Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Incubo o sogno” di Marco Bernabeo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Il frastuono delle onde le invadeva la mente, mentre i suoi pensieri scivolavano via confusi.

 

Ma ciò che da giorni scuoteva la sua anima era quello sguardo.

Lo sguardo di colui che aveva sempre desiderato e che, forse, ormai, non avrebbe più potuto avere.

 

Guardò nello specchietto, ingranò la marcia e partì.

Come tutte le mattine, i Peloritani alle spalle e l’Aspromonte davanti.

Ma ora non era più come tutte le mattine.

La solita traversata dello stretto per raggiungere il suo ufficio non sarebbe stata più la solita.

Una routine sognata a trent’anni, odiata a quaranta, e che ora la strozzava in un imbuto.

 

Un marito distante, due figli ormai abbastanza grandi da poter badare a loro stessi.

Il nuovo giovane collega con il quale flirtava da mesi, ma con cui non si era mai incontrata al di fuori delle mura d’ufficio.

 

La luce di Aprile, forte ma non troppo, illuminava i suoi occhi azzurri, da sempre splendidi, espressivi e capaci di far innamorare chiunque, il suo sguardo intenso, le sue piccole rughe sottociglia.

 

Un vecchio cd degli Scorpions ricordava a Carolina la ribelle adolescenza vissuta ai piedi dell’Etna, gli anni romani, i sogni legati ad un buon lavoro e ad una famiglia felice da costruire.

Sogni che man mano erano diventati incubi.

E che ora, lentamente ma inesorabilmente, svanivano.

 

“La routine ci ammazza”, le ripeteva Luigi, spesso confondendole le poche certezze che lei aveva nella vita.

Lui, sempre più lontano, non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente.

Sempre più preso dal suo lavoro e chissà da cosa.

“Sei uno stronzo, neanche il nostro anniversario riusciamo più a festeggiare”, gli aveva rimproverato pochi mesi prima, pochi mesi prima di sapere.

Ma lui, niente.

Da perfetto ignavo non chiedeva nulla né tantomeno raccontava di sé.

Due corpi ormai estranei che condividevano esclusivamente l’amministrazione di un’anonima società chiamata famiglia.

 

Basta, si disse quella mattina Carolina.

“Pronto, sono Carolina!”

“Ehi ciao, come stai!”

“Bene, tu?”

“Io bene, come mai chiami a quest’ora?”

“Ho bisogno di vederti, facciamo alle due al porticciolo?”

“Si certo va bene, ma tutto ok?”

“Si, tranquillo, a dopo.”

Cazzo Carolina sei impazzita? Moglie, madre, giudice…cosa cazzo fai Carolina!

 

Si parlò, ma non si ascoltò e andò avanti per la sua strada.

 

Michele era in ufficio da poco.

Fresco vincitore di concorso, era stato assegnato alla sezione da lei presieduta e immediatamente ne aveva notato, e subìto, il fascino.

Un’intelligenza creativa, non secchiona, un animo nobile, modi gentili.

“Un gran signore, ed un gran figo”, come le aveva confidato Noemi, vecchia collega di università e di lavoro, che aveva già indagato la vita privata di Michele sentenziando: felicemente fidanzato.

Per Noemi capitolo chiuso.

Per Carolina, invece, no.

Vedeva in Michele quello che non aveva mai visto in uomo e che credeva un uomo non potesse avere.

Nonostante la bella presenza, lei era attratta da altro.

Dai modi, dalla serenità, dalla simpatia, che il suo più giovane collega le trasmetteva.

Da quel senso di fiducia negli altri e nella vita che a lei, ormai, mancava.

Quando parlava con Michele, tutto le sembrava diverso, il suo cronico pessimismo svaniva.

E adesso, nel poco tempo che le restava, aveva deciso di approfondire.

 

“Come mai hai voluto vedermi”

“Che c’è di male nel prendersi una birra con un bel collega?”

“Mi chiedo solo il perché dell’urgenza.”

“Urgenza? Nessuna urgenza!”

Niente di più falso.

Carolina lo sapeva.

Dieci mesi, un anno.

Questo il responso dei medici.

E allora via tutto, via l’ipocrisia, via la routine, via la falsità.

Questo sarà il mio anno, si era detta.

 

“Bello qui, guarda come già il sole di Aprile riesce già a scaldare!”

“Bello come te!” Gli disse, sorniona.

“Dai Carolina, ma sei impazzita di colpo?”

