Premio Racconti nella Rete 2018 “La musica e la vergogna” di Claudio Orsi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Era di maggio. Era il maggio del ’68. Era di luglio, dal bene che ti voglio. Era il 29 settembre, seduto in quel caffè o il 4 marzo del ’43, nella stanza sul porto o forse il 25 aprile del ’45, Bella Ciao: Vincenzo non ricorda bene il giorno, ma quando incontrò quella sua cara, carissima amica, anche se ancora oggi non ricorda bene il giorno, le andò incontrò sorridendo. Non si vedevano da tempo, allora anche lei sorrise. E si dettero la mano, si abbracciarono, si annusarono e cominciarono a parlarsi.
Così lei gli disse “Oh, Vincé, ma ti vedo proprio bene!” “Sai cara, ora sono nonno” “Bene! E che fai, che fai… nonnino” “Sai, ora abito in campagna” “Bene! E che fai, che fai… campagnolo”. “Bè, faccio l’orto” “Bene! E poi?” “Poi cucino” “Bene! E poi?” “Poi leggo… scrivo” “Ah! Bene! E poi?” “Poi… ggiro, vedo ggente, mi muovo, conosco, faccio cose…”
No questo veramente non lo disse, però, magari per darsi un tono e chiudere i convenevoli, Vincenzo, sottovoce le mormorò in un orecchio: “Sai ogni tanto la sera mi faccio una canna…” “Bene! E poi?” “Bè, poi… comincio a cercare il letto…” “Ma bene! E poi, e poi?” “Ah si! – rispose Vincenzo giulivo “poi faccio musica… vado a suonare”.
Lei non rispose. Però arricciò il naso, fece una piccola smorfia con la bocca, ammiccò una impercettibile strizzatina degli occhi, si grattò un seno con una mano, passò le dita dell’altra nei capelli arruffati, dette un colpo di tosse e si ritrasse di qualche centimetro.
“Sai, suono in un gruppo rock… un po’ rock, un po’ blues, un po’ pop…” “Un po’ pop?” “Un po’ pop!”
Fu a quel punto che lei, ricomposta, cominciò a guardarlo severa, come si guarda una scarpa che ha appena pestato una cacca di cane. “Ma scusa, alla tua età, vai a suonare… Alla tua età! E dove, dove vai a suonare?” “Beh.. nei pub, quando capita… nei pub” “Alla tua età vai a suonare nei pub… alla tua età! Ma non ti vergogni? A suonare! Vai a suonare nei pub e non ti vergogni?”
Vincenzo allora pensò che l’amica avesse capito male, avesse proprio frainteso. Si, perché suonare dalle nostre parti, questo bisogna saperlo, può avere vari e differenti significati. Per esempio se vedi uno un po’ intontito, poco lucido, confuso assai, dici: quello è suonato. E si intende. Oppure, se trovi troppo volgare dire per esempio trombare, al suo posto puoi sempre usare il verbo suonare. Vincenzo per esempio aveva un amico e questo suo amico ne aveva uno che non era amico di Vincenzo ma quando questo amico di Vincenzo incontrava quel suo amico che comunque non era amico di Vincenzo, lo gonfiava sempre di botte. Allora Vincenzo un giorno gli chiese a questo suo amico: “Ma come mai quando incontri quel tuo amico che comunque non è mio amico, gli dai sempre così tante botte?” “Perché mi suona la sorella… E non è un musicista!”.
Veramente al posto di trombare si potrebbe anche dire scopare, ma dalle nostre parti questo modo di dire è arrivato veramente tardi. Vincenzo dice che lo cominciarono a usare due ragazze milanesi nell’estate del ’63 o giù di lì, ma lui non lo sapeva, così quando queste due dicevano “si va a scopare”, lui entrava in casa e prendeva la granata, la scopa, e poi diceva “Ecco, sono pronto, dove andiamo a pulire?”. E quelle, finita l’estate, tornavano a Milano ancora vergini.
Comunque, visto che l’amica continuava a guardarlo come si guarda una scarpa che dopo aver pestato una cacca di cane la sta seminando a quinconce sul marciapiede, “Guarda – le ha detto Vincenzo a questa sua amica – guarda che se vado a suonare nei pub non faccio mica niente di male, sicuramente niente di cui mi dovrei vergognare. Perché uno si deve vergognare se va a suonare nei pub. Fare musica, suonare, cantare, è una delle attività più belle, più amorevolmente intense, più pacifiche e pacifiste che uomini e donne possono fare insieme, senza fare del male a nessuno, anzi, spesso, facendo del bene, regalando qualche minuto o qualche ora di spensieratezza, di allegria, di buonumore a tutti quelli che liberamente sono venuti ad ascoltare”.
E mentre diceva così, a Vincenzo è venuta in mente una storia, una storia di musica e canzone, che così ha raccontato a quella sua amica.
“Non era di maggio e non era di luglio, dal bene che ti voglio. Non era il 29 settembre, seduto in quel caffè o il 4 marzo del ’43, nella stanza sul porto e nemmeno il 25 aprile del ’45, Bella Ciao!
