Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Notturno” di Carola Maselli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Bruno ha tradito sua moglie due ore e undici minuti fa. Le lancette dell’orologio ticchettano violente contro il suo polso, le sente rimbombare sottopelle e attirano costantemente il suo sguardo. Butta giù l’ultimo sorso di whisky. La mano gli pesa, le dita gli formicolano, la testa inizia a ciondolare verso il basso.

– Un altro.

La porta del pub si apre, Bruno sente la campanella sospeso sulla soglia tintinnare, poi il pavimento di legno vibrare sotto colpi regolari, lenti e precisi. Tacchi. Sullo sgabello accanto a lui una donna prende posto. Ha i capelli rossi e due gambe lunghe e sode escono da un tubino rosso, accarezzate da una pelliccia nera.

Aveva calze simili lei, forse un po’ più spesse, ma in macchina, seduta accanto a lui, le sue ginocchia sembravano nude. Se le accarezzò mentre gli diceva che casa sua era a due isolati da lì. Era rimasta solo lei in macchina. Bruno aveva calcolato tutto, aveva accompagnato prima Anita, poi Domenico, ma ora che sentiva la voce di lei coprire interamente l’abitacolo era stupito. Da cosa non aveva saputo spiegarselo. Forse ripensava a come era ricomparsa nella sua vita così, improvvisamente, dopo 13 anni, da compagna di banco a collega di lavoro, da alunna strafottente ad avvocato preciso, puntiglioso, con la scrivania sempre in ordine.

– Hai messo la testa a posto.

– Anche tu.

Quando sorrideva l’angolo destro della bocca si piegava verso l’alto e gli occhi le brillavano mentre fissavano la vera al suo dito.

Quella sera alla cena di lavoro sedette di fronte a lui. Ad ogni suo movimento sentiva le perle appoggiate sulla pelle del suo collo picchiettare le une contro le altre. Non si parlarono. Si passarono spesso la bottiglia di vino e le loro dita si sfiorarono quattro volte. Bruno le contò, e contò anche le volte in cui la punta delle scarpe di lei toccò quella delle proprie. Tre.

La prima cosa che gli disse quella sera fu l’indirizzo di casa, la seconda che aveva dello spumante nel suo appartamento e che avrebbe voluto farglielo assaggiare. Lui rispose ok, poi la seguì docile fuori dalla macchina, e mentre lei apriva la porta la sua borsetta si impigliò nel bottone della giacca di lui.

– Scusa. – sussurrò, ma lei liberò la tracolla soltanto quando gli ebbe fatto strada fino al salotto.

– Vado a prendere la bottiglia.

Brindarono alle cene di lavoro, poi al caso, infine alle sorprese del tempo. Quando lo baciò, erano entrambi a metà del quinto bicchiere. Lei gli tolse il suo dalle mani, si piegò di lato per appoggiarlo sul tavolino accanto a loro, poi allargò il nodo della cravatta. Lui, invece, le lasciò addosso la collana di perle.

Si addormentò. Con la testa di lei sul petto, Bruno dormì per una mezz’ora, poi aprì gli occhi. L’orologio aveva già iniziato a ticchettare contro il suo polso. Con un polpastrello le solleticò distratto la nuca coperta dai capelli neri, mentre gli occhi guardavano le due fedi sul tavolino. Una era la propria.

L’altra non l’aveva notata.

Non gli era stata nemmeno raccontata.

Si alzò. Lei si svegliò, gli chiese qualcosa, ma lui non rispose, le sue orecchie erano sorde, le sue mascelle rigide, le vene del suo collo più spesse. Si rivestì rapido e mentre lo faceva le lancette dell’orologio rimbombavano nella sua testa e gli occhi continuavano a fissare i due anelli. Lasciò la cravatta lenta intorno al colletto sgualcito della camicia e si appoggiò la giacca sulle spalle. Solo dopo essersi allacciato le scarpe riprese la fede, ma intanto continuava a guardare quella di lei.

Se ne andò senza dire niente, spalancò la porta, corse giù per le scale e neanche chiese scusa all’uomo contro cui andò a sbattere ad un certo punto.

Era notte fonda quando si ritrovò per la strada. I lampioni erano spenti, solo uno emanava una fioca e sporca luce arancione. In fondo all’angolo un pub era ancora aperto. Bruno vi si trascinò, e quando aprì la porta la campanella suonò sulla sua rabbia. Il barman non lo degnò nemmeno di uno sguardo.

