Premio Racconti nella Rete 2018 “Aspettando Gloria” di Annamaria Trevale
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Il caffè di quello squallido bar faceva veramente schifo, ma a quell’ora del tardo pomeriggio Davide non avrebbe saputo cos’altro ordinare.
Dubitava che il barista dall’aria tonta – e dalla camicia non proprio immacolata – fosse in grado di preparare qualcosa di appena passabile in fatto di aperitivi e cocktail, per cui non avrebbe certo osato scegliere qualcosa del genere: e questo sorvolando sull’aspetto stantio delle tre brioches, dimenticate nella vetrinetta in fondo al bancone, che avrebbero potuto risalire tranquillamente a una settimana prima, o dei tristissimi sacchetti di patatine di una marca del tutto sconosciuta.
Il bar era comunque collocato al posto giusto, senza contare che sarebbe stato molto difficile trovare un locale migliore in quel grigio quartiere periferico trascurato da tutti. Solo da pochissimo tempo due nuovissimi palazzi per uffici erano stati innalzati, come incongrue torri di vetro azzurrino, in mezzo a vecchie fabbriche dismesse da decenni e a tristi case popolari, dalle facciate già sbiadite, ma non erano certo sufficienti a migliorare la deprimente visione complessiva della zona, che avrebbe richiesto un deciso intervento di riqualificazione da parte dell’amministrazione comunale.
Del resto, a Davide importava ben poco sia del bar, sia del quartiere. Era lì soltanto per tenere d’occhio quella vecchia bicicletta da donna scura, legata a un palo un po’ storto a pochi metri dalla vetrina del bar, in attesa dell’arrivo della sua proprietaria.
Lei, Gloria, sarebbe uscita entro pochi minuti dall’edificio basso sul lato opposto della strada, una vecchia officina ristrutturata e adibita a sede di alcuni uffici, e sarebbe venuta a riprendersi la bicicletta per tornare a casa, al termine della sua giornata di lavoro. E lui, Davide, sarebbe rimasto come un allocco a guardarla armeggiare con catena e lucchetto, per poi accomodarsi sulla sella e scomparire in fretta pedalando verso la circonvallazione esterna. Dopo, si sarebbe avviato a riprendere la sua scalcinata utilitaria blu, parcheggiata trecento metri più avanti in una stradina secondaria, per allontanarsi a sua volta, ma verso una destinazione completamente diversa.
Si erano lasciati tre mesi prima. O meglio, LEI lo aveva lasciato tre mesi prima.
“Non posso passare la vita ad aspettare che tu ti decida a crescere, Davide. Io voglio fare di meglio e di più di quello che pensi tu.”
“Non ti piaccio proprio più? Oppure mi disprezzi perché come insegnante ho uno stipendio troppo basso per le tue ambizioni?”
“Non si tratta di questo! Fare l’insegnante è un mestiere importantissimo, ma tu avevi studiato per fare altro, oppure te lo sei già dimenticato?”
“No, ma le supplenze le ho trovate subito, e sono quelle che per adesso mi danno da mangiare. Il lavoro importante, quello a cui magari continui a pensare tu, me lo posso soltanto sognare, almeno per ora. Lo sai o no che c’è la crisi?”
“A me sembra che tu abbia smesso da un pezzo di provare a cercare qualcosa di alternativo alle supplenze.”
“Ha parlato la gran donna in carriera! Ti ricordo che, per ora, tu guadagni quanto me, e per fare un lavoro tutt’altro che qualificante: sono capaci tutti, al giorno d’oggi, d’inserire dati in un programma informatico. Lo facevano già a mano, qualche decennio fa, e non è che la cosa diventi speciale usando una tastiera … Dimmi magari che ti sei trovata un altro, o che ti sei messa in mente di sposare il tuo capo!”
“Eccolo, il bravo maschilista, che non sopporta l’idea che una donna possa vivere anche senza pensare di sposare qualcuno per sistemarsi! Ma ti rendi conto che siamo nel ventunesimo secolo, e tu mi stai tirando fuori le idee che avrebbe potuto avere tuo padre, o magari tuo nonno?”
No, non era vero. Quella frase idiota l’aveva buttata lì solo perché amava Gloria, e non sopportava l’idea che lei volesse lasciarlo. Ma così era andata, e non era stato più possibile convincerla a cambiare idea: la critica al suo lavoro, dopotutto, era stata solo un pretesto, un modo per dirgli che non lo voleva più. Punto.
Erano trascorsi giorni, poi settimane, che erano diventate mesi.
Ora l’anno scolastico era appena finito. Davide si trascinava tra le ultime incombenze burocratiche e una manciata di lezioni private che era riuscito a raggranellare, sfruttando quel terrore degli esami di maturità che induceva anche i più riottosi a darsi una mossa, sia pure tardiva, per cercare di superarli alla meno peggio.
