Premio Racconti nella Rete 2018 “La scimmia virale” di Paolo Federico
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018La risata di Giulio era isterica e non si fermava mai.
Anche quando sembrava diminuire, all’improvviso tornava a rimbombare con violenza, trascinandoti in un tunnel senza via d’uscita. E resistergli era impossibile.
«Ne voglio ancora», diceva Francesca ridendo insieme a lui.
«Ancora!», ripeteva.
Giulio se ne stava piegato in due con le mani sulla pancia, quasi in lacrime.
«Oh! Ma cosa stai vedendo adesso?! Dimmelo, voglio sapere!».
Francesca lo spingeva e i due rotolavano confusamente sul tappeto sporco, tra patatine frantumate, peli pubici e cibo da asporto. La ragazza magra gli metteva le mani in faccia per farsi avanti, mentre continuava a ridere.
Lui si era calmato un secondo e la stava guardando con gli occhi arrossati e umidi.
«C’era uno. Uno grasso e pelato. Mentre annaffiava il giardino si è impigliato nella pompa e non riusciva più a liberarsi. E poi è inciampato».
I due tornarono subito a sganasciarsi dalle risate.
Poi si erano fatti un’altra dose e avevano visto insieme dei pinguini in fila, accalcati sulla punta di un iceberg, che spingevano in acqua quelli più avanti e starnazzavano facendo capriole buffe.
«Assurdo, mi sento di morire», aveva detto lei, «mi fa male il torace!».
«Sta roba è una potenza!».
Giulio e Francesca erano due mentecatti, pigri e svogliati rampolli di due famiglie vicine di casa. I genitori erano due coppie di onesti lavoratori, cattolici praticanti e sempre in regola col fisco, che proprio non avrebbero meritato di averli come figli.
Dopo la scuola i due ragazzi passavano i pomeriggi in camera di Giulio, schiavi di certe nuove droghe legali. Il problema di certe nuove droghe legali era che la gente lo sapeva che erano legali e sapeva come procurarsele. Il problema di altre droghe legali invece era che nessuno si accorgeva di loro, ignorandone i danni. Lo spacciatore delle sostanze preferite di Giulio e Francesca era a due passi e sempre disponibile. Distribuiva ovunque e senza problemi e i controlli se li faceva stesso lui. In più nessuno avrebbe osato metterglisi contro, perché era un gorilla grosso e mastodontico, con due braccia infinite che potevano raggiungere chiunque. Nel gergo dei tossici, lo chiamavano il provider.
Giulio e Francesca erano sull’autobus di ritorno da scuola e stavano parlando di quella droga.
«Dopo vieni da me», diceva Giulio, «e vediamo cosa ci offre oggi».
Il gorilla aveva una rete a disposizione a cui quasi tutti potevano permettersi di accedere. Le sostanze variavano sempre e davano un effetto diverso a seconda del tipo o di chi le assumesse. Non tutte causavano ilarità improvvisa e risate isteriche, come quelle preferite da Giulio e Francesca. Alcune aiutavano nelle attività artistiche o creative, mentre altre ancora ti spingevano a fare cose assurde e inutili. Certe persone erano finite, come spesso accade, col dipendere da una dose per poter svolgere una qualunque attività giornaliera. Ad esempio c’era una donna che le usava per truccarsi prima di uscire. Oppure un impiegato che ogni mattina, senza un salto dal suo provider, non sarebbe riuscito a farsi il nodo alla cravatta.
Giulio e Francesca si stavano facendo un trip catapultati ad una corrida spagnola finita male e dopo erano finiti a sentire un allevatore serbo richiamare la propria mandria coi rutti, mentre il provider continuava a spacciargli roba correlata quasi in automatico e loro non riuscivano a fermarsi. Così avevano passato l’ennesimo pomeriggio senza studiare, inebriati da quelle esperienze vivide, definite, extracorporee, sub-sensoriali, sovra-sensoriali. Sensazionali. Ognuna di esse durava pochi minuti o addirittura pochi secondi. Ma dopo restavano inebriati, leggeri, rinfrancati.
E ne volevano subito altre.
Anche il pomeriggio successivo e quello dopo ancora i due ragazzi erano rimasti sul tappeto di Giulio a ridere, dopo un’infinità di dosi. E poi ogni sera, a tavola davanti ai genitori, rimanevano sempre silenziosi e con gli occhi spenti.
«Ho saputo che devi ancora recuperare matematica», diceva la madre a Francesca.
«Si, mà. Lo so, mà».
«Ma il tennis? Una volta ci andavi tutti i pomeriggi» diceva il padre a Giulio.
«Lo so, pà. Non ci vado più, pà».
Vedendo che tornavano spesso, una volta il pusher gli aveva fatto capire che potevano pure passare al livello successivo. Potevano aiutarlo a fare le dosi, a incartarle, a distribuire la droga. A crearla.
