Premio Racconti nella Rete 2018 “Una storia semplice” di Federico Fabbri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Giulia intravide il fascio di luci balenare dietro la curva. I fari di un’auto affettarono il buio svelando per un attimo i contorni degli alberi e delle siepi, zigzagando nell’oscurità come un’antilope in fuga dal suo predatore.
Si fece istintivamente da parte e affondò le scarpe nuove nel terreno umido e soffice ai bordi della strada. Pensò che l’indomani avrebbe dovuto impegnarsi per pulire le macchie di terra appiccicate ai sandali appena comprati. Puntò la torcia del cellulare davanti ai suoi piedi e un raggio bianco e gelido illuminò, senza restituirle il colore del giorno, l’erba fradicia sotto le suole.
Semi di senape luminosi sparpagliati nell’oscurità punteggiavano la volta del cielo sopra la sua testa, accendendo il buio di minuscoli brillanti.
Sentì il suono del motore avvicinarsi da dietro la curva, un rombo aggressivo e potente che fendette il silenzio e azzittì il canto spensierato dei grilli. Si fermò guardandosi intorno. La notte profumava d’estate e il leggero sospiro del vento scuoteva appena le foglie degli alberi. Decise di attendere lì che l’auto passasse, qualche metro prima del ponte in pietra che superava il ruscello in secca. Le sembrò di sentire una rana gracidare da sotto la spalletta. Non ci fece caso. Le rane le stavano antipatiche.
Spense la torcia per risparmiare la batteria. Con Andrea erano rimasti d’accordo di sentirsi appena fosse arrivata a casa. Lui non aveva potuto riaccompagnarla, perché il suo scooter aveva fatto le bizze e non c’era stato verso di rimetterlo in moto. Si erano lasciati là, all’angolo della piazza della chiesa, con lui che imprecava per doversi fare a piedi i tre chilometri di strada che lo separavano da casa. Per lei il tragitto era più breve, dieci minuti al massimo e sarebbe arrivata. Si erano salutati con un sorriso, perché ancora non stavano insieme. Se lui avesse avuto il coraggio di chiederglielo, lei gli avrebbe detto di sì. Ma ancora non l’aveva fatto e così rimanevano solo amici, o forse appena qualcosa in più.
Rifletteva su questo quando vide l’auto sbucare in fondo al viale, anticipata dalla sciabolata di luce dei fari abbaglianti. Correva veloce, viaggiando al centro della carreggiata, con le ruote a cavallo della linea di mezzeria. La strada era leggermente in discesa e, prima del ponte dove Giulia si era fermata, formava un dosso. Raggiunto quel punto, la macchina scomparve alla vista della ragazza lasciando nell’aria solo il rombo del motore e l’alone di luce ovattata dei fari rivolti all’asfalto. Poi, in un attimo, l’auto sbucò dalla cunetta sbandando paurosamente. Attraversò il ponte rimbalzando tra le basse spallette in pietra come la pallina di un flipper.
Giulia fece appena in tempo a vederla sbatacchiare a destra e a sinistra prima di essere travolta e spinta lontano, scaraventata nel campo dietro di lei come una cartaccia gettata dal finestrino di un treno. Atterrò a pancia in su nell’erba alta, una gamba in posa innaturale e un rivolo di sangue che le scorreva lungo la tempia. Non sentiva dolore, ma solo in sottofondo il borbottio di un motore acceso e il frinire incessante dei grilli. Ascoltò una portiera sbattere e il rumore di passi incerti sull’asfalto.
Non riusciva a muoversi e neppure a parlare. I suoi occhi inquadravano la volta del cielo dove un miliardo di stelle facevano a gara per farsi notare. Brillavano silenziose e lontane come efelidi luminose sul volto dell’universo. E la osservavano. Mute e inconsapevoli testimoni di un passo del destino.
Giulia pensò ad Andrea, al suo motorino ingolfato, al suo viso fresco e allegro con quei pochi accenni di barba, al ciuffo di capelli che gli ricadeva di continuo sugli occhi, al blu cobalto del suo sguardo, alla sua timidezza mascherata dietro una facciata di spavalderia. Pensò al bacio che non le aveva dato, alla promessa di sentirsi appena arrivati a casa, alla felicità di rivederlo l’indomani.
