Premio Racconti nella Rete 2018 “Honky” di Massimiliano Ferraris di Celle
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Sei sulla Land Rover blindata, seduto accanto al guidatore. Ti stanno portando al compound di Port Harcourt, la sede nigeriana di Shell: domattina c’è una riunione con i dirigenti. Il capo della sicurezza, Simeon Nwana, che ti ha ricevuto all’arrivo, ti ha detto che il tragitto dall’aeroporto alla base dura circa un’ora. È buio e sei stanco, dopo dodici ore di aereo. Prima di partire ti avevano accennato che la situazione nigeriana non era tranquilla, ma non ti aspettavi di avere addirittura una scorta armata. Due jeep piene di soldati coi fucili spianati, una davanti e una dietro. Ai lati della strada sfilano velocemente campi desolati e baracche, davanti alle quali stazionano capannelli di uomini. Sbirci il tachimetro, segna 70. Ma è in miglia, rifletti tra te e te. Centodieci all’ora, circa. E la strada è piccola e piena di buche. Quando hai visto la scorta ne hai chiesto conto a Simeon. Lui ti ha fatto un lungo discorso in un inglese pesantemente accentato, nel quale hai percepito con chiarezza solo tre parole: danger, pericolo; kidnap, rapimento; ransom, riscatto.
Attraversate centri abitati dove c’è traffico, e tu pensi: sono pazzi. Sorpassano a destra, a sinistra, dove capita; se trovano un impedimento attaccano la sirena, quella con quel suono strozzato che si sente nei film americani quando ci sono i SUV dei servizi segreti. Ecco, ti dici, sembra proprio di essere in un film.
Ti rendi conto che stai praticamente parlando da solo, ti dici che è l’inquietudine. Abbassi leggermente lo schienale del sedile e provi a rilassarti, chiudendo gli occhi e cercando di ignorare i sobbalzi. Pensi che sei stufo di questo lavoro e di posti disgraziati, pensi che però a casa sarebbe stato anche peggio, pensi che i fantasmi sarebbero tornati, pensi che avresti di nuovo sognato Giorgio, ancora vivo. Pensi che non è giusto sopravvivere a un figlio, meglio il lavoro, meglio la Nigeria, meglio l’Egitto, meglio l’Angola. Meglio qualunque cosa, rispetto al vuoto. Meglio aver paura di qualcosa, rispetto alla paura del niente. Meglio la Land Rover blindata che corre nella notte, rispetto alle notti immobili a guardare il muro. Capisci che di dormire non se ne parla. Apri gli occhi. Proprio mentre tiri su lo schienale senti un urto tremendo e sbatti la testa contro il finestrino. La Land Rover è uscita di strada, la cintura di sicurezza ti sega il petto, sei sballottato da tutte le parti fino a quando la macchina si ferma nel mezzo della campagna.
Senti degli spari, raffiche brevi e ripetute. Il tuo autista armeggia con l’accensione, non riesce a rimettere in moto la Land Rover. Ti guardi intorno, un soldato che sta uscendo fuori da una delle jeep di scorta viene falciato. Il soldato apre le braccia e si accascia al suolo al rallenty. Senti altre raffiche, vedi il bagliore dei colpi di mitra. Poi tutto tace. Senti un rumore, ti volti. La canna di un mitra batte sul finestrino, una kefiah bianca e rossa lascia scoperti solo due occhi. La canna del mitra ti fa segno di scendere. Ti volti verso l’autista, sta già aprendo la portiera. Togli la sicura e scendi dall’auto. Ti spingono davanti alla Land Rover. Tu e l’autista siete in mezzo a un cerchio di uomini armati in divisa, tutti a volto coperto, tranne uno, che usa la kefiah come turbante. Ha il mitra in spalla. Si avvicina, ti guarda, poi si volta verso l’autista. In un unico movimento fluido sfila una pistola dalla fondina e gli spara in testa. L’autista si affloscia a terra, tu sei ridotto a un grumo di sensazioni vitali. Il battito del cuore ti rimbomba nelle orecchie, il respiro ti rantola in petto. Guardi l’autista, un mucchio d’ossa. Come Giorgio all’obitorio, pensi. Un mucchio d’ossa. E poi le urla di Angela, le tue lacrime, la camera ardente, la chiesa, il prete, il sagrato, gli abbracci, il corteo, il cimitero, la pietra, il vuoto. Il nulla. Il buio.
