Premio Racconti nella Rete 2018 “Dente per … dente” di Nicola Antonio Samà
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018B. si alzò di buon umore, la musica di Mozart addolciva
il suo risveglio.
Odiava prendere il caffè a letto. Com’era solito, andò subito in bagno, si guardò allo specchio e si fece un sorriso così largo che dovette spostarsi indietro perché vi entrasse tutto. Si piaceva immensamente e cominciava fin dal mattino a ripeterselo. Non gli bastava sognarsi ogni notte, quasi a comando, in atteggiamenti sempre brillanti e applaudito da folle osannanti.
Soddisfatto, uscì in giardino e passeggiò per un po’ sotto gli alberi, guardò con curiosità e invidiò la bellezza dei fiori, orgoglioso come se li avesse creati lui.
Si avvicinò al bordo della piscina e, dopo un attimo di perplessità, si tuffò in un’acqua fresca e accogliente come piaceva a lui.
Iniziava così la giornata, quando gli impegni glielo consentivano.
Quel giorno era previsto un incontro importante nel pomeriggio, pertanto la mattinata era tutta per lui, anche perché la signora era fuori in viaggio.
Intendeva prepararsi adeguatamente, rilassandosi indisturbato.
Ritemprato dalla nuotata, si sedette sotto la magnolia davanti a un tavolino.
Contemplò compiaciuto la magnificenza di quanto lo circondava, poi volse lo sguardo verso il fido cameriere, che in attesa lo osservava da lontano, e gli fece cenno di servire la colazione.
Masticava con gusto quei biscotti integrali multicereali, beveva a sorsi un latte fresco e prelibato, infine deliziò il palato con una spremuta.
Non fece in tempo a finire, che avvertì un dolore acuto, presto insopportabile, all’arcata dentaria superiore sinistra, forse un molare. Doveva essere quello curato qualche mese prima, con poca convinzione del dentista, che avrebbe voluto eseguire un lavoro più lungo e accurato; ma B., non potendo sprecare il suo tempo, aveva preteso una soluzione rapida.
Cominciò a imprecare contro ignoti, non volendo ammettere proprie responsabilità.
Fece chiamare il suo dentista sul telefonino; gli rispose da Oslo, era lì per un congresso, ma fece il nome di un collega. Questi, subito contattato, lo avrebbe visitato volentieri nel pomeriggio, in mattinata proprio no, era molto impegnato.
B. pretese subito, non in mattinata.
Ingoiò un analgesico, inefficace, poi un altro e un altro ancora; insolitamente smanioso, non dava tempo al farmaco di sviluppare l’azione antidolorifica!
Intontito, si vestì, fece chiamare l’autista e partì verso l’indirizzo segnato.
Il traffico dell’ora di punta paralizzava la sua auto, esasperava il dolore, ingigantiva l’indignazione.
Cercò inutilmente il telefonino per avvisare il dentista del forzato ritardo: s’accorse, incredulo, che l’aveva dimenticato in giardino.
Imprecò dentro di sé: poco male, i dentisti possono aspettare!
Pregò l’autista di accelerare, gli consigliò perfino qualche manovra scorretta, infine lo stressò fino a fargli provocare un tamponamento.
Il livello di sopportazione del dolore e degli imprevisti era in crescendo.
B. scese dalla macchina, si alterò fino a pretendere le scuse da parte del tamponato, ma l’animata discussione finì con l’accrescere quel suo tormento in bocca.
Indispettito, si fece prestare una moneta ed entrò in una cabina telefonica.
Il telefono era guasto.
Imprecò sottovoce, non riusciva più ad aprir bocca.
L’autista, intanto, risolto il problema dell’incidente, propose a B. di fermarsi a bere un cognac, forse avrebbe dato un po’ di tregua al dolore; comunque, cinque minuti di sosta in quel traffico infernale erano proprio opportuni. Al tavolo del bar si avvicinò per ossequiarlo una gentile signora che lo aveva riconosciuto. In un altro momento B. ne sarebbe stato lieto, ma la sua sofferenza gli rendeva insopportabile tutto, così poco mancò che maltrattasse la donna.
Ripartirono sollecitamente; di lì a poco dovettero deviare dal percorso, prima a causa di un’interruzione per lavori stradali, poi per una manifestazione sindacale.
B. non si conteneva più. Il dolore straripava, ma, di più, lui era furibondo per tutti quegli assurdi contrattempi.
Era mezzogiorno e ancora girovagavano alla ricerca di una via che sembrava inesistente.
La guancia sinistra si gonfiava a vista d’occhio, la febbre già incalzava.
Alle 13,15 si trovarono finalmente davanti al portone, la targa dello studio dentistico indicava gli orari d’apertura: 8,30 -12,30 / 15,00 -19,00. Al citofono non rispondeva nessuno.