Pensò a tutto questo e forse anche a qualcosa in più quando si accorse che qualcuno la stava osservando. Nel buio lì intorno percepì una presenza, una figura che si stagliava su di lei silenziosa. Ascoltò il suono del suo respiro, che per un attimo fu più forte del canto dei grilli. Poi lo vide. Era un ragazzo giovane, avrà avuto sì e no vent’anni e la guardava impaurito. Le sembrò che stesse tremando, le parve di notare un movimento del labbro inferiore, ma forse era solo un riflesso dovuto alle lacrime che iniziavano a scenderle dagli occhi.
“Aiutami, ti prego” avrebbe voluto dirgli Giulia. Non le interessava sapere perché quel ragazzo stesse guidando come un pazzo, non le importava capire se fosse ubriaco, o drogato, o soltanto maledettamente stupido. Le importava soltanto che potesse darle una mano, chiamare un’ambulanza, i vigili, il suo Andrea o chiunque potesse aiutarla. Ma non riusciva a muovere le labbra, a pronunciare nessuna parola. Solo il sangue usciva dal suo corpo, e lacrime calde sul suo bel viso.
Chiuse gli occhi e sentì l’erba frusciare. Rumore di passi, insieme al canto dei grilli. Poi di nuovo una portiera sbattuta, uno stridio di gomme e il rombo del motore che si perdeva lontano. Se n’era andato. Quel ragazzo aveva avuto paura e aveva deciso di lasciarla lì. Vigliacco e colpevole, pensò Giulia. E cattivo, forse.
Era di nuovo tutto scuro e silenzioso, adesso. Il vento leggero passava sui fili d’erba come pensieri inutili. Giulia aprì gli occhi verso il buio del cielo. Una scia luminosa scivolò verso di lei. Le indicava la strada, la direzione. Avrebbe voluto sorridere, ma non riuscì a farlo. Pensò ad Andrea, al fatto che quando l’avrebbe chiamata, non appena arrivato a casa, lei non gli avrebbe risposto. Rimpianse di non averlo baciato, di non aver avuto il coraggio di avvicinarlo a sé, pochi minuti prima. Almeno avrebbero avuto un ricordo da condividere e non una speranza da dover rimpiangere.
Il silenzio si portò via Giulia senza fare rumore. La rana antipatica, là sotto il ponte, continuò indifferente a gracidare; i grilli, tra l’erba, a cantare.
L’indifferenza che fa rabbia, l’indifferenza che impedisce al mondo di cambiare, l’indifferenza che uccide. E la vita che corre, che non ti aspetta, che ti offre mille opportunità, che ti invita ad approfittarne, a sfruttare l’ora, l’adesso, il presente. Ho letto tutto questo nel tuo racconto, Federico. Ed è stata una bella lettura! Bravo!
Grazie di cuore, Carola!
La speranza era che quel ragazzo facesse un passo indietro ma come anche troppe volte nella realtà accade anche questa volta non è successo ..
Bel racconto fatto di descrizioni che permettono di sentirsi parte della storia!!
Grazie! 😉
Bellissimi i suoni e bellissime le immagini che infrangono e descrivono la notte. Da brivido il finale: sembra di sentire il dolore e l’impotenza. Complimenti!
Grazie per le belle parole, Silvia!
Forse ancora un po’ da limare lo stile, ma ci sono alcune belle immagini. Forse il colpo di scena andava sottolineato maggiormente, magari con un cambio di stile, ad esempio qualche frase più corta e netta. Nel complesso un buon racconto e una bella idea. Bravo!
Grazie (anche dei consigli, di cui farò senz’altro tesoro)!
L’ho trovato un racconto struggente però mi è piaciuto molto. Ho colto l’indifferenza dell’autista che rifiuta di soccorrerla, ma anche il rimpianto che si genera in lei quando capisce di essere in pericolo. Quante volte si rimanda, ci si tira indietro per paura, per pudore, per chissà quali fisime e poi… da un momento all’altro finisce tutto e restano solo i rimpianti. E invece, a volte, un po’ di coraggio non danneggerebbe nessuno. Bravo comunque.
Sono d’accordo, troppo spesso siamo coraggiosi solo a parole, purtroppo… grazie del commento!