Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2018 “Ai due lati del muro” di Federica Baggio

Categoria: Premio Racconti per Corti 2018

Quel giorno iniziò come ogni altro giorno da quando si erano trasferiti in quella città. Il cielo grigio d’inverno, la fatica immensa per alzare la testa dal cuscino. Ma poi a che scopo? Il fastidioso ritornello che scandisce il principio di ogni giornata, come strofe di una canzone triste. Giulia agita una mano a mezz’aria per cacciarlo via. Ora lasciami, ci rivediamo domani.

“A stasera amore,” Marco saluta prima di uscire. Poi la sua testa rasata rispunta oltre il profilo della porta: “Ho messo su il caffè.” Le sorride prima di sparire. Giulia resta sola nella penombra della piccola stanza da letto ancora ingombra dei cartoni del trasloco. Sola, avvinghiata in una ragnatela di lenzuola e pensieri, nel letto che da mesi pare essere l’unico posto caldo al mondo. Da mesi, il suo rifugio e la sua prigione. Il gorgogliare insistente del caffè la costringe a srotolarsi dalle coperte e abbandonare la nave. Sul tavolo della cucina c’è un CD. Marco l’ha portato a casa la sera prima. É sicuramente un album di musica rap, che lui adora e che a Giulia non piace per niente. Però le piace guardare lui che la balla e la canta aggirandosi per casa, concedendosi di stonare e scomporre la propria figura altrimenti così ordinata. Giulia libera il disco dalla plastica e si trascina in salotto sbadigliando. Lo infila nel lettore. Riconosce il primo pezzo, l’ha sentito alla radio. É un giovane rapper italiano, che canta dei propri problemi con il padre.

Dopo aver pulito casa, strofinando via uno sporco inesistente, Giulia si siede sul davanzale della finestra. Di fianco a lei, un’orchidea bianca è l’unico adorno nel salotto ancora spoglio. Giulia guarda la strada fuori, il cielo grigio d’inverno. Apre un diario dalla copertina spessa. Ci scrive dentro: Giorno 83. Quando sfumano le note dell’ultima canzone, l’appartamento torna a sprofondare nel silenzio, lo stesso che avvolge l’edificio e la periferia. Con chi condivido questo angolo di cemento? Giulia appoggia un orecchio alla parete fredda del salotto. Chi c’è al di là del muro? Non un rumore. Come sempre. Eppure c’è qualcuno dentro quell’appartamento. Qualcuno che come lei rimane a casa, quando tutti escono. Ogni mattina la finestra vicina viene socchiusa per un’ora o due, per far entrare un po’ d’aria. Anche ora. Giulia la vede riflessa sui vetri del palazzo di fronte.

Forse ci abitano dei muti. Con un piccolo tonfo, un fiore d’orchidea cade sul pavimento. In quel silenzio, il rumore è così forte da farla sussultare. Giulia preme il tasto play sul telecomando. Il CD ricomincia dalla prima canzone. Improvvisamente, una voce di donna si unisce a quella che esce dalle casse. Giulia la sente chiaramente: alterna parole a strani mugolii, cercando di seguire il ritmo della canzone. Giulia abbassa il volume e bussa due volte contro la parete. Silenzio. Ma appena alza il volume, la voce di donna riprende a cantare dall’appartamento adiacente.

            Il giorno dopo, Giulia esce sul pianerottolo, in mano una custodia di plastica con dentro un CD masterizzato. Non ci sono etichette sulla porta dei vicini. Giulia pigia il dito sul campanello, ma quello non emette alcun suono. S’inginocchia sullo zerbino ispido e infila il disco sotto la porta. Lo spiraglio è grande abbastanza da farlo scivolare dentro senza difficoltà. Lo sente sbattere contro qualcosa dall’altro lato, forse la gamba di un mobile. Per un momento resta in ginocchio, col fiato sospeso e le rotule dolenti. Poi percepisce un respiro leggero aldilà del legno verniciato di verde. Un’ombra immobile a un paio centimetri da lei, eppure così lontana.

“Buongiorno…” mormora Giulia senza troppa convinzione. Silenzio. L’ombra si scosta dall’uscio.

            La sera, rientrando, Marco le porge una busta di carta marrone. “Era davanti alla porta”. Giulia l’afferra e ne tira fuori un CD dalla copertina colorata. Shadia Mansour. Sul fondo della busta trova un biglietto: “Play for me? Please. I have no play.

“Cos’è?” domanda Marco distratto. Nell’ultimo periodo si è abituato alle consegne a domicilio.

“Oh, niente, amore. Una roba che ho ordinato online.”

            Rimasta sola, come ogni mattina, Giulia infila il CD colorato nel lettore in salotto. Una voce femminile parte a cantare in arabo su una base rap. Giulia alza il volume. Dall’altra parte del muro, la vicina comincia a intonare. Questa volta sembra conoscere alla perfezione tutte le parole. Giulia si siede sul davanzale, e lascia i pensieri correre insieme al disco.

Per giorni, la vicina le passa album di musica rap in arabo. Ogni mattina, Giulia trova la busta di carta marrone davanti alla porta con dentro un nuovo disco. Dopo averlo ascoltato e riascoltato, lo restituisce alla vicina, riponendo la busta davanti alla porta verde. Da una porta all’altra, da uno zerbino spelacchiato all’altro, la busta fa da Caronte tra le nostre due solitudini.

