Premio Racconti nella Rete 2018 “Il diapason” di Elisa De Leonardis
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Attingesti dal fuoco una fiamma – già pregustavi l’aroma del tabacco, gli occhi socchiusi nel pensiero di lei – quando un calore improvviso ti avvolse in un bagliore di luce, che frantumò il silenzio della trincea.
Un dolce rosso tepore ti riempì la bocca scendendo in un rivolo sul mento, irto della barba di due giorni.
Ettore deglutì.
Sollevò gli occhi dall’ovale della foto – il prozio bersagliere con la chioma nera spiovente sul cappello – poi allungò lo sguardo verso il viale, una giovane donna avanzava di fretta, i mocassini incespicavano sulla ghiaia irregolare.
“Il treno è partito in ritardo e a catena ho perso le coincidenze!” disse lei rivolta ai due operai, quando giunse a pochi metri da loro.
“Ne avremo da lavorare per tutta la giornata per queste due tombe, signorina” rispose l’operaio più basso e tarchiato, mentre con la mazzetta in mano continuava a picchiare contro il marmo.
L’altro operaio, più alto e magro, venne fuori con un balzo dallo scavo, indossava un maglione infeltrito dalla polvere su una camicia a quadri, i pantaloni spinati un po’ corti scoprivano robuste calze di lana.
“Piacere, sono Ettore, il nipote di Michele, il bersagliere” disse porgendo la mano alla ragazza, appena lei li raggiunse.
Emma non si era accorta di lui, vide un uomo giovane, in completo scuro, una sciarpa anch’essa scura serrata intorno al collo.
“Mi chiamo Emma” disse corrispondendo al saluto “sono la nipote di Agnese”.
Si ravviò i lunghi capelli rossi raccolti alla nuca da una fascia a fiori che scopriva un incarnato rosa porcellana, un giaccone di pelle troppo largo beccheggiava sulle spalle esili.
“Augusto, dammi una mano a spostare questa lastra di marmo” chiese l’operaio più tarchiato a quello più alto.
Si posizionarono ai due capi della lapide e ad un tacito segno di assenza la sollevarono insieme, deponendola a terra su quattro sassi.
Emma abbassò lo sguardo ed incrociò quel volto di tre quarti, florido nei suoi antichi vent’anni, i capelli raccolti in un morbido chignon, qualche riccio non domato dal pettine solleticava la nuca, la camicetta era turgida come i seni.
La gallina cuoceva per il brodo della puerpera, le donne di casa concitate si alternavano per darti conforto, gli uomini anziani da basso a fumare, quelli giovani in guerra.
I teli bianchi ed i catini con l’acqua scaldata sul fuoco, la levatrice china sulla porta del mondo, paonazza ed imperlata di sudore.
Quando portarono in superficie la bara della bisnonna, Emma ebbe un moto di disgusto misto a compassione, di raccapriccio e di tenerezza.
Il mandorlo al di là del muro di cinta mostrava già i primi boccioli, una coppia di germani si rincorreva nelle fughe d’amore.
Emma conosceva poco di lei, in casa avevano sempre evitato l’argomento, cantava l’opera, nubile, morta di parto, la sua piccola orfana portata lontano, dagli zii torinesi.
Ettore le propose di fare due passi, camminavano in silenzio nel viale dei cipressi, il sole di marzo incostante si insinuava tra le fronde, illuminando a tratti spicchi di strada.
“Viene da lontano?” chiese Ettore, sfiorandosi il mento fresco di rasatura.
“Da Torino”, rispose Emma, “la mia famiglia vive lì da almeno due generazioni”.
“E lei?” chiese Emma, mentre frugava nella borsa.
Ettore non rispose, finché Emma non si voltò verso di lui.
Lasciò perdere la borsa, infilò le mani in tasca e gli chiese “Lei vive qui a Pistoia?”
“No a Roma, da tanti anni, ho studiato lì”, rispose lui.
Emma passò minuziosamente le mani tra i capelli, finché trovò un piccolo nodo, lo portò come un trofeo davanti agli occhi ed iniziò a districarlo con devozione, come una catenina d’oro, quella sottile sottile della prima comunione, quando si annoda sul comodino.
“Studio anch’io” disse Emma- “al conservatorio, suono il pianoforte”.
Il sole si era fatto più caldo, ed Ettore allentò la sciarpa sul collo, scoprendo il colletto da sacerdote.
Emma portò avidamente una sigaretta alle labbra un po’ screpolate ma carnose, pigiò più volte l’accendino con la mano destra, la sinistra a scudo del vento.
Appena la fiamma colorò di tenue rossore un angolo del tabacco, aspirò profondamente sollevando le spalle, così che il verde muschio dell’abito di velluto avanzò per un buon palmo dall’orlo del giaccone.
Avrebbe voluto scomparirci dentro.
La sagoma del suo corpo apparteneva solo a se stessa da quando il suo ventre – silenzioso e caparbio – aveva iniziato a crescere.
“Il bersagliere era suo bisnonno?” chiese Emma.
“No, un mio prozio” rispose Ettore “morto in guerra allo scoppio di una granata, non so molto di lui, nella sua bisaccia lasciò poche cose, una gavetta di latta e una busta destinata ad una donna”.
“E non le fu mai recapitata?” chiese Emma.
“Non c’era scritto il nome, né l’indirizzo, ma solo “all’amore mio” – rispose Ettore – “nessuno sapeva nulla di lei”.
“E cosa conteneva la busta?”, chiese Emma.
Ettore frugò nella tasca interna della giacca, ed estrasse una busta ingiallita con gli angoli consunti, fragili come ossa morse dall’osteoporosi.
Estrasse un biglietto – le tre parole vergate con un pennino blu chiaro – e un diapason.