– … are you doing here?
Ritorni al presente. In quel pessimo inglese il soldato a volto scoperto, evidentemente il capo, ti chiede cosa fai qui. Improvvisamente ti arriva una folgorazione. Mille volte ci hai pensato. Mille volte mille. Mille volte mille volte mille. Tutti i giorni, tutte le ore, tutti i minuti, tutti i secondi. E poi hai lasciato stare. Ma ora. Ora forse è la volta buona. Sopravvivere a un figlio è disumano.
– It’s none of your business, you damn nigger – non sono affari tuoi, maledetto negro. Glielo urli addosso, usando di proposito “nigger”, il peggior insulto per un africano, e gli sputi in faccia. Lui si paralizza. La tensione è palpabile. Qualcuno ti punta il mitra contro. Il capo si avvicina, minaccioso. E poi scoppia a ridere. Posa a terra il mitra, e ti fa segno di farti sotto. Vai diretto verso di lui e di nuovo, gli sputi in faccia. Ti arriva un calcio sulla rotula, una fitta lancinante ti trafigge il cervello, incespichi e cadi a terra. Un altro calcio, in piena faccia. Vedi tutto nero per un momento, scuoti la testa e ti rialzi. Di nuovo ti fa segno di farti sotto, e sorride. Carichi a testa bassa, ma lui si scansa, e finisci addosso ai suoi uomini. Ridono, ti spingono al centro. E ancora ruzzoli a terra, e ancora ti rialzi. Hai lo sguardo annebbiato, la bocca piena di sangue. Non vedi arrivare un altro calcio sulla schiena, che ti butta a terra lasciandoti senza fiato.
– C’mon, honky – ti chiama con l’insulto riservato ai bianchi. Ti rialzi di nuovo. Il suo mitra è ancora a terra, ti tuffi per raggiungerlo. Lo prendi, ti volti verso di lui, con la coda dell’occhio vedi che un uomo ti tiene sotto mira. Il cuore va a mille. Pensi “Giorgio, arrivo”. Senti gli spari, un dolore intollerabile ti trafigge, il mitra ti sfugge dalle mani. Non sei nemmeno riuscito a sparare. E neanche a farti ammazzare, ti hanno sparato alle gambe.
– I’m sorry honky, I can’t kill you, you’re cash… – Mi spiace bianco, non ti posso uccidere, sei denaro contante.
Mi piace il tuo racconto dallo stile moderno e dal ritmo serrato, che non lascia spazio ad alcun punto morto. I miei complimenti!
Grazie Margherita, grazie davvero!
Un dramma nel dramma Max, che hai saputo raccontare facendomi arrivare in fondo con poco fiato. Terribile dover sopravvivere all’evento più innaturale che ci sia: la morte del proprio figlio. Terribile pensare che l’unica via di scampo sia la propria. Terribile pensare che il desiderio di farla finita possa essere, negato non perché la vita umana è sacra, ma perché il suo valore è solo denaro contante. Bravissimo!
Sono pienamente d’accordo con Ester. Il lettore è spinto a desiderare che il protagonista possa mettere fine al suo disumano dolore, che la sua anima venga messa a tacere. E invece no, quell’anima non solo continuerà a soffrire, ma assisterà alla sua svalutazione, ridotta a puro oggetto da salvaguardare solo in base al suo valore economico. Bellissimo racconto.