Era il 24 dicembre del 1914. L’esercito tedesco ha invaso il Belgio. Le truppe inglesi sono arrivate in soccorso dei francesi che insieme ai belgi cercano di fermare l’avanzata delle truppe germaniche. La grande guerra allora aveva già fatto un milione di morti, ma quella notte di Natale sul fronte delle Fiandre che va da Ypres a St.Yvon sta per accadere qualcosa di nuovo. Comincia a nevicare e i soldati tedeschi, truppe ben fornite e ben equipaggiate, trovano il tempo di legare candele ai rami degli alberi. Le accendono e fanno tanti alberi di natale. E’ allora che a un soldato tedesco, rintanato in una putrida e fetida fossa di trincea, viene voglia di mettersi a cantare. E canta: “Stille nacht, heilige nacht, alles schläft, einsam wacht…” Canta il soldato con bella voce baritonale e canta sempre più forte: alza il tono perché vuole che i nemici rintanati anche loro in una putrida e fetida fossa di trincea, a poche decine di metri di distanza, avvertano forte e chiaro il suo canto e lo ascoltino. E infatti lo sentono i soldati inglesi quel canto, e lo ascoltano così bene e attentamente che un caporale del Quinto si fruga nelle tasche, tira fuori la sua armonica e si mette ad accompagnarlo. Anziché sparargli a quel crucco maledetto, gli fa il controcanto. Con l’armonica.
Piano piano altre voci di altri soldati dall’una e dall’altra parte si uniscono e si forma così un coro che piano piano si espande in tutta la lunghezza delle due trincee. Un coro che canta a voce sempre più alta perché ognuno vuole che il suo canto raggiunga la fossa di trincea di là, laddove è rintanato il nemico.
E’ ormai mezzanotte e tutti, veramente tutti, stanno cantando. Ora non ci si fronteggia più con spari e cannonate. Ora si fronteggiano “Stille Nacht” contro “Holy Night”. Non è una gara al bersaglio, è una gara di canto, è un invito alla pace.
Così, spinti da quel canto e da quell’invito, i soldati escono fuori dalle trincee. Inglesi, scozzesi, irlandesi, francesi, belgi, tedeschi, prussiani, austriaci sempre più numerosi, sempre più fiduciosi, abbandonano i loro fucili e i loro mortai ed escono fuori, disarmati. Si vengono incontro, da amici, da fratelli, e si stringono la mano, si scambiano regali: pane, tabacco, alcool, foto delle fidanzate, berretti, bottoni delle giacche. Anche pulci e pidocchi. E cantano e suonano e ballano, tutta la notte. E per l’intera notte e per tutto il giorno che segue staranno insieme, senza odiarsi, senza spararsi, senza ammazzarsi.
Grazie a quel canto, grazie a quella musica, in quel giorno di Natale del 1914 nessuno di quei soldati è morto per una guerra che nessuno di loro aveva voluto…”
Vincenzo ne sapeva anche un’altra di belle storie sul potere della musica e del canto, ma questa seconda storia non fece in tempo a raccontarla perché lei, l’amica, l’aveva salutato in fretta e furia perché doveva andare a comprare il pane. Così gli aveva detto: “Scusa, ciao, ti saluto, devo andare a comprare il pane.” Ed era andata via, a passo svelto, cercando di non pestare la cacca di cane che nel frattempo aveva sparso sul marciapiede. Vincenzo così non aveva potuto raccontarla, quella bella storia.
Allora ve la racconto io a voi.
La storia è quella dei tre taglialegna che hanno abbattuto un albero gigantesco e ora, dopo averlo ripulito dai rami e dalle fronde, ne devono portare fuori dal bosco il tronco pesantissimo. Sono sfiniti dalla fatica. Ogni tre passi si devono fermare perché il tronco è veramente pesante. Ogni tre passi, una sosta. Tre passi e una sosta. Non arriveranno mai. Poi uno di loro, il più stanco dei tre, tira fuori dalla tasca della giacca un flauto e alla prima sosta si mette a sedere sul tronco e comincia a suonare. La bellezza di quel suono, l’armonia di quelle note dà ai suoi due compagni la forza e l’energia per ripartire. Ora non pensano più alla fatica: sono estasiati dalla dolcezza di quella musica. Allora sollevano il tronco e lo trasportano in due fuori dal bosco, addirittura con il loro compagno che è rimasto seduto sopra a suonare il flauto. Un tronco che era pesantissimo, ora lo portano fuori dal bosco senza fatica, ingioiati da quella musica, da quella armonia.
Questa è la grandezza della musica. Questo è il potere della musica che porta pace e fratellanza, che fa cessare l’odio e l’inimicizia, che ferma la guerra, che porta armonia, che porta forza e energia. Che porta voglia di vivere e di godere a pieno della nostra vita. E allora perché vergognarsi se sentiamo ancora la voglia e proviamo ancora piacere a fare musica e a cantare. Anche nei pub.
Mia madre, le prime volte che uscivo di casa con il tamburo sotto il braccio mi diceva: “Ma non ti vergogni alla tua età a pensare ancora a fare le mattie! Perché non ti trovi una fidanzata come tutti i tuoi amici e esci con lei, così metti la testa a posto una volta per tutte”.
Avevo sedici anni e di fidanzate, comprese le due milanesi, non ne volevo sapere, ma non provavo vergogna mentre uscivo di casa con il tamburo sotto braccio per andare a suonare in una piccola balera di paese. E anche oggi, a cinquant’anni di distanza, ancora non riesco a provare vergogna quando, come stasera, uscirò di casa per venire a suonare per voi.
Storie nella storia e musica nella musica. Il tuo racconto, Claudio, è da ascoltare oltre che da leggere. Con le tue parole sai evocare immagini del presente e del passato, sai far vedere al lettore di volta in volta i vari scenari che evochi, ma anche la musica che li avvolge: quella italiana, quella natalizia, quella un po’ magica di un flauto. E quella del tuo protagonista, quella che suona dentro di lui. Bravo!
Complimenti Claudio per la bella storia che hai scritto. L’ho trovata molto particolare, scritta in uno stile originale e piena di passione per la musica, cosa che condivido in pieno. Viva la musica sempre e in ogni sua forma e grazie alle persone come te che sanno raccontarla.
Stupendo, la musica sempre, la musica come vita e una vita dedicata alla musica. Grazie per averci ricordato la sua potenza.