“Un diapason!” esclamò Emma.
– Dono ben strano – pensò lei – guardando una foglia accartocciata che il vento di primavera non aveva ancora spazzato via.
“Lo provi”, disse Ettore porgendole il diapason.
Lei fece vibrare il piccolo strumento, lo avvicinò all’orecchio accordandosi al la, mentre il sole di marzo illuminava il viale, di fine inverno.
“Se le fa piacere, può tenerlo”, le disse Ettore.
Lei ringraziò, chiuse il diapason nel pugno, Ettore lo sigillò con le mani a conchiglia sulle sue.
Emma affondò l’inaspettato dono nel buio della tasca, nelle pieghe del tessuto, lo tastò minuziosamente, come chi indovina dalle forme il nome delle cose.
Poi arricciò le labbra, e sorrise.
Strinse il diapason nella mano e non disse nulla.
Elisa sei Bravissima ! Il tuo racconto è un meraviglioso acquerello, le parole sono tratti di colore definite con precisa consapevolezza. Solo il necessario assoluto,senza traccia di sbavature, con sapiente uso di una profondità temporale e un affascinante intreccio di storie. Particolari che richiamano dettagli e poi tutto risulta chiaro nella prospettiva.
Veramente straordinario. Un senso di eleganza e passione mi resta nell’animo dopo aver attraversato il percorso nella mente per trovare le chiavi di tanta bellezza. Grande scrittrice!
WOW!!!che complimentoni, Gianluca!
Grazie del bellissimo commento e del tempo che mi hai dedicato leggendomi.E’stato il primo commento e di grande incoraggiamento!
Brava Elisa. Un racconto delicato, ma potente. Molto il non detto, e questo aspetto a me piace molto. Lascia al lettore una maggior libertà di interpretazione e permette di entrare veramente nella storia per rivederla, continuarla….
Grazie Laura delle belle parole che mi hai dedicato.E’vero, c’è del non detto perché questi personaggi sono dei tipi molto… indipendenti ed imprevedibili anche per me!!
Questo racconto è una poesia. Le descrizioni sono bellissime, fotografiche. Mi hai portata lì, tra Ettore e Emma, avevo anch’io il diapason in tasca. Grazie per aver dipinto questo piccolo, delicatissimo quadro e complimenti!
Grazie di cuore Federica per aver paragonato il mio racconto ad un piccolo quadro, io non so dipingere ma il mio papà dipingeva, e quindi per me è un po come se continuassi -in un altro modo – la sua passione!
Narrazione bellissima, arriva al cuore della storia servendosi di immagini profonde, essenziali. Bravissima, racconto stupendo.
Grazie Pasqualina per aver letto e commentato il mio racconto.Ho descritto le immagini che man mano hanno preso forma davanti ai miei occhi..sperando che fossero visibili anche a quelli dei lettori!!
Un racconto di rara eleganza, Elisa, che rivela una grande padronanza degli strumenti della scrittura. Se Emma ha trovato il diapason per accordarsi ai suoni della musica, tu ne tieni in mano un altro, per accordare parole e storie!
Grazie della lettura e dell’apprezzamento, Ivana!
Sono certa che ciascuno di noi ha un diapason magico per accordare parole e storie!
Elisa, che bello! Dolce narrazione di una storia che parla d’amore, di guerra. Della morte che infrange sogni e del tempo che, con un piccolo strumento, ricompone le note stonate della vita di allora e di oggi. Con poche parole, sei riuscita a farmi immaginare l’intera storia di Michele e Agnese, mentre ero lì con Ettore e Emma. Bravissima!
Grazie Ester!Quanti spunti di riflessione e chiavi di lettura!Mi piacciono “le note stonate della vita” come le chiami tu, basterebbe accordarsi al la’ e trovare l’armonia!
Che brava Elisa! Il tempo che gira e ritorna a chiudere con grazia le cose rimaste in sospeso. La vita, la nascita e la morte raccontate con la naturalezza e la serenità che solo una lunga prospettiva temporale può consentire. Hai una scrittura straordinaria nel trasmettere immagini, pause, colori, sapori e amosfere. E nel diapason ci sono tutti i simboli della storia, i due rami da cui ne nasce un terzo, la nota che puo’ nascere solo da due anime in risonanza.
Grazie Marco per aver letto e commentato il mio racconto condividendo “le risonanze” che ha evocato nel tuo cuore!
E’ così bello questo racconto al punto che avremmo voluto scriverlo noi! 🙂 E’ poetico nei primi versi, lo è altrettanto nei passi successivi. Veramente complimenti di cuore!
Davvero felice del vostro apprezzamento!E siccome vale doppio, grazie grazie!!
Elisa! Quanta bravura e dolcezza nei fotogrammi che hai fatto scorrere sotto i miei occhi, dai quali posso immaginare tutti i film possibili, e rivedere e rivivere ricordi, anche i miei, perché mai si ingialliscano o si sgretolino.
Hai ricevuto commenti fantastici e sono d’accordo in tutto e per tutto, quindi complimenti e bravissima.
Grazie Marcella!evocare in chi mi legge assonanze ed emozioni che vanno ben oltre il mio racconto è per me come partire -felice- per mondi lontani e sconosciutissimi!grazie per avermi presa a bordo!
Un tratteggio dolce che disegna i due personaggi in modo lieve e, nel contempo, pareggia i conti di più vite, in modo impari, ovviamente. Come succede nella vita e nei migliori racconti. Complimenti veri.
Simona grazie per aver letto e commentato il mio racconto!Sono d’accordo con te, la vita ha un’algebra tutta sua e una prospettiva temporale che travalica le singole esistenze. Ci sarà un disegno più grande??!!