            “Da quanto tempo non esci, Giulia?” Marco la guarda serio. Non ha ancora toccato cibo quella sera.

“Lo sai da quanto, perché me lo chiedi.”

“Amore,” Marco sospira. “Non ti voglio mettere pressione. Però credo dobbiamo fare qualcosa. Non puoi andare avanti così.” Giulia fissa il piatto. Le carote bollite le ricordano i pasti dell’ospedale. Con una mano si sfiora il ventre ancora gonfio. Tre mesi prima aveva mangiato proprio carote bollite, il giorno in cui aveva perso tutto. Giulia si alza e lascia la cucina.

“Non sono pronta.”

            La mattina seguente, Giulia tira fuori dalla busta di carta un nuovo CD. Questa volta non sembra rap. Al centro della copertina c’è la foto di una bella signora dai capelli color dell’ebano raccolti in un elegante chignon. Umm Kulthum. Giulia ne cerca il nome su Google. “Umm Kulthum è stata una cantante e una musicista egiziana, tra le più celebri e amate in tutto il mondo arabo…”

Una melodia di liuti riempie l’appartamento. Giulia si perde nella voce piena e graffiante della cantante. Chiude gli occhi e per un momento immagina di essere al Cairo, anche lei tra la folla a uno dei plateali concerti di Umm Kulthum. D’improvviso Giulia nota che manca una voce al coro. Appoggia l’orecchio alla parete e resta in ascolto, cercando il canto della vicina attraverso il calcestruzzo. Nulla. Cambia la canzone con il telecomando e attende che la vicina reagisca, ma non un suono emerge dall’appartamento accanto. Giulia esce sul pianerottolo e bussa alla porta verde.

“Signora, tutto bene?” Bussa una seconda volta. Nessuna risposta.

Torna in salotto, apre la finestra e si arrampica sul davanzale. Tenendosi stretta al profilo della finestra si sporge fino a poter guardare attraverso quella della vicina. Le tende sono chiuse. Solo uno spiraglio di un paio di centimetri le permette d’intravedere la donna. É sdraiata per terra, i lunghi capelli neri sciolti e sparsi sul pavimento. Il ventre rotondo come se fosse…

“Ehi! Ehi!” Giulia grida. ln bilico sul davanzale a cinque piani da terra, vorrebbe bussare sul vetro della vicina, ma a ogni tentativo di raggiungerlo rischia di mollare la presa. Giulia rientra in casa e afferra il telefono.

“Mi serve un’ambulanza, subito. La mia vicina è svenuta. É incinta. L’indirizzo… Sì, sì un attimo.” Giulia cerca freneticamente tra le carte impilate disordinatamente su un mobiletto all’ingresso. Trova la busta di una bolletta.

            Ferma sulla porta, Giulia non ha il coraggio di entrare in casa della donna. I paramedici hanno fatto irruzione.

“Non c’è elettricità.”

“Che disastro…”

“Signora, sarebbe meglio che qualcuno accompagnasse questa donna in ospedale.” Un giovane paramedico è in piedi di fronte a lei, mentre il resto della squadra si affretta a trasportare la barella su cui è sdraiata la vicina giù per le scale. “Non abbiamo trovato un telefono o un documento. Non sappiamo chi contattare.”

Immobile sull’uscio, Giulia lo guarda, ma è come se gli vedesse attraverso. Non riesce nemmeno a sbattere le palpebre. Gli occhi le fanno male. “Signora?” la chiama l’uomo alzando leggermente la voce. Giulia sussulta, si gira a prendere la borsa e un mazzo di chiavi e segue l’uomo giù per le scale, sbattendosi la porta dietro.

            “Marco?” Giulia sussurra al telefono. “Ho bisogno che tu venga all’ospedale. No, non preoccuparti. Non è per me. Io sto bene.” Giulia allunga la mano verso l’incubatrice in cui giace un minuscolo esserino violaceo e rugoso. Le ultime parole di sua madre sono state per lei: “Shukran. Thank you.”

L’assistente sociale sarebbe arrivata a momenti per discutere del futuro del bambino. Giulia appoggia il cellulare al vetro dell’incubatrice.

“Ascolta piccolino.” La voce di Umm Kulthum risuona nel reparto. “Non avere paura.”

 

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7 commenti »

  1. Che bel racconto! Ben costruito, appassionante e piacevole al leggersi. Bravissima Federica.

  2. Federica, che racconto coraggioso… Le solitudini, la musica, la vita e la morte, il diverso che poi non è altro che un nostro riflesso… Bello, complimenti, davvero.

  3. Mi piace molto il tuo racconto, ricco di sentimento, di silenziosa condivisione e complicità. La musica e il canto scandisce il trascorrere di due solitudini separate da un muro. A unirle sarà prima la morte e poi la vita. Complimenti, bel lavoro!

  4. Bel racconto!scorrevole alla lettura che tiene agganciato il lettore alla storia!
    Complimenti!

  5. Una storia molto bella per andare oltre i muri e le parole. Un nuovo e inaspettato futuro tutto da costruire che unisce due mondi che devono ripartire da una perdita. C’è molto qui dentro, e si trasmette bene, onde positive. Brava!

  6. Grazie a tutti! Shukran!

  7. Federica complimenti!Ci sono muri che seprano ma nel tuo racconto il muro unisce due vite e da modo ad una terza di venire alla luce.
    Intenso e delicato ad un tempo, brava!

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