Premio Racconti nella Rete 2018 “Il cappotto” di Stefano Nocentini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018“Che sei una sciocca l’ho sempre saputo. Ma il troppo stroppia!”
La governante era una donna matura, pesante, brusca, dalla voce baritonale. La rabbia le arrossava la faccia, già abbastanza rubizza per conto suo anche di norma, per l’esposizione ai fuochi della cucina e per il vino che nascostamente attingeva dalla cantina del padrone.
La ragazza, pur umiliata e confusa, pensò che così erano le facce dei diavoli dell’inferno, che lei vedeva tutti i giorni, affrescate sui muri della vicina chiesa di San Frediano.
“Non ti si può nemmeno mandare a comprare il pane, che fai un danno! Ma come è possibile farsi prendere per il naso a questo modo? Ti hanno imbrogliato sul resto: qui mancano dei bei soldi! Fila subito a lavare le scale, che almeno, lì, non puoi fare più danno che rovesciare il secchio, come d’altronde hai già fatto più di una volta!”
Lei piangeva di vergogna, avrebbe voluto sprofondare, sparire; tanto, chi si sarebbe accorto della sua mancanza? Chi mai se ne sarebbe preoccupato? La governante aveva ragione: lei era una sciocca. Come spiegare alla donna che aveva provato in ogni modo a imparare a contare, ma senza riuscirci? Sapeva far di conto fino a dieci, aiutandosi con le dita; ma poi i numeri andavano per conto loro, e quando faceva e rifaceva i conti, il risultato veniva sempre diverso. Non riusciva a trovare le parole per giustificarsi di fronte alla governante infuriata: piangeva in silenzio.
“Taci, eh? Non hai il coraggio di parlare? di guardarmi negli occhi? Coscienza sporca! Razza di santerellina, le conosco bene quelle come te! Fila a lavare le scale ti ho detto, che io intanto vado a riferire alla signora cosa hai combinato. E ringrazia la sua bontà, se ancora non ti ha levato la pelle a suon di frustate, come meriteresti!”
La signora Fatinelli, la padrona del palazzo, depose sul tavolo del suo salottino il libro che stava leggendo. Annunziata, la governante, era una donna energica e volitiva, che prendeva tutto intero sulle sue spalle il governo delle faccende domestiche. Lei ne aveva bisogno, e apprezzava la sua infaticabile energia; ma era leggermente infastidita dalla volgarità del tratto e dal volume della sua voce, che la donna non si curava di attenuare, e che anzi accentuava ostentatamente come segno distintivo del suo ruolo.
“É una disperazione, signora; non c’è nulla che riesca a fare senza combinare qualche malestro. Stavolta le ho dato un grosso per comprare il pane, e lei si è fatta truffare sul resto. Sempre che l’abbiano imbrogliata davvero, e non si tratti invece di qualcosa di peggio.”
“Che vuoi dire?”
“Che nel prendere il resto, qualche moneta potrebbe esserle rimasta impigliata fra le pieghe della veste.”
“Via, Annunziata, non credi nemmeno tu a quello che dici. Sai bene che la ragazza è onesta; certo non è sveglia, anzi forse è un po’ ritardata per la sua età; ma è qui da noi fin da quando aveva appena dodici anni, e l’abbiamo sempre vista buona, affettuosa e remissiva; frequenta la chiesa tutti i giorni, e, quando non lavora, prega. Di certo, quando sbaglia, non lo fa con malizia.”
“Se lo dice lei, signora, sarà così.”
“Non sei d’accordo?”
“Signora, io le conosco bene queste baciapile, questi sepolcri imbiancati, tutte gesummio e madonnina santa: sono le peggiori! E so anche quale sarebbe la medicina adatta, quella che le convincerebbe a stare più attente sul lavoro e a sbagliare di meno.”
Dentro di sé, la signora Fatinelli sorrise. Sapeva bene quale era la medicina di Annunziata.
“E sarebbe?”
