Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Aldo53” di Massimo Ansaldo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Stiracchiarsi.
Aldo fuoriesce dall’incoscienza del sonno.
Indeciso se riprendere a macinare propositi avventati o risolversi nella consueta rinuncia preventiva ad agire, carico di dubbi ed insolvenze.
Stiracchiarsi.
È l’attivitá che Aldo preferisce, mentre si lancia nell’arena pericolosa popolata dagli svegli.
Quella mattina però il rituale riesce disarmonico, braccia e gambe si allungano per conto loro, scoordinate.
Quella mattina, infatti, non assomiglia a quelle che ha vissuto in precedenza.
Esce di casa una prima volta verso le 4 e 30, sovrastato da imponenti convulsioni psicologiche, provocate da insonnia e cattivi pensieri.
Girovaga per la cittá calpestando vie e marciapiedi.
Rientra a casa verso le 6, rifugiandosi tra le coperte ancora calde che però, come le moine di un’amante solo sognata, gli lasciano addosso solo un insopportabile senso di frustrazione.
Il ricordo di quello che ha fatto in quell’ora e mezza d’aria non viene a galla neppure mentre si agita nel dormiveglia.
Poi all’ improvviso si ritrova seduto sul letto, con il naso giá orientato verso i profumi che il gorgoglio della caffettiera avrebbe, da lì a poco, liberato in tutte le stanze.
Il miagolio del gatto si insinua secco e perentorio come un’ordine militare.
Avrebbe riempito la ciotola subito dopo la colazione, come fa sempre, appena uscito dal bagno, prima di vestirsi ed incamminarsi al lavoro.
Ormai sono le 8.
Tardi: il suo turno in panetteria incomincia alle 9 e 30.
È l’orario meno gradito perché deve stare dietro al banco e servire la focaccia infornata dagli altri suoi colleghi.
Non la ritiene all’altezza. Non è come quella che impasta lui, riservando cura e amorevolezza ad ogni minimo particolare della preparazione.
Avrebbe comunque chiamato il negozio per avvertire del piccolo ritardo ormai accumulato.
Quella mattina una prima sensazione di squilibrio lo coglie appena appoggia il piede sul pianerottolo, mentre accompagna dietro di sè la porta di casa.
Il vestito che ha indossato è il gessato blu, con una camicia bianca arricchita dalla cravatta bordeaux, puntinata in tinta più scura.
Ai piedi le scarpe nere e lucide, quelle con i lacci.
Non riesce a capacitarsi di una scelta così inconsueta e si sforza per ricordare il momento esatto di quando ha preso quella decisione.
Quello è il vestito più bello che possiede, indossato solo una decina di volte e sempre in occasioni particolari.
Matrimoni, comunioni, visite a parenti fuori porta.
Gli viene alla mente quando aveva ricevuto il premio quale panettiere più preparato ed esperto, consegnatogli, insieme al titolo di Maestro, dall’Associazione provinciale dei Panificatori.
Ma perché ha deciso di indossarlo se si sta recando al lavoro?
È affezionato alla sua tenuta di ordinanza : jeans, scarpe di tela, maglietta leggera.
Il calore del forno non permette altro.
Si sente stordito.
Eppure non ha bevuto quando é uscito nella notte.
Ha solo camminato, senza fermarsi in nessun locale lungo le vie illuminate a giorno.
Poche auto in giro, anche se tutte saettanti come proietti lanciati per chissà quale ignota destinazione.
Ricorda di aver pensato che avrebbe voluto prenderne una al volo ed usarla come una fionda, per fuggire via.
Che cosa gli sta accadendo?
Quando realizza di non aver consumato la colazione e di averla negata pure al gatto appoggia la fronte allo stipite della porta.
Sospira forte.
L’alito comunica nell’aria circostante che non si è lavato i denti.
Le tasche dei pantaloni così leggere e vuote, infine, lo informano che si è chiuso fuori casa senza chiavi, documenti e soldi.
Lo assale il magone.
Ma non cede all’ansia.
Anzi: tutto, intorno a sè, gli appare colorato di una luce diversa. Appena accennata, flebile, ma con i contorni delle cose diventati improvvisamente più netti.
Come se ci vedesse meglio.
I suoi movimenti, mentre preme il pulsante dell’ascensore, sembra non gli appartengano più.
Ha l’impressione che qualcuno manovri filamenti invisibili agganciati ai suoi arti.
Si sforza di ricordare, ma le immagini che scorrono nella sua memoria sono solo quelle del suo passato più lontano.
Il tempo dell’infanzia e dell’adolescenza.
Ora, invece, ha 53 anni compiuti da un mese.
Sente il bisogno di un caffè che lo scuota da quella mollezza che intorpidisce il corpo e prosciuga la saliva.
Il Bar degli Amici si trova a due soli isolati di distanza.
