Premio Racconti nella Rete 2018 “Un biglietto per due” di Vincenzo Lerro
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Camminavano spediti, mano nella mano, con passo diseguale.
Il Piccolo uomo faceva un po’ fatica, sembrava arrancare per tener dietro a quelle scarpe nere che tante volte aveva calzato solo per gioco, e di nascosto.
Il Grande uomo sembrava non curarsi di quell’esile ritardo, di quella lieve dissonanza: era abituato a condurre per mano, con presa salda e sicura, il Piccolo uomo. Una presa come una promessa, quella di arrivare a destinazione senza incidenti, senza errori. Sani e salvi. E soprattutto in fretta.
La destinazione, quella volta, era una novità, una vera primizia.
Qualche giorno prima, durante la sosta davanti all’occhio rosso di un semaforo, in una via laterale rispetto alla grossa arteria principale che vomitava fiotti di lamiere finemente cesellate, un ometto piccolo piccolo, magrolino e con un collo sottile
sormontato da una testa sproporzionata al resto del corpo, ma con un sorriso simpatico e radioso, aveva donato ai due, il Grande uomo (che guidava) e il Piccolo (che stava comodamente seduto sul sedile di destra) un biglietto omaggio per assistere allo spettacolo del circo appena giunto in città.
Un foglietto giallo e rosso, di carta patinata, pubblicizzava le fatidiche virtù di quell’evento. Al centro del biglietto, a caratteri decisamente cubitali, campeggiava una scritta che avvisava l’ignaro lettore sgombrando il campo da qualsiasi dubbio o
fraintendimento. Quello non era un circo qualunque, era L’UNICO CIRCO SPAZIALE. Una scritta obliqua tranquillizzava, opportunamente, l’occhio e la tasca: OMAGGIO, c’era scritto.
L’ultima riga in basso, stampata con grafia assai minuta recitava ammiccante: Valido per Un Adulto e Un Bambino. Ma era scritto proprio piccolo, tanto che il Grande uomo dovette avvicinare il biglietto ai suoi occhi tanto azzurri quanto pigri.
Nel frattempo una luce verde, occhieggiando meccanicamente dal semaforo, scatenò una babele di clacson spazientiti. La vettura, dopo meno di un istante, cominciò a
muoversi tossendo e sbuffando. Ma solo un po’.
«Vi aspettiamo!», ebbe il tempo di gridare con ardore l’inserviente del circo.
Questione di un attimo, poi quella figura cominciò a rimpicciolire nello specchietto retrovisore. Dapprima scomparvero le braccia e le gambe, rimase solo una specie di rettangolino variopinto, la sgargiante pettorina che l’omino indossava. Poi solo un
puntino lontano. Poi più nulla, se non un ricordo dai contorni appena sbiaditi.
A casa parlarono tanto, di quel biglietto omaggio. Si scambiarono le più varie congetture sul conto di chi gliene aveva fatto omaggio e sul perché. Poteva essere tutto e il suo contrario… Un tranello, un’imboscata, oppure… un semplicissimo invito al circo, nulla di strano.
Non erano più abituati il Grande e il Piccolo ad essere invitati da chicchessia. Men che meno, GRATIS. Non si fidavano più di nessuno, non avevano rapporti con nessuno. Niente parenti, niente amicizie. Solo loro due, binomio indissolubile.
Su una cosa, però, erano d’accordo. Entrambi. L’uomo Grande e quello Piccolo concordavano sul fatto che l’avvento di quel circo, del CIRCO SPAZIALE, fosse cosa davvero eccezionale. Non servivano altre parole: avevano deciso. Entrambi. Per il circo. Nemmeno di un circo qualsiasi, di quelli… non spaziali.
Una folla d’immagini strampalate popolava la sua testolina. Pensieri, forme e colori che si rincorrevano come nubi sospinte dal vento in un cielo di primavera. Personaggi reali e fantastici si azzuffavano e ruzzolavano per poi rialzarsi e cominciare daccapo
sotto un tendone che al Piccolo uomo sembrava più grande dell’universo intero.
Animali mai visti obbedivano mansueti e disinvolti allo schiocco secco di una frusta maneggiata con incredibile perizia da domatori che di umano non avevano nemmeno le sembianze…
Fu così che già l’indomani, quando il giorno iniziava ad arrendersi alla notte e il sole era da poco inciampato dietro le cime più alte dei monti, i due uscirono di casa con la ferma intenzione di andare al circo.
Nessuno avrebbe potuto fermarli.
Camminavano spediti, mano nella mano, con passo diseguale.
Questa volta il Piccolo uomo, ebbro d’eccitazione, riusciva quasi a tener dietro al passo del Grande, tanta era la fretta di arrivare. Il secondo, a sua volta, nella solita falcata dissimulava la stessa agitazione del primo.