“La medicina del dottor Frustino! È un medicamento miracoloso, che ha risolto certi casi che sembravano inguaribili ai più grandi cerusici. Meglio dei santi Cosma e Damiano messi insieme! Una medicina che, se potessi, gliela somministrerei volentieri a tutte l’ore, fino a guarigione completa!”
“Annunziata, Annunziata, non siamo più ai tempi dell’impero romano, quando si frustavano i servi che sbagliavano! Nel mondo moderno, queste cose non si possono più fare. Ti pare che io, anche se lo volessi (e non lo voglio), potrei far frustare una servetta perché si è fatta imbrogliare sul resto, in pieno Milleduecento?”
“Mi pare e non mi pare, signora; quello di cui son certa è che, senza la medicina giusta, la malattia non guarisce, e la ragazza avrà la ricaduta.”
“Non risolverai nulla spaventandola. Ci vuole comprensione per le sue debolezze, sostegno, rassicurazione; e se ci cascherà ancora, pazienza.”
“Campa cavallo mio, ché l’erba cresce.”
“Ma alla fin fine, a quanto ammonta il danno?”
“Un quattrino tondo tondo.”
“É una somma davvero piccola, non ti sembra? Con un quattrino si compra appena una caciottina.”
“Un soldo oggi, domani un quattrino, e alla fine del mese è sparito un fiorino.”
Quel giorno aveva impiegato più tempo del solito per le pulizie quotidiane: doveva affrettarsi, o la Messa in chiesa sarebbe iniziata senza di lei.
Scendeva i gradini a due a due, stringendosi addosso il vestituccio, e quasi andò a cozzare contro la signora, che stava attraversando il pianerottolo.
“Dove vai, così di fretta?”
”In chiesa, signora; non vorrei fare tardi alla Messa.”
“Ma prenderai un malanno! Fuori fa un freddo terribile.”
Quell’inverno era particolarmente rigido, e la neve stava coprendo la città da più giorni.
“Arrivo alla chiesa in un minuto, signora, e poi la preghiera mi riscalda…”
“La preghiera scalda il cuore, ma per il corpo vale meglio un buon cappotto. Vieni con me da Annunziata, le dirò di prestarti il mio: ma bada di non sciuparlo.”
Lei era diventata tutta rossa per la riconoscenza e la vergogna; avrebbe voluto schermirsi, ma non osava contraddire la signora.
Annunziata era balzata sulla sedia e aveva esibito tutta una galleria di facce scandalizzate, ma alla fine non aveva potuto fare altro che obbedire all’ordine della padrona.
Fuori il freddo era davvero intenso, ma il cappotto, foderato di pelliccia, la avvolgeva in un dolce tepore, isolandola dal clima rigido.
In pochi minuti arrivò alla chiesa nuova di San Frediano, consacrata meno di cent’anni prima. La bella facciata pentapartita, tutta di pietra levigata, sovrastava le casette circostanti, come una grande nave le barchette ancorate nel porto.
Sulla soglia della porta laterale, un vecchio mendicante chiedeva la carità. Gli stracci che lo coprivano potevano poco contro il freddo, ma l’incavo del portale lo riparava almeno dal vento e dalla neve.
“Bella damigella, fate la carità, per amore di Cristo.”
L’uomo aveva frainteso, tratto in inganno dal cappotto signorile, che denotava agiatezza e stato sociale.
“Fratello, io sono più povera di te. Non ho un soldo da darti, ma almeno posso scaldarti un po’: mettiti questo cappotto, io in chiesa non ne ho bisogno. Me lo restituirai quando esco.”
L’uomo si era subito infilato l’indumento.
Fuori imperversava la bufera, ma la chiesa era ovattata e protettiva. La preghiera le aveva dato più calore del solito: le sembrava che Gesù, che amava i deboli e i poveri, la guardasse dolcemente dall’alto della sua croce.
Ma quando era uscita, ancora pregando dentro di sé, il mendicante era sparito; e il cappotto con lui.