In giro, per il quartiere, poca gente, per di più sconosciuta ed imbronciata.
Accelera il passo con il cuore in gola.
Vedere qualcuno, poterlo solo sfiorare, scambiare qualche battuta ristabilirebbe l’ordine consueto delle cose.
L’equilibrio consueto delle cose.
All’inizio pensa di aver sbagliato numero civico, stranito com’è, quella mattina.
Appena guarda meglio, però, si rende conto che la serracinesca chiusa del bar è proprio quella del locale amico.
– Ma come! -Si angustia a pensare, basito.
– Sono le 8 e 30! L’orario delle colazioni! Dovrebbe essere aperto! Come tutte le sante mattine!-
Ruota su se stesso per cercare alle spalle qualcuno che gli spieghi.
La strada, deserta.
Ricorda che i pochi passanti incontrati prima tenevano il capo basso, immerso tra i baveri che impedivano si potesse scorgere netto il loro volto.
Si rifugia davanti l’edicola, ancora più colorata del solito, con le riviste appese come festoni.
Alcune persone accalcate bloccano il piccolo ingresso così da impedirgli di scorgere l’edicolante.
Roberto è suo amico e chiederà a lui perché il bar sia chiuso.
Attende qualche istante ma la calca lo spinge sempre verso l’esterno, senza che qualcuno esca per farlo entrare.
Per vedere meglio cerca di alzarsi sulle punte dei piedi ma per poco non cade all’indietro, perdendo l’equilibrio.
Le persone schierate come sentinelle sembra vogliano creargli un cordone sanitario preparato apposta per lui.
Ritorna sulla strada.
Appoggiato ad un lampione si guarda sconsolato le scarpe, fresche di lucido appena sfregato con il panno.
Il suo alito peggiora e se ne accorge appena comincia a parlare da solo, recitando il tentativo di darsi una risposta.
Mentre bofonchia si sente afferrare per la giacca.
Una presa delicata e forte al tempo stesso, che tira verso il basso, come provenisse dall’asfalto.
Un secondo strattone, più deciso, lo fa ruotare su se stesso.
Si stupisce nello scoprire che l’inaspettato visitatore altri non era che un bambino.
Bruno, occhi vivaci, pantaloni corti e calzettoni arrotolati, di una etá indefinita.
Mantiene una presa sicura e sembra volerlo trascinare altrove.
Tira e basta, certo della direzione che vuole far imboccare ad Aldo.
E mentre moltiplica l’impegno a tirare, non smette di fissarlo negli occhi, incrociandone lo sguardo perplesso.
Ad un tratto nell’atto del maggior sforzo il piccolo molla la giacca e si allontana di qualche passo.
Aldo percepisce vivissima una sensazione di malessere ancora più intensa di quella appena provata sul pianerottolo di casa.
Quel bimbo gli riempie il cuore: è stato l’unico contatto con il mondo reale da quando si è risvegliato nel letto.
Se ne rende conto ora che non sente più la morsa di quella presa così vigorosa e pur dolce.
Il bimbo rimane fermo qualche secondo per poi scattare correndo verso il parco pubblico poco distante.
Aldo si protende anche lui nella corsa, per afferrarlo. (1)
Saliscendi che sembrano infiniti, in mezzo ad una boscaglia rada, con i fiori nei prati ancora incerti se resistere alle intemperie o soccombere.
Un sole pallido ed educato, timidamente, accarezza i rami, esitante anche lui sul da farsi.
Mentre corre, Aldo fissa il mondo intorno di sottecchi, avendo come unico scopo solo quello di non perdere contatto con il battistrada.
Superano panchine deserte e giostre in disuso e poco distante incontrano il trabiccolo del gelataio abbandonato sul ciglio di un sentiero poco curato.
Il bambino si blocca all’improvviso al centro di una radura infestata dalle cartacce.
Un ratto dal pelo lucido, come fosse stato lisciato con il gel, fruscia sul terreno, fuggendo via rumorosamente.
Aldo frena, appena vede il piccolo fermo.
– Mi ha aspettato! Poteva seminarmi facilmente! Fare come se niente fosse! E lasciarmi indietro…Invece..-
Oltre la radura si spalanca un precipizio il cui fondo sembra infinito.
– Se non si fermava, ci sarei caduto dentro…-
Il bambino ha già aggirato il vuoto seguendo un sentiero al lato del crepaccio e trotterella saltando pericolosamente sul ciglio, incurante dell’equilibrio precario.
– Attento! Rischi di cadere! –
Ma quello triplica addirittura il numero di balzi.
Si ferma solo in prossimità di un frutteto selvatico.
More impolverate, un fico storto di lato ed un melo con i frutti rugosi, color ruggine, ormai privi di succo.
Eppure il bambino si lascia scappare un sorriso che contagia anche Aldo appena giunto, tutto trafelato.
Si ritrovano a guardare quella frutta che nessun mercato rionale avrebbe avuto il coraggio di esporre tra le proprie bancarelle.
