Premio Racconti nella Rete 2018 “Alla ricerca di sè” di Martina Tenti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Avevano appena finito di cenare. Il caldo era così opprimente che l’unica soluzione per rilassarsi era di stendersi nello sdraio in giardino, ma quella sera Emma era più silenziosa del solito e rimase ancorata alla sedia della cucina fissando il tavolo. La madre guardava attentamente il suo comportamento, cercando di percepire cosa le passasse per le mente da portarle tanto sconforto. La fase investigativa durò poco, dato che Emma, non riuscendo più a tenerlo per sé, o probabilmente volendo altri pareri, disse: «Mamma.. perché non piaccio a Marco?» , domandò con profonda tristezza.
«Come mai questa domanda? Cos’è successo a scuola? », rispose la madre con sorpresa.
«Pensavo di piacergli, invece l’ho visto baciare Lucia.. perché non sono bella come lei? », chiese la piccola con una tal dolcezza che la madre non potè far altro che prenderla tra le braccia e sussurrarle: «Tesoro, ora ti racconto una storia.. ».
Il mondo era frenetico attorno a lei. La folla correva e si spintonava: era come se tutti fossero in ritardo per appuntamenti importanti o semplicemente sentivano la necessità di uniformarsi alla massa in quel trambusto. Giulia era appena scesa dal treno e le mancava il respiro; era appena arrivata e non vedeva l’ora di andarsene da quella stazione così affollata e caotica. Per arrivare alla sua nuova casa avrebbe dovuto percorrere trenta minuti di tragitto a piedi: questi si rivelarono terrificanti ma allo stesso tempo inebrianti. Finalmente riusciva a respirare, non solo aria buona che mancava all’interno del treno, ma anche aria di libertà e leggerezza, poichè era riuscita ad andarsene dal luogo in cui da sempre si sentiva rinchiusa, senza opportunità e senza sviluppi per la sua vita. Percorreva la strada con uno sguardo curioso misto a paura, osservando le attitudini delle persone che le sfilavano davanti e cercando di coglierne le peculiarità e il buffo accento. Ben presto scoprì che erano poche le persone del luogo e che, per la maggior parte, la città era frequentata e ravvivata da ragazzi provenienti da tutt’Italia. La cosa un pò le diede sconforto, in quanto fremeva d’impazienza nel poter imparare l’accento locale che tanto adorava, ma allo stesso tempo era estasiata di fronte a quella miriade di persone provenienti dai più disparati luoghi, le quali come lei erano in cerca di una rinascita e di nuove sfide. Dopo circa quindici minuti arrivò in prossimità di un ponte e, nell’attraversarlo, si fermò: il tramonto a cui stava assistendo era un qualcosa di sensazionale, come se si trovasse di fronte al dipinto Crepuscolo a Venezia di Claude Monet. Improvvisamente si estraniò da tutto ciò che la circondava. Rimase sola. Era sua consuetudine commuoversi di fronte a un tramonto, sia per il suo spirito romantico, sia per la venerazione che provava nei confronti dell’immensità della natura e della sua emblematica bellezza. I colori sembravano attrarsi tra loro, come se non riuscissero a mantenere la propria identità, erano mescolati e sfumati a formare un connubio di magnificenza e perfezione. Mentre guardava quel tramonto, riusciva a percepire le vibrazioni della propria anima. Rimase in quello stato di estasi e di malinconia fino al crepuscolo, poi capì che era ora di andare e tornò sui propri passi verso casa. Il viaggio era stato lungo e la stanchezza incombeva su di lei, anche per l’importante peso della valigia che si portava appresso. Stava per crollare, quando la vide. La Torre Pendente, simbolo di Pisa, era il motivo della cotanta affluenza di stranieri nella città, i quali rimanevano increduli e paralizzati di fronte a essa. Giulia era una studiosa, e sapeva perfettamente la spiegazione scientifica che aveva procurato la celeberrima pendenza della torre ma, nonostante ciò, rimase affascinata dalla struttura e dal bianco, candido e attraente marmo con il quale era stata realizzata. L’ambiente era curato nei minimi dettagli, dal prato tagliato con una precisione del centimetro alla pulizia della piazza stessa. La torre, insieme al battistero di San Giovanni e alla cattedrale di Santa Maria Assunta, dava un senso d’importanza solenne e storica alla zona circostante e, per quanto Giulia volesse rimanere ad ammirare quella maestosità, dovette rimettersi in cammino. Finalmente arrivò davanti al portone, salì la scalinata ed entrò in casa. Quest’ultima era veramente essenziale: c’erano un bagno, una cucina e tre stanze adibite a camere da letto. La camera di Giulia era la più piccola e ben presto scoprì essere anche la più fredda, ma la cosa non le importava, perché finalmente aveva il suo piccolo spazio da condividere solo con i propri pensieri. Il mattino seguente, e quelli