Rientrata a casa, illividita e gelata, aveva dovuto passare mezz’ora di fuoco davanti ad Annunziata, che, gridandole sul viso i peggiori insulti, l’aveva sconvolta finché era scoppiata in un pianto dirotto; e poi, senza sottilizzare troppo fra impero romano e mondo moderno, a ogni buon conto l’aveva presa a schiaffi fino a farle la faccia rossa.
Ma il giorno dopo la governante era stata colta di sorpresa, quando una serva, trafelata, era corsa da lei col cappotto in braccio.
“Com’è, dove l’hai trovato? Parla!”
“L’hanno portato… giusto adesso… bussando al portone.”
“Ma chi era? Un vecchio mendicante?”
“Un vecchio mendicante? Oh no di certo! Era un giovane, alto, biondo e ben vestito. Non ha detto una parola, mi ha dato il cappotto e se ne è andato subito.”
“Perché l’hai lasciato andar via, stupida? Rincorrilo, presto, e portalo qui!”
La serva corse fuori; ma il giovane biondo era sparito, e nessuno lo vide mai più.
La guida aveva terminato il suo racconto.
“Nice indeed, yet quite unlikely.”
I visitatori parlavano inglese. Erano i partecipanti allo International Congress on Neuroscience and Neuropsychiatry che si teneva in quei giorni a Lucca: accademici e professionisti noti nel loro ambiente, fra cui anche un Premio Nobel. Apposta per loro, era stato organizzato quel giro turistico della città.
“Se la ragazza pensava di riottenere il cappotto all’uscita, era veramente una sciocca. In quella situazione, le probabilità favorevoli erano minime. Che poi venisse riportato il giorno dopo, era un’eventualità ancora più remota.”
“Poteva almeno procurarsi qualche garanzia: chiedere se qualcuno conosceva l’uomo. O almeno pretendere in pegno le monete che aveva raccolto fino a quel momento.”
“Comunque, la padrona era stata imprudente a prestarle un cappotto di valore.”
“Probabilmente temeva che la ragazza col freddo si ammalasse, e di doverla poi accudire, come un peso invece che un aiuto.”
“Non si capisce però perché la ragazza abbia deciso di cedere un cappotto, che il mendicante neppure chiedeva.”
“Non cercherei spiegazioni sofisticate, quando bastano quelle semplici. La ragazza era stupida, ed è inutile chiedersi perché uno stupido fa una certa cosa: la fa perché è stupido, semplicemente.”
Intervenne il Premio Nobel.
“Penso invece che si tratti di un comportamento ossessivo-compulsivo, dettato da scarsa autostima. Questi soggetti, come è noto, soffrono di un bisogno incontenibile di rafforzare la misera immagine che hanno di sé. Cedendo il cappotto, la ragazza voleva affermare la sua superiorità su qualcuno che poteva considerare più in basso di lei.”
“Molto logico. Una sindrome classica. Se la ragazza fosse stata trattata preventivamente con una cura a base di Xneurin, adesso non staremmo discutendo di questa storia.” Aveva parlato un ometto calvo, noto per la sua fede negli psicofarmaci, che conduceva una modesta carriera all’ombra del Premio Nobel, e usava apprezzare e rinforzare ogni affermazione del luminare.
La visita era finita.
Gli studiosi si incolonnarono disciplinatamente dietro la guida e uscirono dalla chiesa di San Frediano. C’erano ancora molte cose da vedere in città.
Tutti quei sapienti sarebbero stati presto dimenticati. Nessuno di loro avrebbe lasciato il luminoso ricordo che aveva lasciato nei secoli Santa Zita da Lucca, la serva povera e ignorante, che non sapeva leggere né scrivere né far di conto, ma che, di fronte a un mendicante infreddolito, gli aveva ceduto il cappotto senza fare domande.
Non conoscevo questa storia e leggerla è stato un piacere. Il testo è scorrevole, si viene presi dalla curiosità di vedere come andrà a finire. E ho trovato anche i dialoghi molto efficaci. Bravo!
ma che bella! Complimenti,storia ben scritta e molto umana che denota grande sensibilità. Bravo Stefano
Che bella storia nel tuo racconto. La Carità oggi è una malattia rara. Bravo Stefano