Poi all’improvviso la polvere svanisce, mentre il fico si rianima come una gemma appena fiorita e le mele prendono a luccicare turgide.
Aldo ascolta il fluire del sangue nelle sue vene, un suono che non aveva mai conosciuto.
E prova la sensazione di assaporare il gusto di quella frutta che non ha neppure sfiorato.
Gli sembra di avere le labbra bagnate da un frullato freschissimo.
Una vitalitá inconsueta lo coglie mentre tenta di avvicinarsi al bambino.
Gli esplode il desiderio di parlare e chiedere una spiegazione di quanto stia accadendo, ma quello si scosta di nuovo per accomodarsi su una panchina di ferro battuto poco distante.
Quando Aldo lo raggiunge, appena seduto, non sente sotto di sè freddo fastidioso del metallo.
Anzi non sente affatto il suo peso corporeo.
– Che stia levitando?- pensa, un po’ interdetto, affidandosi ad una ironia salvifica.
Ruota verso il bambino che a sua volta lo scruta da capo a piedi come per accertarsi delle sue condizioni generali.
Aldo non può resistere e subisce una anamnesi esistenziale.
La radiografia di tutta una vita.
– Ma chi sei?- tenta di urlargli contro.
Ma la voce non esce, neppure strozzata.
Abbandonandosi a quella compagnia forzata ma appagante, Aldo si acquieta rilasciando un respiro lungo e profondo.
Lo hanno colpito i lineamenti del viso del bambino, giá visti e conosciuti, in qualche tempo e luogo che non ricorda bene, ma che comunque gli appartengono come le sue stesse rughe e macchie della pelle.
– A chi assomigli?- tormentando la memoria.
Nel frattempo, da lontano, lungo il viale che ospita la panchina, giunge un vociare sommesso, come una litania, che soffusamente li raggiunge, conferendo a tutto l’ambiente circostante un alone di mistero impregnato di attesa.
Si voltano tutti e due, sporgendosi in avanti con il busto, per vedere meglio.
Un nugolo di teste sta ondeggiando come un mare increspato.
Sono uomini e donne disposti in quadriglie.
Quelli schierati davanti camminano a passetti brevi e nervosi, con le suole che annegano nel ghiaino.
Aldo capisce subito il motivo di quell’incedere così frammentato.
Reggono un peso, caricato sulle loro spalle: una cassa, una cassa da morto.
Lo intuisce, colpito dal luccichio del crocefisso bronzeo posto sul coperchio.
Nella penombra del boschetto, sembra irradiare tutto intorno uno sciame di lucciole appena nate.
La processione avanzava lentamente, incurante della tensione di Aldo che sale invece con una velocitá vorace.
Comincia a distinguere le prime facce subito dietro il feretro.
Gli amici del bar!
– Ecco perché era chiuso!- si esalta per un istante.
Poi a seguire Roberto, l’edicolante, che prima non riusciva a scorgere dietro il nugolo di lettori che lo coprivano alla sua vista.
Infine qualche altro conoscente, vecchi compagni di scuola, vicini di casa, persino gli zii lontani che non vedeva da almeno un decennio.
Aldo tenta di lanciarsi in una corsa disperata verso il corteo ormai prossimo alla panchina, ma il bambino lo blocca.
Sospira fino ad esaurire il fiato, spostando di lato il viso, asciugato dallo sconcerto.
Si ritrova a tu per tu con quel faccino liscio e rubicondo.
– Ma chi sei?!… Ti supplico…- scopre di essere ancora capace di implorare, forse come mai aveva fatto in vita sua.
Il corteo intanto si ferma davanti a loro.
Gli occhi di Aldo si sbarrano come sigillati da un velo di colla a presa rapida.
Le sagome ingobbite dei suoi genitori, con le facce deformate dalla sofferenza, sembrano sciogliersi come cera e lo fissano, incuranti della sua incredula immobilitá.
La mano del bambino stringe ancora più forte quella di Aldo, che finalmente riconosce chi si cela dietro quel volto così familiare.
È lui stesso.
Quella che contempla è la sua faccia, di quando era piccolo.
I suoi genitori si avvicinano alla panchina.
Guardano prima lui, con un sorriso carico di promesse e poi il bimbo, che si alza per seguirli nel corteo.
Tutti e tre si voltano verso Aldo disegnando sui loro volti un invito ad affrettarsi.
Per iniziare il cammino verso quel luogo dove il tempo e lo spazio si fondono definitivamente con il senso di tutto il creato.
Egli obbedisce.
Certo di dover riempire con il suo corpo la cassa sostenuta dai portantini.
Solo allora realizza di essere stato ucciso durante la sua uscita notturna, quando un’auto lo ha investito, mentre passeggiava tra le vie della sua città addormentata.
Ignara e perdutamente distratta.
Poco prima che qualcun’altro si svegli.
Stiracchiandosi.