B. stentava a crederci, si fece aprire da altri, volle salire di persona fino alla porta dello studio, per vedersi negato dalla cattiva sorte un intervento urgente sul suo molare di sinistra maledettamente dolente.
Non c’era scampo. Dovette rassegnarsi, suo malgrado, all’impotenza, lui che comandava agli uomini e alle cose con un cenno degli occhi, se non con il pensiero.
Non volle tornare a casa, non voleva attendere il dentista.
Il viaggio concitato continuò con una sosta al pronto soccorso di un ospedale.
Gli fecero un’iniezione contro il dolore, gli prescrissero un antibiotico; di più non poterono, non c’era mica un dentista lì!
Più che rassegnato, era ormai in preda alla depressione.
L’incontro importante del pomeriggio doveva inevitabilmente saltare, ma non sapeva come comunicarlo né come giustificarsi; soprattutto era tardi e avrebbe dovuto farlo già al mattino. Che vergogna!
Demandò all’autista (poverino!) di telefonare all’ufficio di presidenza e inventarsi qualsiasi scusa, purché non raccontasse la verità.
B. non volle nemmeno sapere l’esito della telefonata, di corsa bisognava tornare dal dentista.
Alle 17,15 aspettava impaziente il suo turno nella sala d’attesa, il dottore non poteva lasciare un lavoro in corso. La sua collera veniva addomesticata da un’infermiera indisponente che si opponeva fermamente alle sue pretese.
Disteso sulla poltrona, finalmente, con la bocca spalancata, attendeva ansioso la conclusione di un’esperienza allucinante, mentre il dottore tentava invano di destreggiarsi con il trapano su un dente infiammato oltre ogni limite e insensibile all’anestesia locale.
B. sudava freddo e meditava vendetta. Contro di chi non si sa.
Con il procedere dell’intervento, alla fine, il dolore scemava gradualmente e lui gratificò con un accenno di sorriso il suo benefattore.
Ripartirono. In macchina, scuro in volto, fu consapevole di un’umiliazione immeritata e di una fragilità a lui ignota. Per un giorno intero era dovuto soccombere di fronte agli eventi avversi.
Si sentiva proprio un perdente!
Per…dente. Quella parola gli sembrò una battuta spiritosa, un po’ sarcastica, cercò nuovamente di ridere, ma il dolore residuo trasformò il sorriso, il suo sorriso largo, in una smorfia orrenda, che spaventò l’autista.
Tornò a casa affranto. Una giornata così fallimentare non l’aveva mai vissuta; un banale mal di denti aveva messo in crisi, anzi in ginocchio, la sua persona e il suo ruolo istituzionale: conveniva più indignarsi, provare vergogna o semplicemente rassegnarsi?
La moglie, di ritorno dal viaggio, avrebbe avuto un bell’impegno a consolarlo.
Al sentire l’elenco di tutte le peripezie subite dal marito durante quella giornata, lei stentò dapprima a credergli, ma si dovette convincere esaminando con maggiore attenzione il suo contegno insolitamente dimesso e irritato.
Sbalordita dall’incredibile racconto, non fu capace di dire altro che: ”Accidenti!”
Quella parola mandò definitivamente B. su tutte le furie.
Divertentissimo. Mi hai fatto morir dal ridere. E ben scritto. Complimenti!
Davvero molto divertente. Ogni riferimento è puramente casuale?
Un racconto promettente, diretto e conciso ma che tuttavia si sgonfia un po’ nel finale.
Soprattutto grazie alla scelta dello stile (frasi brevi, poche descrizioni mirate, andare spesso accapo) il racconto prende subito un buon ritmo portando il lettore verso un “crescendo”, un avanzare tutto d’un fiato che lascia intendere che presto arriverà un momento di svolta, o quantomeno un finale a sorpresa.
Alla fine però, chi legge si trova di fronte ad un semplice gioco di parole che per quanto in grado di strappare un sorriso (o una risatina), lascia a mio parere anche un po’ di amaro in bocca facendo perdere spessore alla storia.
E’ lecito aspettarsi di più da un autore che scrive bene come te. Probabilmente questo racconto l’hai affrontato più come un momento di diletto attorno ad un’idea (o meglio, una parola) su cui ti sei divertito a giocare, piuttosto che come una sfida impegnativa da sottoporre alla giuria di un concorso.
Comunque nel complesso ti faccio i miei complimenti.
Sono sicuro che hai gli strumenti giusti per tirare fuori degli ottimi racconti!
Ringrazio per i commenti. A Pasqualina e Federico rispondo che il racconto l’ho voluto costruire proprio su B, personaggio che non dovrebbe essere difficile individuare. Negli anni in cui era più in auge desideravo inventare una storiella simpatica su di lui, pertanto la costruzione del racconto poteva finire semplicemente anche con un gioco di parole. Nicola