Quando si sentiva attanagliare dalla nostalgia, Davide prendeva la sua vecchia auto, che chissà quando mai avrebbe potuto sostituire con un modello un po’ più recente e affidabile, sia pure di seconda mano, e guidava piano fino a quel brutto quartiere periferico. Ci si era già recato altre volte, neanche tanto tempo prima, per aspettare Gloria all’uscita dal lavoro, quando avevano programmato di trascorrere una serata insieme. In quelle occasioni, sapendo che alla fine della giornata Davide sarebbe arrivato a prelevarla con l’auto, lei lasciava a casa la bicicletta e raggiungeva l’ufficio con i mezzi pubblici, quelli a cui si affidava anche nella brutta stagione, quando pioveva forte o faceva troppo freddo per pedalare.
Ultimamente, con l’arrivo della bella stagione, Gloria usava quasi esclusivamente la bicicletta. Ed eccola lì anche oggi, agganciata come sempre al palo davanti alla vetrina del bar: non era certo un modello recente e prestigioso, ma non era nemmeno il caso di lasciare qualcosa di meglio in quella strada, alla mercé di tutti i possibili ladri del quartiere.
Quando aveva raccontato al suo amico Michele che qualche volta si era seduto in quel bar, proprio davanti alla bicicletta di Gloria, per vederla uscire dall’ufficio, Davide si era sentito rimproverare aspramente.
“Ma non sarai mica così scemo? Lo sai che se Gloria ti becca può anche decidere di denunciarti per persecuzione? Anzi, per stalking, che adesso fa più figo. E poi, scusami, cosa pensi di ottenere standotene lì come un cretino a guardarla, senza nemmeno provare a parlarle? O vai lì per chiederle di tornare insieme, oppure perdi solo del tempo per niente.”
“Non voglio romperle le scatole, non mi sono mai fatto vedere. Non lo faccio per perseguitarla, ci mancherebbe!”
“E allora? Vatti a fare una birra sui Navigli, che è meglio … E magari, vedi di trovarti presto un’altra donna!”
Certo, Michele aveva perfettamente ragione. Lui stava solo sprecando un sacco di tempo, perché sapeva benissimo che Gloria non sarebbe più tornata sui suoi passi: se l’avesse visto in quel momento, con lo sguardo perso sulla vecchia bicicletta blu, avrebbe di sicuro pensato di aver fatto bene a scaricare un uomo così stupidamente nostalgico. Oppure lo avrebbe classificato una volta per tutte come un vero idiota, se non addirittura come un maniaco, dando ragione a Michele.
“Sei davvero senza palle, Davide! Avresti potuto telefonarmi, magari, invece di spiarmi come un cretino da un bar.”
Era pronto a scommettere che gli avrebbe detto qualcosa del genere, guardandolo storto come solo lei sapeva fare quando se la prendeva per qualcosa. Erano già passati tre mesi, dopotutto, e Gloria era sparita nel nulla, quindi non doveva proprio avere nessuna intenzione di cambiare idea nei suoi confronti.
Perché si ostinava a sperare?
Sua madre, se fosse stata ancora al mondo, gli avrebbe detto che una minestra riscaldata non è mai buona: la vita poteva solo andare avanti, senza retromarce e senza ripensamenti. Quindi, senza Gloria.
Anche se mancavano ancora dieci minuti buoni all’uscita degli impiegati dallo stabile di fronte, Davide pagò il caffè, uscì dal bar e passò accanto alla bicicletta, sfiorandone per un secondo il sellino con una mano, come per un’ultima, timida carezza in segno d’addio, per poi allungare subito il passo e raggiungere la via traversa dove aveva lasciato l’auto.
Era ora di tornare a casa, forse di fermarsi al market per fare un po’ di spesa e di prepararsi qualcosa di decente per cena. Magari avrebbe persino telefonato a Michele, per sapere se gli amici avevano qualche progetto per quel venerdì sera, anche solo per bere una birra in compagnia nel solito pub, dove finivano per incontrarsi quando non trovavano di meglio da fare.
E di sicuro, d’ora in poi, avrebbe lasciato morire tutta la sua nostalgia senza più guardarsi indietro.
Un racconto dolce, che fa tenerezza e induce quasi a fare il tifo per il protagonista. “Dai che ce la puoi fare!” viene voglia di dirgli. Le ferite del cuore sono dolorose, mentre si rimarginano fanno un male cane e tu, Annamaria, questo lo hai descritto attraverso una storia semplice, di tutti i giorni, e che per questo riesce a catturare il lettore. Brava!
Questo somiglia un po’ al mio racconto: una storia d’amore finita male in cui uno dei due resta più deluso dell’altro, si attacca al ricordo, ricerca l’altra persona sperando che… poi però alla fine si rende conto che è meglio guardare avanti e dimenticare chi ci ha fatto del male. Complimenti