(1) frase tratta da un Salmo dell’Antico Testamento

 

 

 

 

 

 

 

Loading

6 commenti »

  1. Sorprendente! Sei riuscito a creare un racconto che si fa leggere tutto d’un fiato, quasi di corsa. Si percepisce subito che c’è qualcosa che non va e, nel tentativo di capire cosa sia, vengono in mente perfino delle ipotesi. Io avevo pensato all’Alzheimer per esempio. E invece no, la soluzione stupisce alla fine del racconto. Intanto, però, si gode per la tua bella scrittura, diretta, precisa e piacevole. Bravo Massimo!

  2. Mi prendo i complimenti, grazie!

  3. Bello! Una prosa veloce come l’ansia del protagonista di capire, piena di svolte imprevedibili come i passi della sua guida, ricca di immagini che fioriscono, maturano e avvizziscono come in una stagione accelerata, che è poi la storia stessa della sua progressiva consapevolezza. Un racconto che inizia con dettagli materiali, sviluppa visioni simboliche e chiude il cerchio con lo stesso gesto fisico iniziale. Complimenti!

  4. Ok, grazie

  5. Nonostante avessi già intuito il finale(forse perché in qualche modo somiglia al mio racconto), sei riuscito a tenermi incollata fino all’ultima riga. Ottima prova!

  6. La curiosità di capire cosa stesse succedendo al protagonista mi ha accompagnato quasi fino all’ultimo.Ho capito cosa poteva essere successo, solo con l’immagine della bara. Ben organizzato, ben scritto e …bello!!! I miei complimenti.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.