successivi, vennero impiegati da Giulia per esplorare la nuova città: fu così che trovò la pescheria di fiducia, la biblioteca più silenziosa per studiare e il bar in cui poter bere un buon caffè. L’iperattività e la voglia di trovare sempre cose diverse da fare rappresentavano i tratti salienti del carattere di Giulia, ma ogni giorno aveva un appuntamento fisso con se stessa: la sera puntualmente andava a correre, velocemente e tenacemente, come se la velocità le permettesse di bruciare tutti i pensieri accumulati durante la giornata, fino a raggiungere il posto più adatto per poter contemplare il suo amato tramonto. Proprio così, il tramonto. Quello era l’unico momento della giornata in cui poteva esternare i propri sentimenti e riflettere sulla propria vita, su quella passata a tratti da dimenticare, su quella presente ancora da capire e su quella prossima, ignota, da fantasticare e progettare. Le prime volte i suoi pensieri erano sempre rivolti al passato. Spesso era triste ripensando all’unico, vero e genuino amore che aveva perduto, non perché fosse svanito l’amore, ma per una differente concezione dello stare insieme. Giulia e Lorenzo si conobbero una fredda sera di autunno, fuori da un locale frequentato dalle più svariate tipologie di persone. Lei era estasiata. Parlava con lui come se lo conoscesse da una vita intera e la cosa era reciproca; insieme risero e scherzarono per tutta la notte e non ci volle molto a rincontrarsi i giorni successivi, dato che frequentavano gli stessi ambienti. Il loro amore nacque in modo così puro e inaspettato che, ogni qualvolta lui le scriveva o la chiamava, lei si catapultava in un’altra dimensione e il cuore le batteva così forte, come se volesse uscire dal proprio petto e fondersi con quello dell’amato. Quella fu la storia d’amore più grande e importante per lei: in due anni imparò il significato dell’amare e del prendersi cura di qualcuno, ma soprattutto percepì i compromessi a cui bisogna sottostare con il passare del tempo. Fu proprio questo il motivo per cui dovette poi finire. Giulia era una sognatrice con grandi aspirazioni per il suo futuro, le quali non potevano essere raggiunte nella sua monotona e restrittiva città; ma Lorenzo, un po’ per egoismo e un po’ per capriccio, non era disposto a un ipotetico spostamento o a vedersi con minor frequenza, così le loro strade dovettero dividersi. Giulia ripensò spesso e intensamente a lui, domandandosi se avesse fatto la scelta giusta a mollare tutto e partire; la maggior parte delle volte la risposta era negativa. Non ci pensava continuamente, ma quando lo faceva, un brivido le saliva lungo la schiena per poi arrivare al cuore. Si tormentava e piangeva, perché sapeva che non si sarebbe più innamorata di nessuno in quel modo, e allo stesso tempo, nessuno l’avrebbe mai amata come il suo caro Lorenzo. Era inspiegabile come un corpo così piccolo potesse contenere tutto quel caos di emozioni; il dolore la dilaniava, ma la sua forza stava nel saper reagire. Giulia, infatti, credeva che ogni cosa capitasse nella vita con un preciso scopo e che bisognasse cogliere le avversità come spunto per intraprendere un nuovo cammino. Questo è proprio quello che cercava: ma non aveva ancora la chiave di lettura per farlo.
Trascorse un anno. La solitudine era la cosa che più temeva nella vita e da cui sempre cercava di scappare, ma ora non aveva via di fuga. Doveva affrontarla. Inizialmente si ritrovò in balia degli eventi, incosciente e ignara di ciò che avrebbe potuto fare nelle sue giornate solitarie: aveva difficoltà ma, soprattutto, paura di gestire se stessa. Era la prima volta, infatti, che avrebbe dovuto prendere decisioni senza consultare il parere altrui e senza farsi assecondare dall’idea di terze persone su ciò che sarebbe stato giusto o sbagliato. Non sapeva cosa le piacesse, semplicemente perché non se lo era mai chiesto, avendo sempre acconsentito a tutto ciò che altri le proponevano. Fu così che iniziò a pensare a tutto ciò a cui non aveva mai potuto dedicarsi appieno per il poco tempo a disposizione, e partì dalla cosa più semplice: la lettura. Leggere era una cosa che l’affascinava perché le permetteva d’immedesimarsi nei personaggi e vivere così fantasie proibite e vite parallele. Passava giornate intere leggendo e immaginando possibili scenari e sfaccettature delle storie narrate, e più leggeva più si distaccava dalla propria vita. Poi si diede alla cucina, all’arte di creare piatti esteticamente perfetti e dal sapore intenso e nostalgico, quasi fossero le madeleine di Proust; amava cucinare ed era anche molto brava a farlo. Infine si dedicò allo sport, altra disciplina che da sempre era parte della propria essenza e a cui era piacevolmente predisposta; non c’era uno sport che non sapesse fare e in cui non si applicasse.