“Hai letto quel libro di cui ti parlavo? Suite francese? È appassionante, e credo che possa piacere molto a una donna.”

“Non ancora, non ho avuto tempo… hai da fare stasera?”

“Veramente no, Laura è a Torino e la raggiungo nel week end.”

“Bene, ceniamo insieme?”

“Amici?”

“Amici e colleghi!”

 

Il lungomare reggino, a primavera, è un mix di odori e sapori invernali ed estivi.

La prima fioritura degli aranci dà sapore alla brezza marina, le luci dei locali colorano le prime serate all’aperto.

“Un tavolo per due, grazie”, fece Carolina.

“Vorrai sapere perché siamo qui, giusto?”

“No, ma ti dico che a me fa piacere passare del tempo con te, cara collega!” E le sorrise.

Sorrise anche lei.

Da anni non si sentiva così. Viva e vera.

Il tempo delle illusioni era finito, del suo mondo restavano briciole con le quali altri si sarebbero sfamati.

Luigi non le aveva chiesto neanche a che ora sarebbe tornata a casa per la cena.

E lei era ora a cena con il suo giovane collega.

“Fa piacere anche a me, caro collega!”

Tre ore volarono come accade solo quando si sta bene insieme.

Il feeling tra loro era evidente, ma non era ben chiaro chi difendeva il re bianco e, come in un partita a scacchi, avrebbe fatto, o dovuto fare, la prima mossa.

Non poteva autoinvitarsi a casa di Michele, Carolina.

Lei abitava di là, dall’altra parte dello Stretto, e ad attenderla, in teoria, c’era una famiglia.

Lui abitava di qua, da solo.

 

Ci pensò, ma alla fine andò via.

Tornò sul traghetto, rientrò a casa.

Luigi non c’era.

Un’altra notte brava, come tante, come sempre.

Ovviamente non dormì.

Attese invano un messaggio di Michele.

Ma niente.

Aveva le farfalle nello stomaco, oltre al mostro che se la sarebbe portata presto via.

Pianse.

Pianse lacrime strane.

Lacrime sconosciute, lacrime che pensava di non avere più.

Lacrime d’amore.

Sì, era innamorata.

Lei, la fredda ragazza e donna austera, era innamorata. Alla fine, ma lo era.

Come tutti i più grandi amori, amava senza essere corrisposta.

Avrebbe dato tutto per esserlo, ma Michele era sordo al suo canto.

 

L’indomani, in ufficio, lui la evitò.

La notte bianca che anche lui aveva passato lo aveva scosso.

No, Michele, si era detto, Laura non lo merita.

E lui l’amava.

Ma Carolina era un incubo. O forse un sogno.

Se lui per lei era l’amore, lei per lui sarebbe stata l’evasione.

Michele non sapeva molto di Carolina, ma da lombardo scaraventato al sud non ne disdegnava l’innata eleganza, il savoir faire, il fascino di una gran bella donna, un tempo divina ragazza, capace di incutere timore dall’alto della sua bellezza, amante eccezionale.

Quella bellezza che ora aveva i giorni contati.

Ma questo Michele non lo sapeva.

 

Lo aspettò alla macchina.

“Ho il cancro. Dieci mesi. Non di più.”

E scappò via.

Michele restò lì. Impietrito.

“Aspetta, dove vai”

Lei era già in strada, lui la rincorse, si aggrappò allo sportello dell’auto, entrò dentro.

“Adesso no Michele. Non più. Ti faccio pena, per quello sei qui. Mai più. Vattene.”

Accelerò. Via.

 

Michele sapeva.

Consapevole e certo che non l’avrebbe più rivista.

Ma l’avrebbe sognata. Incubo o sogno.

Per sempre.

 

 

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3 commenti »

  1. Mi é venuta la pelle d’oca e sono stata in tensione fino all’ultima riga per sapere come sarebbe finito. Scritto molto molto bene secondo me. Essenziali e ritmici i dialoghi. Bravo.
    Ps dopo averlo letto ho controllato il nome dell’autore…ero convinta fosse una donna e invece…da donna quale sono mi congratulo con te.

  2. Grazie, mi fa piacere che il racconto abbia suscitato le emozioni che hai descritto!

  3. Un racconto toccante e allo stesso tempo crudo e commovente. Armonioso e coinvolgente il modo semplice di elaborarlo.
    Bravo Marco. Continua ad emozionarci

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