Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Un naso di famiglia” di Pasquale Braschi (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Un giorno mamma tapira si soffermò ad esaminare con apprensione l’atteggiamento alquanto strano del suo unico e amato figliolo, Ernesto.

Ernesto, da alcuni giorni, era taciturno, distratto, del tutto assente. Per questo motivo sua madre, la signora Tilly, manifestò le sue preoccupazioni a suo marito, il signor Ambrogio.

– Caro, sono preoccupata per Ernesto. Si è chiuso in se stesso e mi riesce difficile tiragli fuori le parole. Che ne dici di affrontarlo da uomo a uomo? Forse ha bisogno di parlare con qualcuno e questo qualcuno potresti essere tu, suo padre.

– Cara, non esagerare. Non vedere nero quello che è bianco. Non assillarlo, lascialo libero. E’ innamorato. Che c’è di strano? Si vede da tre miglia di distanza.

– Non è innamorato, riconosco i sintomi e anche se lo fosse per me non è un problema. Anche noi abbiamo avuto la sua età e abbiamo fatto le nostre scoperte un po’ alla volta, come l’amore.

– Ernesto ha ragione. Sei pesante. Non vuoi ammettere che tuo figlio, crescendo, possa sostituirti con qualcun’altra.

– Infatti! Ernesto ha proprio ragione quando dice che sei il solito fissato paranoico. Smettila con tutte queste storie. Metti da parte il tuo orgoglio e corri a parlare con tuo figlio.

– Ok, ci vado. E poi non dire alle tue amiche che non ti aiuto nell’educazione di nostro figlio.

– Grazie per avermelo ricordato. Domani pomeriggio verranno qui per il tè.

– Mi raccomando, non fate economia con lo zucchero, serve ad addolcirvi.

Quella mattina la signora Tilly continuò le sue faccende domestiche e soprattutto si sforzò di non fare domande snervanti al figlio; confidava tanto nell’intervento di suo marito.

Nel pomeriggio il signor Ambrogio decise di entrare nella stanza del figlio per affrontare un dialogo chiarificatore. Entrando in camera senza bussare, sorprese Ernesto in lacrime davanti allo specchio.

– Giovanotto, non piangere. Le donne sono fatte così. Quando le vogliamo noi ci fanno piangere, quando ci vogliono loro ci mettono in fuga. Vedrai che prima o poi ti dirà di sì.

– Papy, mi fai il favore di uscire dalla mia stanza. Non ho nessuna intenzione di ascoltare le tue fantasie. Dici di conoscere bene la tua famiglia e, invece, non sei neanche capace di riconoscere i problemi veri, quelli seri e non quelli di cui stai parlando.

– Grazie per la considerazione che hai per me. Poi non dire ai tuoi amici che tra me e te non c’è affiatamento. Ha ragione tua madre! Sei proprio strano.

 

 

– Fa bene la mamma a dire alle sue amiche che io devo la mia educazione solo a lei. Non sai ascoltarmi.

Con queste parole Ernesto pose fine alla sua conversazione con il padre e trascorse il resto del pomeriggio rinchiuso in cameretta. Apriva e richiudeva riviste di moda e bellezza, lasciava cadere le sue lacrime sulle pagine patinate e si guardava allo specchio con sdegno e poi riprendeva a piangere e singhiozzare.

In prima serata, quando sentì il rumore delle chiavi di Ambrogio che si accingeva ad aprire la porta, Tilly si fece trovare ad attenderlo nel vano d’ingresso.

– Buonasera cara, che ci fai in piedi dietro la porta? Stai facendo la guardiana?

-Sei sempre il solito. Riesci a rovinare ogni mio tentativo di romanticismo. Hai parlato con Ernesto?

– Sì, gli ho parlato e gli ho detto di non preoccuparsi perché, prima o poi, quella mocciosa gli dirà di sì.

– Ma sei proprio sicuro di var fatto la cosa giusta? Gli hai chiesto perché sta così?

– Senti, sono stanco e non ho voglia di litigare pure con te. Se non ti piace il mio metodo educativo, intervieni tu. Così evitiamo tutte queste domande, risposte e supposizioni. Buonanotte, vado a dormire.

– Ma dobbiamo ancora cenare.

– Mi hai fatto passare l’appetito!

– Anche tu. Buonanotte.

Tilly si armò di coraggio e si avviò verso la stanza del figlio. Si fermò davanti alla porta in attesa di percepire suoni o rumori, poi… toc, toc.

– Chi è?