Il tempo trascorreva rapido e sfuggente, come il vento che accarezza sprezzante i capelli e si dilegua inosservato. Giulia si rese ben presto conto che, per quanto stesse facendo cose a lei amabili, restava pur sempre sola. Fu così che iniziò a frequentare costantemente l’ambiente universitario, rimpiazzando la solitaria biblioteca e cercando di fare nuove conoscenze, cosa che le risultò abbastanza semplice data la sua notevole bellezza e spigliatezza verbale. Un giorno, mentre stava per prendere il solito caffè annacquato delle 10.30 al distributore dell’università, le si avvicinò un ragazzo con fare timido. «Ciao, posso offrirti un caffè?», disse titubante. Lei sorrise per il gesto inaspettato e rispose: «Volentieri, grazie». Lui, curiosamente, le fece alcune domande per sapere qualcosa di più sulla bellissima ragazza con la quale stava parlando.
«Non ti ho mai visto in questo dipartimento, sei arrivata da poco?».
«In realtà sono qua da circa un anno, ma ho frequentato poco questo dipartimento perchè ho sempre preferito studiare in casa o in biblioteca. Tu quale corso di laurea stai seguendo?» , chiese con curiosità.
«Lettere e filosofia, sono all’ultimo anno e spero di finire entro qualche mese. Sto scrivendo la tesi e l’argomento di cui tratto è l’amore nei secoli» , rispose mostrando un’elevata fierezza di sè .
«Più dolce sarebbe la morte se il mio sguardo avesse come ultimo orizzonte il tuo volto, e se così fosse.. mille volte vorrei nascere per mille volte ancor morire». Il ragazzo rimase esterrefatto da questa citazione. «Neruda?», “No, Shakespeare. E’ un verso che mi è sempre rimasto impresso, perché mi fa percepire quanto un tempo le persone erano più affabili e romantiche» , rispose lei sorridendo.
«E’ proprio vero… tu cosa ne pensi dell’amore?» , domandò egli aspettandosi la classica risposta sdolcinata, tipica delle ragazze sognatrici di storie d’amore perfette. Giulia abbassò lo sguardo rattrististendosi all’istante e, dall’euforia del piacevole momento che stava vivendo, si catapultò nel passato, luogo a lei così ostile e malinconico. Dopo qualche secondo lo guardò negli occhi e, con una voce profonda e calma come il mare a seguito di una tempesta, rispose: «Credo che l’amore sia la sola cosa capace di dare un senso alla nostra vita. Si può vivere senza amore, ma in questo modo il solo scopo che ci si prefissa è la mera sopravvivenza. L’amore è il motore di ogni cosa.. e non parlo solo dell’amore fisico e mentale nei confronti della persona con cui si vuole passare il resto della propria vita, parlo dell’amore verso la propria famiglia, quello nei confronti di un amico inestimabile e quello empatico nei confronti di chi si guadagna da vivere facendo dipinti e intrattenimenti vari per strada. Bisogna metterci amore in ogni cosa, altrimenti la nostra vita vale così poco da limitarsi ad alzarsi la mattina senza uno scopo e andare a dormire la sera senza nemmeno aver tentato di cercarlo». Giulia aveva quasi finito il suo caffè e il ragazzo aveva perso le parole dalla risposta datagli. Il clima era cambiato: lui, che inizialmente si era approcciato per conoscere la bellissima ragazza, ora la guardava con occhi innocenti attorniati da inadeguatezza, come quelli di un bambino consapevole di aver chiesto qualcosa di inappropriato. Improvvisamente si rese conto che avrebbe dovuto trovare qualche argomento all’istante, altrimenti la conversazione sarebbe finita lì.
«Eh…tu cosa studi?» , chiese frettolosamente.
