Premio Racconti nella Rete 2018 “La religione di Ada” di Adelisa Corbetta
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018La chiesa era a un quarto d’ora da casa e Ada conosceva bene la strada: prima c’era l’acciottolato in salita e poi cominciava l’asfalto, lungo fino all’Aurelia; si attraversava, si faceva ancora un pezzetto un po’ ripido e si arrivava al piazzale.
Il punto più difficile da passare era la contrada: c’era un vecchio che a volte gridava, mentre scendeva la scaletta di ferro della sua casa, tenendosi alla ringhiera.
“Vegni balin!”. Pallina. La nonna le aveva spiegato che quell’uomo, il Gin, non era cattivo; solo, qualche volta si ubriacava. Dicevano che da ragazzo saliva così svelto sugli alberi delle navi fino alla formaggetta, che era molto apprezzato e soprannominato “lucertola”. Lei non doveva temerlo.
La bambina, sotto quella casa, correva a perdifiato, fino a non sentirne più la voce.
Arrivava trafelata sul piazzale e si sedeva sul muricciolo. C’ erano tre alberi grandi, con belle foglie seghettate a forma di cuore che ingiallivano in autunno, tigli.
In estate la chiesa era fresca, per tutto l’anno fredda.
Quando Ada doveva confessarsi, si inginocchiava davanti a una grata, forse di ottone, con tanti forellini disposti a croce.
Sopra c’era l’immagine di Cristo morente e ai suoi piedi, una Maddalena rannicchiata, con dei capelli rosso scoiattolo, ispidi, sparsi sulla spina dorsale. In cielo nuvole temporalesche blu e viola; sulla croce, la scritta I.N.R.I.
Quando lei guardava le pagine del catechismo, la faccia di Gesù era sempre triste. In quell’immagine lui moriva, ma anche attorniato da bambini, sorrideva appena. I bambini si chiamavano fanciulli.
In quei momenti pensava che se avesse dimenticato qualcosa nella confessione, lo avrebbe tenuto per la volta dopo.
Di botto lo sportello si apriva, dall’altra parte. “Nel nome del Padre…da quanto tempo non ti confessi?” Meglio dire “circa” o “mi sembra” per esattezza e poi l’elenco delle mancanze. Ada ascoltava le parole dell’officiante. Alla fine le diceva: ”Per penitenza dirai…”e dopo: “Ego te absolvo a peccatis tuis”. Allora poteva alzarsi. Spesso si fermava poco distante da lì e salutava l’immagine di carta. Quando Don Mario usciva dal confessionale, era di nuovo lui: parlava normale, sorrideva; niente voce bassa, come dentro una scatola.
I peccati erano sempre gli stessi; magari passava del tempo, però non cambiavano e così sembrava che non aveva migliorato. Per non vergognarsi, anche verso il curato, a volte cambiava chiesa. Quando un sacerdote non le chiedeva del tempo trascorso, era meglio.
Se era nella parrocchiale, durante le meditazioni osservava la Maddalena: in quei momenti non sapeva cosa fare; stare ferma, pensare… Così finiva in fretta e aspettava che il tempo passasse: contava le ciocche di capelli dello stesso colore, guardava il vestito colorato e le suole dei piedi bianchi. Se a volte cantavano, era bello: la voce usciva e non temeva niente.
A volte Ada non capiva cosa dicessero, però se il prete pronunciava “ite”, voleva dire che si poteva andare. Qualche tempo dopo avevano detto che avrebbero parlato italiano. Quando don Mario salutava così: “La messa è finita, andate in pace”, lei non sapeva se si potesse stare tranquilli in generale, o se valeva come “ite”; comunque si usciva e tante volte fuori c’era il sole.
Col buio era più difficile ritornare a casa: il Gin stava in cucina, ma c’erano le ombre e per riconoscerle bisognava arrivarci vicino. Allora la paura svaniva perché le macchie nere erano chiome di alberi visti da sempre.
Molto poetico e toccante, ho rivisto me bambina in qualche passaggio, durante le interminabili messe…
Mi é piaciuto.