti sia piaciuto. In effetti Bar Sport di Benni l’ho letto e riletto decine di volte.
Ti ringrazio dei complimenti Aldo. Purtroppo non siamo mai più tornati in prima categoria. Ti rendi conto?