«Geofisica… Il mio più grande sogno è quello di partecipare a una spedizione in Antartide su una nave oceanografica, ma per farlo devo laurearmi!» rispose scherzosamente. «Anzi, scusami ma ora devo proprio andare a lezione, grazie mille per il caffè. Buona giornata!».
Giulia si girò e se ne andò, scossa da quella conversazione che aveva provocato turbamento ad entrambi, ma il ragazzo, impavido, la prese improvvisamente per un braccio.
«Scusa ma non mi hai detto come ti chiami.. », chiese con fare speranzoso e dispiaciuto a causa della sua irrefrenabile lingua che aveva precedentemente toccato, forse, un tasto a lei dolente.
«Giulia..» e così lasciò la stanza.
Il restante giorno i due si pensarono a vicenda: lui si rimproverava per quanto fosse stato sciocco ad averle fatto quella domanda sull’amore, lei invece gli era riconoscente, perché aveva ricevuto un input di riflessione su tante cose.
Essendo ormai inverno il sole incominciava a tramontare prima, quindi Giulia, dopo un’intensa giornata di studio, si precipitò a casa, si cambiò e iniziò la sua corsa verso i pensieri. Arrivò sulle sponde del fiume e decise che quello sarebbe stato il luogo perfetto per ammirare la meraviglia che si stava compiendo. Quel giorno il tramonto era particolarmente ammaliante: aveva gli stessi colori di quello che aveva visto anni prima a Parigi in cima alla torre di Notre Dame, e le illuminava il volto. Quest’ultimo aveva un espressione idilliaca, come se tutti i colori volessero riempire ogni suo singolo poro del viso. Era finalmente felice. Lo era perché improvvisamente aveva capito cosa avesse sbagliato in passato e come avrebbe potuto rimediare ai suoi errori.
«Quindi? Cosa aveva sbagliato?» , chiese ansiosamente Emma.
«Aveva amato troppo gli altri dimenticandosi di amare se stessa” , rispose la madre accennando un sorriso di compiacimento. La dolce e inesperta Emma non riusciva a capire la saggezza di quella frase e continuò: « Ma se lei amava gli altri e loro amavano lei, che bisogno aveva di amare se stessa?» , data la curiosità della figlia, la madre cercò di essere più chiara.
«Cosa succede a una corda se la tiri troppo?» , domandò.
«Dopo un po’ si spezza credo.. » , rispose perplessa la piccola.
«Esatto bambina mia, si spezza. Vedi, le persone sono come le corde: resistenti alle pressioni leggere, ma terribilmente fragili se sovraccaricate di tensione. Non si può amare qualcuno se prima non s’impara ad amare la propria persona. Bisogna lavorare duramente sull’identità e sulle proprie emozioni, e solo quando si è presa coscienza di quello che si è e di ciò che si vuole diventare, beh, solo allora si può amare esponenzialmente qualcuno. Tesoro, se prima non conosci le tue fragilità e i tuoi punti di forza non saprai mai come il tuo corpo reagirà alle situazioni che ti si presenteranno, potresti innamorarti di un ragazzo che ti sottometterà e a cui tu non riuscirai a reagire, potresti farti mettere i piedi in testa dai tuoi futuri colleghi di lavoro… per cui amati e circondati di persone che ti amino incondizionatamente e liberamente». Emma ascoltò quelle parole attentamente e riflettè; poi un pensiero le attraversò la mente senza riuscire a tenerlo per sé.
«Mamma… ma Giulia sei tu?» , chiese timidamente e con una curiosità più grande di lei. La madre rise, poi, con un paio di occhi brillanti come le stelle la notte di San Lorenzo, disse: «No… Giulia ero io tanto tempo fa, quando avevo paura e mi nascondevo dietro gli altri. Ora sono una donna nuova, che ama se stessa, il proprio lavoro e soprattutto, la cosa migliore che potessi fare: tu. La mia vita è perfetta così e, ad oggi, ogni mattina mi sveglio con lo scopo di crescerti, rimproverarti quando necessario e farti diventare una grande donna, così come tua nonna ha fatto con me. Lucia non ha nulla in più che tu non abbia e ben presto anche Marco se ne accorgerà! Ora è tardi.. buonanotte cuore mio».
La dolce Emma, rincuorata dalle parole della madre, andò a dormire dimenticandosi della vicenda di Marco e Lucia e con il solo pensiero di voler diventare, da grande, tenace e forte come sua madre.
E’ un racconto che ha spunti interessanti, ma il contenuto risulta in parte appesantito da uno stile un po’ prolisso.