– Tesoro, sono io, la mamma. Posso entrare?

– Sì, mamma, entra pure.

– Ernesto, amore, cos’hai? Che significa questa faccina triste?

– Mamma, voglio rifarmi il naso. A scuola tutti mi prendono in giro.

– Sei proprio sicuro che siano le parole degli altri a farti così male?

Silenzio…

 

-Non devi prenderla così. Ognuno di noi ha i suoi difetti, ma non per questo siamo condannati a stare soli. Non è l’aspetto quello che conta. E’ altro. Ed è quello che è dentro di noi e che solo in pochi riescono a vedere e a riconoscere come grandi qualità.

-Mamma, ti ringrazio per queste belle parole, ma viviamo nel ventunesimo secolo e ciò che gli altri sanno riconoscere è solo la bellezza esteriore.

– Ricorda però che la bellezza subisce i colpi devastanti del tempo che scorre, mentre le qualità restano inalterate nel tempo anche attraverso i ricordi personali o i libri che ne preservano l’immortalità.

– Ti sbagli! Anche la bellezza dura nel tempo. In quasi tutti i bar, pub, pizzerie, ristoranti, musei e discoteche campeggia la foto di Marilyn Monroe.

– Marilyn è morta giovanissima, sarebbe invecchiata anche lei. Tra vent’anni anch’io non sarò più come oggi, eppure in giro per la casa continuerai a vedere le mie foto da giovane: il giorno del fidanzamento con tuo padre, il giorno del matrimonio, il giorno del tuo primo compleanno.

– Cosa vuoi dire con questo? Che sto bene con questo naso lungo?

– Certo tesoro! Tu sei bello così come sei. Al nostro viso si addice questo naso pronunciato. E’ il tipico naso di famiglia. Per esempio tua cugina Tilde si è sottoposta all’intervento chirurgico, rifacendosi il naso a spese della mutua. Se te lo fai anche tu, vi scambieranno per gemelli.

– Cioè? Che intendi dire?

– Intendo dire che le persone che si rifanno il naso, la bocca, gli zigomi e altro ancora, finiscono per assomigliarsi.

– Mamma ma tu non hai mai avuto problemi con il nostro naso?

– Da ragazzina volevo anch’io il naso alla francesina. Poi, crescendo, ho cambiato idea. L’intervento e il dolore che ne consegue mi hanno sempre terrorizzata.

– La nonna lo sa?

– Sì, lei è all’antica. Per lei, rifarsi il naso significa rinunciare ai tratti somatici di famiglia. Un vero e proprio tradimento nei confronti dei propri avi. Ora ti racconto una storia per farti capire come sono andate veramente le cose.

All’età di dodici anni, più o meno la tua, ho subito i primi insulti a causa ovviamente del naso. Di fronte alla nostra casa abitava una famiglia di pantegane composta da padre, madre e tre figlie. Tre fissate per  le  palestre e le creme di  bellezza.  Una  sera,  mentre  rientravo a casa  dopo  aver trascorso l’intero pomeriggio a fare i compiti con mia cugina, cioè tua zia Rina, le tre belle del quartiere hanno cominciato a insultarmi. Sai cosa mi dicevano? “Nasona non fare la musona, nasona sparisci da questa zona”.

– E tu come hai reagito?

– Con l’indifferenza. Non occorreva molta fantasia per ricambiare gli insulti. Ho preferito la strada del silenzio ed è stata la strada vincente visto che da quel giorno mi hanno ignorata per sempre. Tua nonna diceva sempre “ignora quello che dice la gente, renditi superiore e reagisci con autoironia”. Sono parole che non ho capito subito, le ho capite con il tempo e con la maturità. Quando credi di avere un difetto fisico che tutti vedono e di cui ridono, devi essere tu a riderne per primo, così gli altri non avranno nient’altro di cui poter ridere e sparlare.

– Ma io cosa devo fare adesso?

– Se dai adito alla gente e alle sue parole, finisci solo per rimanere ingabbiato nell’insicurezza. Sopporta la loro ignoranza e renditi superiore, non scendere ai loro livelli, perché è quello che vogliono. Tu hai delle qualità che loro non hanno; questo è ciò che conta davvero.

Vivi la vita inseguendo i tuoi sogni, coltivando le tue passioni e vedrai che raccoglierai anche tu i frutti del tuo lavoro e del tuo impegno.

– E se gli altri mi diranno che la differenza tra me e loro è proprio il naso?