 

Per Catia gli occhi degli uomini possono spostare l’aria. Sanno comprimerla, farla vorticare, indurla a fare quello che vogliono loro. Sul suo corpo li sente tutti, percepisce come una carezza nel vento e su quella mano fatta di pulviscolo lei ci posa la propria, aiutandola. Gli occhi dell’uomo seduto al bancone accanto a lei, però, quasi non li sente, è come se guardassero ma non vedessero le sue gambe sulle quali continua comunque ad indugiare. Catia non capisce, chiede due shottini al barman. Lui non la guarda, è tutto preso dal bicchiere che sta asciugando e che luccica colpito dai neon. Un uomo seduto più lontano lo fissa mentre continua a girare un caffè. Catia si sente ignorata.

E te lo meriti.

Chiede altri due shottini. La voce nella testa parla troppo.

Stai zitta!

– C’è un collega…

– Ah! Lo sapevo!

– Stai zitta, c’è mio marito in camera.

La sua migliore amica aveva sposato l’unico uomo che Catia avesse mai amato. Con lui aveva deciso di andare piano, di godersela, di assaporare ogni momento. Quello che provava era straordinario, insolito per lei, prezioso, e voleva osservarlo quieta mentre lentamente cresceva. Poi lui conobbe la sua migliore amica e tra loro due iniziò una frequentazione lunga e intensa. Catia si rese conto che con lei lui non si era comportato così.

– A lui piacciono le ragazze per bene, Catia.

– E credi che non potrei diventarlo?

Non lo era diventato. Si era incattivita, aveva perso fiducia in tutto, aveva proseguito con la sua vita, se possibile si era accanita sempre di più sugli uomini. Le piaceva piacere, e le piaceva farli soffrire. Ma la sua amica e il suo uomo non li aveva mai persi d’occhio, era rimasta sempre accanto a loro, ad aspettarli all’angolo. Tanto lo sa come va l’amore. L’amore muore con l’abitudine, basta far passare il tempo, basta lasciar fare alla quotidianità, alla banalità. Basta ritrovare le attenzioni che non hai più in un vecchio compagno di classe, un collega che ti guarda, che ti fa sentire il suo sguardo accarezzarti mentre sei seduta di fronte a lui durante una cena di lavoro.

Quella sera la sua amica le aveva mandato diversi messaggi, la teneva aggiornata.

È seduto di fronte a me.

Continua a guardarmi.

Ci siamo sfiorati.

Mi sta accompagnando a casa.

È di sopra.

Catia sorrise. Inoltrò tutti i messaggi al marito di lei, poi gli scrisse: Era giusto che sapessi.

La sua risposta arrivò dopo diversi minuti.

Ci penso io.

Nella sua mente quelle parole le lesse la voce di lui. Era arrabbiata, fremente, nera. Le fece paura. Poi non seppe perché, semplicemente andò a vestirsi, indossò il suo tubino preferito e uscì. Camminò a lungo prima di trovare un pub aperto, all’angolo di una strada deserta e silenziosa. Aveva bisogno di bere, aveva bisogno di essere guardata. Aveva bisogno di ricordare chi non meritava di essere.

 

Quel caffè fa schifo. Dalla tazzina emana un odore orribile, nauseante, di vecchio, di stantio. Nicola ne ha bevuto solo un sorso. Sulla lingua gli ha lasciato un sapore metallico, che neanche con lo zucchero riesce a mandare via. Lo gira e rigira da molto tempo ormai e il cucchiaino cozza contro la tazzina e contro la sua testa. Intanto osserva il barman. Gli dà le spalle.

Le spalle dell’uomo erano grandi, pesanti. Fremevano e sotto di lui anche la donna tremava. Era seminuda. Nicola non doveva essere lì, non avrebbe dovuto entrare, ma la porta era aperta e in quel paese si fa così, ci si appropria delle vite degli altri, si spiano le storie dei vicini di casa per poterne parlare, forse semplicemente perché la propria non è altrettanto interessante. Si è intrufolato, è arrivato fino al salotto, attirato dalle voci. Litigavano sempre, marito e moglie, litigavano anche in quel momento.

– Sei una puttana!