Voltato un angolo, superato un quartiere fitto fitto di palazzi e opifici, saracinesche abbassate, luci accese nelle case e tramestio di stoviglie, i due si avvicinavano lesti ad un grande spiazzo e man mano che i loro quattro piedi lasciavano alle spalle cemento,
polvere e mattoni, iniziarono ad intravedere, prima in modo acquoso, poi sempre più nitido e definito, i contorni di un immenso tendone da circo. Non c’è che dire: l’immensa struttura dominava la scena. La riempiva, addirittura.
Era rosso e giallo, alto come quattro piani di un condominio. Il diametro simile a quello di un campo da calcio. L’abbinamento di quei due colori, giallo come il sole e rosso come il sangue, non erano passati inosservati: senza rallentare, era bastato un
semplice sguardo d’intesa per sollevare l’animo turbato dei due uomini. La strada era giusta.
Ancora pochi minuti e sarebbero arrivati in prossimità dello spiazzo.
Intanto, proprio in quel momento, indovinarono l’ombra scura e persistente di una lunga teoria di gabbie, quasi tutte delle stesse dimensioni. Dietro alle sbarre si potevano intuire sagome indistinte di animali che di spaziale non sembravano avere proprio nulla.
A pochi passi dalla biglietteria, un casotto basso e tozzo, di un azzurro un po’ stinto dall’usura e consunto dalle intemperie, i due si accorsero, non senza un minimo d’imbarazzo, di essere gli unici spettatori seriamente intenzionati ad entrare. Non
c’era coda al botteghino, anzi, non c’era proprio nessuno… Stramaledetta crisi, pensò corrucciato il Grande.
Quasi increduli, si affacciarono per mostrare alla cassiera il prezioso biglietto omaggio.
La donna, il volto incorniciato da una capigliatura rossa, troppo rossa per non essere posticcia, non rivolse loro nemmeno una parola, di cortesia o di circostanza: solo una leggera increspatura delle labbra, pesantemente pittate anch’esse di rosso, e un lieve
sobbalzo degli zigomi imbellettati per nascondere l’insolenza del tempo che passa, diedero ad intendere il via libera.
Gli occhi non si erano mossi, fissi verso una dimensione non meglio precisata. Fu quel particolare ad incuriosire e forse a spaventare i due uomini. La donna, non più giovane, ma di un’età indefinibile, aveva le sembianze di un manichino senza vita. Un
automa. Ecco, quella era la rappresentazione più corretta: un automa… da circo.
Questione di poche frazioni di secondo e con un altro sguardo d’intesa il Piccolo e il Grande consolidarono il loro coraggio, seppellirono ogni dubbio e senza ostacoli mossero sicuri verso tendone.
Nei pressi dell’ingresso riconobbero lo strano omino, sì proprio lui!, quello che aveva donato loro il famoso biglietto variopinto: confabulando con altri due inservienti, teneva svogliatamente tra le dita una sigaretta ridotta a mozzicone.
L’espressione cupa dei tre poteva, forse, essere collegata all’indicibile penuria di spettatori, oppure a chissà che.
La maschera, con un sorriso stirato, prese il tagliando dalle mani dell’uomo Grande, lo strappò esattamente nel mezzo e glielo restituì. A qual punto, con un plateale movimento del braccio destro, spalancò il tendone in dicando ai due la direzione da
prendere per andare ad accomodarsi sulle gradinate desolatamente vuote e, con un inchino poco convinto, li invitò ad entrare.
L’interno del circo contrastava con l’esterno come il giorno dalla notte: un’incredibile opulenza di luci e colori colpì a tradimento le pupille dei nuovi arrivati.
L’impressione fu quella di aver appena sbattuto contro un muro sfavillante. Ma si riebbero in fretta. Allora il Grande fece strada, inoltrandosi in un dedalo di plastica e metallo per raggiungere i seggiolini delle primissime file. Il Piccolo lo seguiva da
presso con il cuore in tumulto.
Guadagnarono la prima fila e si sedettero, trepidanti.
Bastò pazientare una manciata di secondi poi, nel loro campo visivo, a partire dal lato sinistro, entrò di corsa, con incedere plastico ma con un bizzarro zig zag, quello che ad ogni buon conto doveva essere il direttore del circo. Arrivato a pochi metri da loro,
si piantò lì davanti, dritto come un fuso, elegantissimo, proprio come ogni direttore di circo terrestre, e dopo aver salutato il pubblico, cioè il Grande e il Piccolo, iniziò a snocciolare un programma che sembrava lungo come la Quaresima: animali,
domatori, funamboli, clown e prestigiatori si sarebbero alternati ad un ritmo forsennato per fare in modo che il pubblico, sbalordito e ammirato da quel caleidoscopio di numeri e attrazioni “si dimenticherà persino di respirare!”