– Gli potrai sempre rispondere che la differenza tra te e loro è la fortuna: tu potrai rifarti il naso in un qualsiasi momento, mentre  loro non potranno mai rifarsi il cervello. Vedrai che ridere. Questa è l’autoironia che mi ha insegnato tua nonna.

– Sto già ridendo, mi immagino la scena. Mamma, sei troppo forte, mi hai fatto ridere. Abbracciami.

Mamma Tilly non esitò un istante e subito avvolse suo figlio con il suo abbraccio materno. Risero, poi piansero di gioia e risero ancora.

– Prima di chiudere questa conversazione vorrei che tu ricordassi sempre una cosa “se vuoi amare veramente il prossimo, devi voler bene prima a te stesso”. Beh, ora basta con i sermoni. Questa sera dormirai con noi nel lettone.

– Che bello, mamma. Ma davvero?

– Certo! Dai andiamo! Spegni la luce e andiamo a svegliare quel brontolone di tuo padre.

– E se si arrabbia?

– E’ già arrabbiato, ma vedrai che sarà felice di vederci insieme.

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7 commenti »

  1. Tenero e contemporaneo. Questo racconto mi ha commosso e, al tempo stesso, liberato un sorriso.
    Grazie Pasquale!

  2. Leggera nello stile e profonda nei contenuti, questa storia affronta temi molto attuali e diffusi: il dialogo nella coppia e quello intergenerazionale; il mito della bellezza (Marylin) nella memoria collettiva; la bellezza intesa esclusivamente come immagine di sé da mostrare per essere socialmente accettati; iI senso di inadeguatezza e la sofferenza provocate dal’isolamento sociale; l’ancora positiva rappresentata dalla riscoperta delle qualità dell’essere e il senso di appartenenza; l’ironia e l’autoironia. L’autore sfiora i temi indicati con un linguaggio semplice che va dritto al cuore perchè vicino all’esperienza del nostro vivere. Veramente bella!

  3. Un’amabile fiaba che si legge con piacere, questo racconto di Pasquale Braschi che affronta un tema sempreverde, che si vive sulla propria pelle di generazione in generazione: quello di accettarsi con i propri difetti.
    D’altronde come diceva Francois de La Rochefoucauld “Ci sono difetti che sfruttati bene brillano più della stessa virtù”.
    Bravo Pasquale!

  4. In casa e in famiglia, nella “cameretta”, dove trovano spazio le più grandi gioie e i drammi più veri e profondi, Ernesto prova a conoscersi, e non si piace… prova a piacere agli altri, e non piace… E così vuole cambiarsi per piacere, perchè la bellezza e l’esteriorità gli porterebbero l’integrazione e l’accettazione. Ma al di là dell’isolamento sociale nei confronti dei coetanei, questa mamma attenta e positiva aiuta Ernesto a riscoprire delle utilissime risorse… l’autoironia e un pizzico in più di amore per se stessi. Un racconto “vero”, che parla un po’ a noi tutti e sembra regalarci un caldo abbraccio.

  5. Un racconto scorrevole e delicato, che tocca alcuni aspetti cruciali della società odierna: la tendenza all’omologazione e alla banalizzazione della complessità del vivere, la difficoltà di relazione e comunicazione, la preminenza del giudizio sull’opinione. Ernesto vive male la propria condizione perchè si sente giudicato dagli altri, e finisce lui stesso col giudicarsi invece di “guardarsi”: del resto, anche suo padre non lo “vede”, troppo preso dai ritmi quotidiani e dall’idea che i problemi dei giovani siano sempre gli stessi, e così finisce col farsi domande e darsi risposte invece di indagare realmente ciò che vive il figlio in quel momento. Bello il titratto della mamma, sensibile e toccante, aperta al confronto con Ernesto del quale illumina il cammino. Grazie a lei Ernesto comprende l’importanza di quel naso di famiglia, che lo rende speciale fra tante persone che tentano di essere uguali perdendo la propria essenza…e poi, quel naso di famiglia sarà davvero un difetto?
    Grazie Pasquale!

  6. Racconto per bambini, che… ben si addatta agli adulti. Testo ironico (… a tratti poetico), che affronta il tema della “diversità” in modo originale e positivito. Sarebbe bello vederlo corredato di illustrazioni. Congratulazioni vivissime!

  7. Il tema della diversità e dell’accettazione di se’ affrontato con intelligenza, originalità e sensibilità. Una bella favola moderna per bambini… e per adulti.
    Bravo Pasquale.

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