Il provider stesso aveva offerto loro dei consigli su come comporla, spiegandogli anche come fare per imbastire un proprio canale di spaccio all’interno della sua rete e sotto le sue regole. Gli disse che lui era diverso, non voleva che la gente assumesse la sua roba solo in modo passivo, ma che potesse anche cimentarsi nel diffondere la propria originale versione, ognuna col proprio tocco.
E i ragazzi avevano capito tutto facilmente. Non era un lavoro difficile.
E poi, una volta diventati bravi, avrebbero anche potuto guadagnarci. Ma comunque sarebbe stata poca cosa, gli aveva detto il provider, rispetto al nuovo tipo di trip che avrebbero avuto e alla soddisfazione di aver aiutato le persone a godere. Ed è stato allora che Giulio e Francesca avevano cominciato, sempre assumendo una dose dopo l’altra, a lavorare anche per produrle. Giulio sorrideva sempre tutto contento e faceva facce strane mentre lavorava. Francesca si divertiva a mettere la musica a palla, canticchiava sempre e ogni tanto ballava. E da quella sera in poi gli era tornato pure l’entusiasmo a tavola.
«Mà, che ne pensi di questo top? Secondo te mi sta bene?», chiedeva Francesca tutta allegra.
«Ti sta bene ma forse è un po’ troppo scollato tesoro».
«Ma è per tenerlo in casa, Mà. E mi sta comodo».
«Ah va bene, non avevo capito. Sei bellissima, amore di mamma».
«Pà, ti posso raccontare una barzelletta?», chiedeva Giulio con frenesia.
«Giulio per favore, un’altra ancora no».
Quasi ogni giorno, dopo la scuola e prima ancora di pranzare, i due ragazzi correvano dal provider che gli mostrava quanto fosse piaciuta la loro roba e quante persone avessero raggiunto con la distribuzione. E col tempo avevano scoperto che produrre quelle dosi poteva avere un effetto ancora più potente, magnifico, adrenalinico. Quasi superiore ai trip che avevano prima. Potevano provare esperienze diverse, perfino più forti. Ma quelle sensazioni potevano essere altrettanto pesanti anche in negativo, quando capivano che la loro droga non aveva avuto il successo sperato. Il provider glielo rinfacciava senza mezzi termini e riferiva anche i commenti più sprezzanti che aveva ricevuto dai tossici. E le loro critiche potevano essere veramente impietose. Così, per parecchi giorni, Giulio e Francesca non avevano più passato i pomeriggi a ridere. Gli sguardi erano diventati più cupi, le menti più assuefatte e il silenzio aumentava sempre di più. Ce l’avevano messa tutta nel tentativo di risollevare la distribuzione, di affrontare le critiche e di metterle a tacere.
Ma, alla fine, erano stati costretti a chiudere il loro canale.
Un pomeriggio, sempre nella cameretta di Giulio, delusi e feriti nell’orgoglio, i due avevano preso il computer a bastonate. Francesca non era riuscita a far cancellare tutti quei video di risposta, in cui la scimmiottavano perché era stonata e aveva le tette piccole. Giulio si era ritrovato la gif della sua faccia scarabocchiata, mutilata e con un pisello disegnato sulla guancia. Oppure ritagliata e aggiunta ad altri video di persone prese in giro, con le voci modificate e canzoni di scherno in sottofondo.
Dopo, insieme, i due ragazzi avevano lanciato la web-cam fuori dalla finestra.
Quel giorno, prendendosi per mano, avevano giurato di uscire per sempre da quella roba.
Così da quel momento nessuno di loro aveva passato più il pomeriggio alla vecchia maniera.
Giulio aveva ripreso il tennis e Francesca stava recuperando lo studio arretrato.
Quando andavano al bar insieme, parlavano d’altro. Avevano lo sguardo alzato.
Conoscevano persone nuove.
E quando sedevano a tavola, chiedevano ai genitori com’erano andate le loro giornate.
Poi un pomeriggio si trovarono al parco insieme a degli amici.
Sedevano in cerchio, tutti quanti, a chiacchierare, quando alcuni di loro cominciarono a ridere.
Era una risata isterica e non si fermava mai.
Anche quando sembrava diminuire, all’improvviso tornava a rimbombare con violenza, trascinandoti in un tunnel senza via d’uscita.
E resistergli era impossibile.
Incalzante e dinamico, procede come una canzone, senza stonature, mantenendo alta l’attenzione. Interessante il finale che in qualche modo si ricollega alla parte iniziale.
Tematica attuale e delicata, fa riflettere sui nostri tempi, sui disagi e le fragilità dei giovani, sulle difficoltà di essere genitori oggi. Ma forse anche ieri e domani?
Mi è piaciuto molto.
Magnifico! Complimenti!
Bravo, veramente ganzo! Mi è piaciuto molto. Da ragazza ho visto da vicino queste cose e posso solo dire che le hai descritte veramente bene!
Il tuo racconto è interessante da subito per l’argomento, i rapporti tra i ragazzi e con gli adulti, grazie anche alla scrittura. Potrebbe essere letto agli adolescenti, magari a scuola. Complimenti e auguri!