La donna seduta di fronte a lui ha lo sguardo fiero e le labbra strette. Hanno tinto di rosso il bordo dei dieci bicchierini che le stanno davanti in fila sul bancone. Accanto a lei un uomo con abiti sgualciti cerca di resistere al sonno indotto dall’alcol. La testa dondola verso il bancone, dalle labbra socchiuse cade un rivoletto di saliva. Si ridesta solo quando il barman gli versa altro whisky dalla bottiglia.

La bottiglia era quella di uno spumante costoso. Nicola lo aveva riconosciuto, i figli glielo avevano regalato per Natale e lui ancora non si decideva a stapparlo. L’uomo di fronte a lui la afferrò e la abbatté contro il tavolino. In mano gli rimase soltanto il collo.

– Che stai facendo?- esclamò la donna.

– Mi fai impazzire. – disse lui con i denti digrignati.

La colpì. Le punte aguzze del vetro rotto le martoriarono il bellissimo corpo, lo strapparono, lo artigliarono, lo deturparono. Nicola non riusciva a muoversi, non aveva più voce in gola, non aveva più forza nelle gambe. Vide tutto, vide il braccio dell’uomo abbassarsi più volte sulla moglie, vide il sangue di lei impregnare il tappeto, vide il vetro incidere ancora e ancora la pelle della donna, sempre più veloce, sempre più violento. Soltanto quando la collana di perle che lei indossava si ruppe Nicola scappò. Gli venne da piangere una volta uscito all’aria aperta.

Piange. Per lo schifo di caffè che sta bevendo, per la moglie che di certo lo sta aspettando con ansia a casa, per aver vomitato sul tappetino all’ingresso del pub e per la donna straziata sotto i suoi occhi.

 

I clienti migliori sono quelli che restano fino a notte inoltrata. Sono quelli che il trapasso da un giorno ad un altro lo vivono al rallentatore, da svegli, perché mentre si dorme il tempo scorre più veloce. Il barman del Prophé ne ha visti tanti. Gli tengono compagnia mentre ripulisce il locale di tutte le storie che sono finite nei bicchieri. Lui le raccoglie tutte, una per una, goccia a goccia con uno strofinaccio bianco. Sono finite lì sul fondo, e solo lui sa come recuperarle. È la moneta di scambio che adopera ogni sera. Simpatia, discrezione, perfino qualche sconto in cambio delle loro storie.

La donna con i capelli rossi si alza, si sistema il vestito, si infila la pelliccia. L’uomo accanto a lei si sveglia, quello sul lato opposto del bancone lascia il cucchiaino. Il barman prende i bicchieri e la tazzina e inizia a lavarli. Lentamente, con cautela, con precisione. Non gli sfugge niente, mentre asciuga strofina via anche i momenti più reticenti di quelle tre storie, quelli più bui, quelli più brutti. Quelli che gli lasciano sulle mani un senso di ribrezzo. Allora si ferma, posa lo strofinaccio e guarda i tre. Ricambiano il suo sguardo. L’uomo con la cravatta ha la bocca socchiusa, l’altro ogni tanto abbassa gli occhi e la donna continua a non sentirsi toccare.

– Il conto. – dice.

Pagano, in fila alla casa. Quando vanno via la campanella sulla porta suona sul loro silenzio.

 

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25 commenti »

  1. Carola,

    sono stato un tuo sostenitore lo scorso anno e non posso far altro che ripropormi nel tuo fans club :-).

    Hai dipinto un quadro di vite in penombra, incertezze, panni sporchi e rimorsi con la grazia e la forza che si addicono ad un veterano della penna.

    L’intreccio di ruoli e storie è impeccabile, così come la disillusione che affiora dalla pagina e che i protagonisti, tra uno shot ed un sorso di whisky, cercano inutilmente di soffocare.

    E su tutti, come un Deus Ex Machina dell’ineluttabile, il barista raschia il bancone ed il mondo per farli risplendere in un nuovo giorno.

    Solamente con un colpo di straccio.

    In bocca al lupo!

  2. Sapevo che valeva la pena di aspettare questo racconto. Atmosfera, introspezione, azione, attesa, sconfitta, seduzione, resa, errore, tensione, vendetta, rabbia, disperazione, vuoto, caduta e solitudine. Un implacabile meccanismo narrativo che gira triturando le storie di tre personaggi intrecciate in un nodo di aspettative senza uscita. Complimenti, bravissima.

