Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Il principe della pozzanghera” di Liliana Paisa

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Contava le stelle nello specchio d’acqua come fossero la sua appartenenza.

Emiliano viveva nella stazione ferroviaria da molti anni. Ogni sera costruiva la sua casa di cartone, metteva le finestre, la porta, e a volte anche la soglia sulla quale lasciava i sogni per il mattino dopo.

Un uomo come tanti, capelli corti, senza barba e questo volto sempre curato. Finiva nella miscela comune dei volti. Non ha mai amato la società consumistica anzi l’odio verso il consumo esagerato l’ha portato alla condizione di marginalizzato, un uomo invisibile in una società che non rispecchia più l’individuo.

Emiliano aveva una moglie, una figlia e poi non aveva più niente. La moglie viveva da qualche parte con il compagno per il quale ha abbandonato lui e la figlia. Aurora, la figlia, è stata cresciuta dai nonni. I servizi sociali l’hanno strappata al padre perché non in grado di garantire una crescita in sicurezza. Avevano i loro solidi motivi visto che il padre non aveva lavoro, stava poco a casa. Emiliano non si è mai perdonato per questo. Desiderava tanto essere un buon padre ma non è stato il suo punto forte. Se non riusciva a portare a buon fine le cose lasciava subito perdere, forse questo gli ha dato la forza di abbandonare tutto e vivere da marginalizzato. “Clochard mi chiamo” si presentava a volte alla gente.

Emiliano odiava la società consumistica. Rimaneva a guardare a lungo la gente che passava davanti a lui e rifletteva su quanto si poteva sentire libero adesso…”Come fa questa gente  a resistere a questa società che impone, che costringe e lava il cervello con le sue pubblicità”. I pensieri passavano come le nuvole e veniva portato sempre all’attimo della voce graffiante della donna delle pulizie: “Buongiorno Emiliano, come va oggi? Ti ho portato il caffè caldo, prendilo che si raffredda”. Emiliano era sempre contento della presenza di Mary, erano quasi amici. Tante volte quando la donna finiva il suo lavoro si metteva a chiacchierare con lui. Ormai sapeva tutta la sua storia. Lui era più riservato, non raccontava mai oltre certi limiti della confidenza. Comunque lui era impegnato con le sue cose quotidiane.

La sua casa di cartone era vicina ad una pozzanghera, un piccolo fosso dove l’acqua piovana rimaneva per tanto tempo e quando si prosciugava lui metteva l’acqua della fontanella, era la sua pozzanghera, lo specchio che rifletteva il cielo, i tetti dei palazzi, le persone, se stesso quando aveva voglia di ricordare il suo volto. Difendeva quell’occhio d’acqua come fosse il suo tesoro, il suo regno. Lì, nella pozzanghera aveva l’immagine delle case vere, delle nuvole, delle persone, un immagine che era solamente sua tutti giorni e sapeva veramente badare al suo regno d’acqua e fango. Quando qualcuno la calpestava lui si arrabbiava e gettava le parole nell’aria: ”ehi, guarda dove metti il piede, rispetta tutto ciò che tocchi, hai capito? Se non hai capito bisogna imparare, non  è tutto dovuto in questo mondo..” la gente guardava senza prendere sul serio il clochard che girava le mani e le parole per aria, una minaccia che faceva ridere.

Deluso Emiliano si metteva a lavoro, puliva la pozzanghera e la confinava con il suo mantello a brandelli balbettando ancora “ che razza di gente, ma guarda tu quanto è maleducata..”

I giorni passavano uno per uno come un rosario senza preghiere. Emiliano faceva ogni giorno il censimento degli sguardi, tanti erano i pendolari e tanti appena arrivati nella città, lui cercava di fare la guardia alle ombre mentre l’attesa dei treni si distendeva sui binari, l’attesa di una fittizia normalità. Gente che obbediva alle regole di una società fatta sulle identità sospese. Lui sapeva qualcosa al riguardo, così è scappato via prima di essere troppo tardi. “Sopravvivere con gli scarti e addormentarti mentre guardi la bussola del giorno non ti uccide, ti fa più saggio”, pensava prima di chiudere gli occhi.

Oggi è giovedì e come ogni giovedì Emiliano suona al violino sul binario 7 e recita qualche poesia. Alla fine della giornata conta gli spiccioli, metà divide con quelli più bisognosi di lui e l’altra metà va a finire nella cassetta chiusa a chiave e nascosta bene “per Aurora” pensava tutte le volte lui, sperando che un domani l’ avrebbe comunque incontrata, “offro la cena, figliola” pensava lui mentre le palpebre cadevano pesanti come le finestre sbarrate d’un carcere.