Così promise il direttore! E al Grande quelle parole sembrarono più una minaccia che una promessa… Gli parve quasi di essere un ostaggio, invece che un semplice spettatore. Nella sua mente, foschi presagi iniziarono a farsi largo. Titoli di giornali a
tutta pagina avrebbero strillato il loro rapimento e poi, magari!, benedetto la liberazione.
Prigionieri del Circo Spaziale
Vengono liberati dopo ore di sequestro grazie all’intervento delle forze dell’ordine.
Odissea al Circo Spaziale
Due nostri concittadini tenuti per ore in ostaggio all’interno del tendone
E via di questo passo…
Fino a quando i primi artisti, accompagnati dal baccano di un’incalzante marcetta, raggiunsero il centro della pista. Salutarono, si inchinarono, si disposero lungo il perimetro e iniziarono a volteggiare scambiandosi di posizione.
Lo show era iniziato. E il Piccolo, in effetti, si era già dimenticato di respirare. Con le braccia lungo i fianchi, protendeva il collo come un cucciolo in attesa di un prelibato bocconcino.
Di tanto in tanto, il Grande lo osservava incuriosito, senza avere cuore di distrarlo.
Quindi tornava anche lui a farsi ipnotizzare dall’abbacinante luccichio dello spettacolo.
Di numero in numero, di attrazione in attrazione, in un tempo senza tempo, un clown che ricordava Charlot annunciò con consumata mestizia la fine della serata. Si accostò al pubblico con passo sbilenco e chiese al Piccolo di allungare le sue piccole
braccia, di tenere le mani aperte come per ricevere un dono e, soprattutto, di serrare le palpebre. Il Grande osservava la scena pieno di orgoglio, un sorriso garbato percorreva i tratti del suo viso.
Quando il Piccolo poté finalmente aprire gli occhi, osservò incredulo, con mani tremanti, una grossa ma leggerissima sfera di cristallo. La avvicinò a sé e la guardò con espressione interrogativa. Charlot mimò di agitarla. Il Piccolo obbedì, ma continuava a non capire. Gli sembrava di avere tra le mani uno di quei souvenir che
girati sottosopra simulano mille fiocchi di neve a ricoprire monumenti e città. Ma in quella stravagante palla di vetro la neve era solo una possibilità…
Ancora una volta fu il clown a dare istruzioni, facendo capire che occorreva avvicinare il viso alla sfera.
Fu proprio in quel momento che il Piccolo vide distintamente una cosa incredibile:
all’interno della palla si scorgeva un circo in miniatura, proprio come quello in cui si trovavamo loro. Anzi, era proprio il loro.
Spaventato, alzò immediatamente lo sguardo verso il Grande, che a propria volta si avvicinò alla sfera. Aguzzarono la vista. Entrambi.
Insieme videro e si videro all’interno di quella palla con la stessa prospettiva di un’aquila che volteggia nel cielo. Smarriti, cercarono uno gli occhi dell’altro, e vi si persero dentro.
Un attimo dopo non videro più nulla.
Camminavano tranquilli, mano nella mano, con passo diseguale.
Intorno a loro solo una luce bassa, soffusa, come di una nuova alba o di un ultimo tramonto. Davanti, una lunga strada dritta, pianeggiante. Senza curve né mezzeria.
Wow. Un mondo, un rapporto e la magia. Tutto in poche cartelle. Complimenti. Bello il racconto, perfetto lo stile. Un’ironia adulta, uno sguardo che sa.
Brtavo, davvero.
Grazie di cuore, Laura. Orgoglioso della tua recensione!!!????????????????????????
I punti interrogativi, nelle mie interazioni, erano degli emoticon… 🙂
Leggo e cerco di immaginarmeli, il Grande e il Piccolo, così mi si parano davanti delle illustrazioni, accurate, come di un libro, ma non per bambini. Questo circo è un circo strano, ad un tratto temo che appaia Pennywise! Mi fai rammentare anche i personaggi illustrati dei video dei “Gorillaz”, non so se hai presente…
Il tuo racconto evidenzia la tua capacità di rappresentare e rendere visibile un qualcosa di irreale e sconosciuto. Mi piacciono poi molto alcune minuziose descrizioni, gli occhi azzurri e pigri, la figura che scompare nello specchietto, il sole che inciampa, l’incedere plastico.
Complimenti, soprattutto per l’unicità dello stile!
Molto particolare, simbolico, evocativo, magico, in una parola surrealista. Pieno per me di richiami cinematografici ben oltre quelli del circo, da ladri di biciclette a the road. Le due figure, che sembrano aliene più al vecchio mondo che al nuovo. Il biglietto come titolo di ingresso e di viaggio, il passaggio attraverso il doppio portale concentrico del circo e della bolla. Viaggio o ritorno, alba o tramonto? Uau! Mi piace molto il fatto che lasci il lettore pieno di domande, con tante immagini e simboli da interpretare o solo da lasciare all’inconscio.