  3. Lorenzo, le tue parole mi onorano. La stima, te lo posso garantire, è reciproca e mi ha fatto bene al cuore vedere il tuo nome tra i commenti. Grazie per la tua sensibilità e per le tue parole, perchè hai colto subito tutto quello che volevo dire.
    Marco, ti ringrazio per il tuo bel commento e per essere stato un lettore tanto attento. Hai descritto l’atmosfera che volevo avvolgesse il lettore. Sapere di esserci riuscita mi rende molto contenta. Ah, e scusa se ci ho messo un po’. 🙂

  4. Un racconto che non fa sconti, lucido, amaro. Realistico. Par di vederli, e chissà quante volte li abbiamo visti intrufolarsi nella nostra fretta quotidiana. Un racconto umano, che non giustifica, ma comprende. Bellissimo. Esemplare la figura del barman. Complimenti!

  5. Che bello Carola questo tuo racconto !! Che fossi brava lo sapevo,ma mi hai stupito nuovamente.
    Mi è piaciuto tutto. Lo stile modero e agile, la struttura ad incastro che ruota intorno al bancone del bar, le storie intrecciate e sapientemente descritte.
    Bravissima !

  6. Cari Oscar e Gianluca, grazie di cuore per le vostre bellissime e inaspettate parole. Lieta di avervi avuti nel mio modesto bar 😉

  7. Carola, sono felice per i bellissimi commenti che già ti sono stati fatti, perché anch’io aspettavo di leggere un tuo nuovo racconto e anche io ho avuto la conferma della tua bravura, soprattutto nel descrivere atmosfere notturne, dentro e fuori i tuoi personaggi.
    L’ambientazione è fumosa, pur in tempi di divieto; si percepisce una esalazione pesante che sporca il respiro e infesta l’aria.
    Trovo davvero potente la figura del barista; i suoi gesti, gli sguardi o il suo ignorare, tutto molto eloquente e ben descritto.
    Mi è parso molto complesso l’intreccio delle storie e ti confesso che ho riletto più volte con parecchia concentrazione per comprendere alcuni passaggi e cogliere tutti gli indizi. Probabilmente è una mia mancanza di perspicacia, e me ne scuso, ma preferisco cimentarmi con letture impegnative e stimolanti piuttosto che banali, e non è proprio il tuo caso.
    Quindi complimenti e in bocca al lupo!

  8. non so, Carola…non so se mi sia piaciuto il racconto in sè oppure quello che le immagini mi hanno trasmesso.
    ti dico solo che mi hai fatto tornare in mente un brano di cui, da ragazzo, evidenziai col giallo fosforescente le ultime sette parole.

    [..e dentro notti che la stanza vi gira intorno e dovete guardare il muro perché si fermi, notti sperdute ancora nell’ubriachezza, a letto, quando sentite che non c’è altro se non ciò che vedete e l’eccitazione strana nello svegliarsi, senza sapere con chi si è, e il mondo resta irreale, nel buio, e siete eccitati tanto da dovervi rifare oscuri, dispersi ancora nella notte: solo convinti che questo è tutto, tutto, veramente tutto, e che non importa poi tanto.] [.. Cercavo di parlare della notte al cappellano e della differenza tra la notte e il giorno, e di come la notte sia migliore, se non quando il giorno è particolarmente fresco e limpido; ma non riuscivo ad esprimermi. Così come non mi riesce adesso, ma chi lo ha provato lo sa.]

    io sottolineai quelle parole perchè l’avevo provato; tu secondo me non avresti potuto esprimerti così bene se non l’avessi provato a tua volta.
    bravissima davvero.

  9. Grazie a Marcella per la tua attenta lettura. E tranquilla, non manchi di perspicacia, perchè dal tuo commento mi fai capire che del mio racconto hai colto tutto. E questo non può che farmi piacere.
    Grazie ad Antonio per quel tuo insistere sulle immagini. Perchè ti confesso che questo racconto in effetti è nato da un’immagine. Sì, è tempo di scoprire le mie carte, perchè altrimenti mi prenderei un merito non mio. Quella sensazione della quale parli mi è stata semplicemente trasmessa da un quadro di Hopper, “Nottambuli”. Tutto lo spazio del locale rappresentato dal’artista mi ha sempre dato l’impressione di essere satura di parole,di una storia privata tra le quattro figure. Io ho immaginato quella storia. Ed ecco come è nato il mio racconto. Pertanto ti ringrazio per aver intuito tutto questo. Sei un ottimo lettore, oltre che un’ottima penna.