La sua casa di cartone era fuori della stazione, vicina alle pozzanghera amata, una piccola tana che lasciava a Emiliano l’illusione della difesa ma anche della fragilità. Abbastanza speso preparava il suo regno alla visita d’un ospite speciale. Si metteva con meticolosità a fare le finestre, la porta e persino la soglia. Tutto per bene perché il suo amico Edoardo meritava una bella accoglienza.

Lo studente di filosofia si metteva a chiacchierare per ore e a volte anche a lasciare le idee a litigare. Emiliano gli regalava i pensieri poetici e qualche composizione di violino. Lo studente stava bene in compagnia di Emiliano e quando doveva andare via andava con dispiacere. Tante volte Edoardo cercava di convincere Emiliano a ritornare alla vita di prima ma Emiliano rispondeva sempre con un sorriso incompreso “giovane, giovane caro, la libertà è una ricchezza che non viene mai lasciata”.

I giorni passavano in una ripetizione quasi morbosa, Emiliano ormai non guardava più il tempo dritto negli occhi, anche perché lo sguardo degli attimi era molto diffidente. Era l’uomo fuori dalle dimensioni, leggeva, scriveva, suonava, chiacchierava e curava la sua pozzanghera. Le lettere per Aurora li infilava nelle tasche, imbottiva il mantello. Edoardo gli disse un giorno di aver trovato l’indirizzo dei nonni di Aurora e che le avevano mandato una lettera, forse un giorno Aurora darà un segno di vita. “Tu non capisci, Aurora non si ricorda nemmeno di avere un padre, sono stato sempre fuori della sua vita. Non verrà mai, Edoardo, mai”. Edoardo se ne andò lasciando Emiliano nel morso della tristezza. Non si sentiva tanto bene, il dolore al petto era ritornato e lo tormentava con una forza che a Emiliano metteva paura. Cominciò intanto la lotta con le sue insonnie, ogni volta più stanco delle sconfitte. Rimaneva per ore a contemplare il suo regno riflesso nella pozzanghera, i riflessi d’un mondo così vicino e così lontano lui, quei riflessi che facevano durare di più la notte e la pioggia. “Questa pioggia porta via tutto” pensò Emiliano nella sua casa. Era debole, la febbre mordeva tutti i muscoli e i dolori al petto non smettevano mai, sentiva l’anima come un dolce battito di ala. In un istante il suo volto diventò stessa natura di quell’acqua stregata, non fece una mossa, caduto con la faccia in giù rimasse parte della sua pozzanghera. Il suo regno si sciolse nel suo sangue mentre la pioggia continuava a cadere pesante come la solitudine.

Lo studente di filosofia tornò un giorno dopo, alla sera ma non trovò il suo amico. Vide la donna di servizio accendere una candela sul luogo dove ieri Emiliano difendeva il suo regno riflesso nella pozzanghera. “Signora, cosa è successo a Emiliano? domandò lo studente alla donna di servizio”. Lei cominciò a piangere e fece il segno con la mano di accompagnarla. Prese dalla stanzetta gli effetti personali di Emiliano e le diede allo studente dicendo: “eri un vero amico per lui, ti voleva tanto bene.”

Edoardo guardò le lettere, la scatola, i libri, il violino e tutto ciò che rimase del suo amico. Con passi morsi dal dolore camminò nel tramonto lasciando alle spalle la storia d’un uomo e della sua libertà. La pozzanghera rimase lì, piena di fango e d’un mondo dove la fantasia ha trovato una dimora.

 

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2 commenti »

  1. Un verso di Emily Dickinson per il tuo racconto:
    “Anche in questo prevale la maggioranza.
    Conformati, e sei saggio,
    dissenti, e sei pericoloso,
    Un matto da legare.”

  2. Non capisco perchè il mio commento è stato catalogato come spam. E’ un omaggio a ” Il principe della pozzanghera” che, come recita il racconto è:
    “Un uomo come tanti, capelli corti, senza barba e questo volto sempre curato. Finiva nella miscela comune dei volti. Non ha mai amato la società consumistica anzi l’odio verso il consumo esagerato l’ha portato alla condizione di marginalizzato, un uomo invisibile in una società che non rispecchia più l’individuo”.

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