  10. Frammenti di storie torbide i cui effetti non si esauriscono nella notte. Trovo anch’io potente la descrizione del barista nelle sue azioni dettate dall’abitudine, ma che rivelano la cura con cui, pulendo, fa sue le storie raccontate,, o anche immaginate nel non detto, perché diventino nelle sue mani merce preziosa. Il quadro di Hopper ha ispirato altre storie, ma ognuna sa essere diversa. Bravissima!

  11. Grazie carissima Ester 😉

  12. Carola, del tuo racconto a me ha colpito, oltre che l’atmosfera notturna, la complessa ma scorrevole struttura narrativa. I personaggi e le storie si intrecciano in un magnifico gioco di specchi che affascina e disorienta chi legge. L’attenzione ai dettagli mi pare sia una delle chiavi di interpretazione, ad esempio la collana di perle che compare in due punti diversi del testo, perché costringe a rileggere il testo e a cercare appigli per districare la complicata matassa di avvenimenti. Eppure, nonostante questa complessità, in testo scorre velocemente e anche il lettore viene trascinato in questo vortice di amore, alcool e risentimento. Complimenti!

  13. Ivana, hai colto l’importanza dei miei piccoli segnali lasciati sparsi qua e là nel racconto. Grazie per la tua attenta lettura e per il tuo preciso commento.

  14. Anch’io confesso di aver riletto il tuo racconto per capirne l’intreccio. Sicuramente Hopper è l’artefice del dipinto, ma tu ne hai fatto una bellissima narrazione, un intreccio ben architettato, con tradimenti, false amicizie, rabbia; storie sporche insomma. Sono daccordo sul fatto che la figura del barista assume un ruolo centrale. Fa venire i brividi con la sua calma freddezza. Come se avesse il potere di assorbire le storie dei clienti, per poi spazzarle via lavando con cura i bicchieri che hanno usato. Quasi un modo per lavare le coscienze sporche. Complimenti, Carola, mi è piaciuto tantissimo.

  15. Ti ringrazio Pasqualina. Tutto questo affetto per il mio barista continua a commuovermi! Grazie!

  16. Carola, l’intreccio è complesso come la vita dei personaggi, i quali hanno un comune denominatore: il senso di vuoto nelle azioni che fanno e nei pensieri che hanno. I personaggi sono fermi, ma corrono con i pensieri. E si perdono nell’ineluttabilità della vita da loro impostata. Storie potenti nell’impotenza di animi fragili. Almeno è quello che, immagino in parte, ho colto nel tuo racconto meritevole. Brava!

  17. Grazie Elena per il tuo commento. Sì, nei miei personaggi c’è molta fragilità, ti ringrazio per averla colta.

  18. Un racconto dalla trama complessa. Con maestria sei riuscita a mettere a nudo la fragilità dei personaggi e hai permesso a noi lettori di compiere un viaggio all’interno dei loro vissuti. Affascinante e ben congegnato!

  19. Grazie Margherita per il tuo commento e le tue belle parole.

  20. Ciao, Carola! Mi fa piacere leggerti di nuovo con questo bel racconto caustico e dark. Un grande in bocca a lupo!

  21. Grazie Laura! Viva il lupo! 🙂

  22. carola Maselli complimenti , un racconto molto ben fatto e realistico, che dire, molto ben fatto! brava

  23. Grazie Aldo per aver letto e commentato il mio racconto.

  24. Uh! Carola!!! Nighthawks è quello che mi veniva in mente leggendo il tuo racconto! Scoprire che sei partita da lì, sapere che ti piace Hopper è un motivo in più per farmelo apprezzare. E’ un’operazione veramente originale quella di andare a costruire a ritroso la storia dei tre avventori e del barman di quell’interno newyorkese. Storie peraltro agganciate l’una all’altra tra loro, a dispetto dell’isolamento nel quale sono immerse nel quadro. Un’operazione abbastanza simile a quella di Floridia su van Gogh, anche se con esiti qui più complessi, che prendono molto più spazio. Molto forte e coinvolgente per me l’assassinio della donna che resta fuori campo dal quadro, ma che ne è la ragione della messa in scena da te inventata.
    Ma soprattutto complimenti veri, Carola. Mi sono tanto divertita.

  25. Grazie Simona per aver colto tutto questo. Sì, Hopper mi piace molto, i suoi quadri sembrano raccontare delle storie e io mi sono permessa di raccoglierne una. Un piacere essere riuscita ad emozionarti.

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