Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Dei riporti e dei riscatti” di Anna Pasquini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Le amiche di Teresa, zitelle o come preferivano definirsi loro: single per scelta, rivendicavano da mesi che portassi ai nostri incontri materiale umano maschile, “Lavori in un grande e facoltoso studio di Architettura, possibile che non ci sia nessun giovane architetto single?”. Odiavo quel genere di cose, ma all’ennesima richiesta acconsentii e mi accordai con tre colleghi perché venissero a un aperitivo a casa delle gemelle amiche di Teresa. Le conoscevo da pochi mesi, cioè da quando Teresa si era mollata col suo ex, pensando bene però di mantenere le sue amicizie femminili. Le poverette di volta in volta dovevano incontrare o lei o lui, mai entrambi assieme, che assurdità pensavo io, un gran bel daffare cercare di conciliare tutte le uscite senza far torto a nessuno. Ma tant’è, c’ero finita anch’io in quel gruppo di quasi estranei accomunati da Dio solo sa cosa, si finiva sempre a parlare di minchiate, o degli assenti. Scoprii presto che era meglio che mancasse qualcuno a rotazione, in modo da poter offrire a noialtri elementi di conversazione.

I miei colleghi si presentarono puntuali all’indirizzo che avevo loro fornito. Avevo caricato lo zaino con qualche bottiglia di liquori, perché avendo preso da poco un diploma di Bartender, avevo pensato che sarebbe stato simpatico passare il pomeriggio così, facendo assaggiare loro i mei cocktail e insegnandogli la loro esecuzione. Però le cose non andarono come le avevo immaginate io.

A parte le padrone di casa, ci ritrovammo tutti davanti al cancello esterno al palazzo: Teresa, Carolina, Martina, Luisa e Nicole, i miei tre colleghi Giuliano, Matteo, Paolo e infine io. Feci le presentazioni e tutti insieme avanzammo verso l’edificio. Uno strano silenzio ci avvolse.

Davanti all’ascensore i miei colleghi per galanteria presero le scale, noi ragazze invece entrammo in ascensore, stringendoci un po’, saremmo scese all’ultimo piano. Come si chiusero le porte Carolina mi guardò con terrore: “Ma chi diamine hai portato?”, perché era così allarmata? Non capivo. Ci ragionai su qualche istante. I capelli di Giuliano! Risolsi tra me e me.  Di certo erano quelli che avevano contrariato l’amica di Teresa; il loro colore biondo innaturale insieme all’oltraggioso riporto costituivano una nota di stranezza che la povera Carolina non poteva tollerare. “Ma di che parli?” cercai timidamente di tergiversare. “Ma ha un nido bruciato di passeri in testa! Ma chi ci hai portato?”, tutte le altre iniziarono a ridere irrispettosamente. Si profilava un movimentato pomeriggio.

A casa delle gemelle tutte le ragazze non furono troppo espansive coi miei colleghi, io tirai fuori le bottiglie e come prevedibile attirai la totale curiosità, però quelle anziché radunarsi attorno al tavolo come pensavo, osservando e condividendo pareri su questo o quel drink, si sedettero ai divani infondo alla stanza e iniziarono a chiedermi le loro ordinazioni: “Per me un Cuba Libre!”, “Io un Americano!” “A me un Long Island!”, i grazie e i per favore erano rimasti tutti strozzati nelle loro gole, nessuno di loro li  menzionò. I miei colleghi no, loro erano in piedi attorno al tavolo vicino a me, e osservando la scena credo provassero un pochino di tenerezza per questa ragazza che si era imbarcata da casa con una decina di bottiglie pesanti e si era messa letteralmente a lavorare. Il bello fu che molti drink non furono che appena assaggiati, e poi gettati come acqua sporca. Una gemella poi si alzò e disse che voleva provare a farlo lei un cocktail, i metal pour, cioè quegli affarini di metallo in capo a ogni bottiglia coi quali si dosavano i liquori tenendo la bottiglia sottosopra, dovevano averla incuriosita, iniziò a versare a destra e manca, senza cura né creanza, ed io mi maledissi per aver avuto quell’idea malsana dell’American Bar. Non era tirchieria la mia, semplicemente non trovavo decente il loro modo di fare. Soprattutto riguardo a un’altra cosa che avevo portato io…i miei colleghi. Paolo se n’era stato in disparte tutto il tempo, e sì che allo Studio aveva avuto molte avventure ed era giudicato belloccio. Matteo il più estroverso tirò fuori il suo brio innato e fu l’unico a scambiare qualche parola con quel gruppo di arpie, risultando anche brillante, che poi lo era davvero. In particolare quando iniziammo a giocare a Trivial Pursuit, le stracciò tutte, letteralmente, dimostrando che oltre ad essere un ragazzo socievole e educato era anche molto preparato.

Invece il povero Giuliano, anche lui in disparte tutto il pomeriggio, fu preda, suo malgrado, di meschini attacchi alle spalle. Le infami infatti fingevano di scambiarsi scatti fra loro mentre in realtà immortalavano la chioma bizzarra del mio collega, che per fortuna non si accorse di nulla. Quel modo di portare i capelli in verità era molto inusuale, ma io col tempo avevo finito per non notarlo più, e anche se avevo notato i loro strani magheggi e i loro sorrisini, avevo deciso di non dire o fare nulla per evitare di ferirlo. Dopo un paio d’ore i miei colleghi dissero che sarebbero andati via. Io li lascia andare e rimasi con quelle serpi. Oggi me ne rammarico. Sarei dovuta andare via con loro, avremmo potuto raggiungere il Centro e fare due passi lì, andare a bere una birra, intrattenerci coi musicanti girovaghi di piazza Santa Maria in Trastevere. Invece sono rimasta lì. Seduta su quel divano a sentire la minchiate di quelle superficiali, maleducate irrispettose.

Le arpie l’indomani pubblicarono sui loro profili social le foto di Giuliano da varie angolazioni, deridendolo e offendendolo nei commenti sottostanti.

Io ero convinta che al di là dell’iniziale sorpresa di chi lo vedeva per la prima volta, in verità quel riporto era una sapiente impalcatura, studiata nei minimi dettagli, potente perché impenetrabile, ogni singolo capello era disposto in modo perfettamente simmetrico a tutti gli altri, una vera opera architettonica di cui quelle poverette non potevano nemmeno immaginare la ricercatezza. Sono passati molti anni da quell’aperitivo a casa delle gemelle. Chissà cosa direbbero ora se sapessero che oggi Giuliano vive e lavora a Dubai, è un architetto molto quotato spesso citato nelle riviste del settore, pare che abbia progettato due terzi della città e nessuno si sogna di criticare la sua pettinatura che anzi gli da un tono eccentrico e originale.

 

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4 commenti »

  1. Un breve spaccato di vita quotidiana che pone l’accento sul fare pettegolo e crudele di un gruppo di ragazze frivole, ben disposte a giudicare le apparenze e a sbatterle sui social network piuttosto che interessarsi delle persone e di quello che hanno da offrire (a giudicare anche da come si relazionano con la protagonista).
    Il racconto è ben scritto e forse meriterebbe di essere più lungo (per come si presenta, potrebbe benissimo trattarsi di un breve estratto di un romanzo, al quale magari potresti farci un pensiero, perché no?)
    I miei complimenti!

  2. Grazie Paolo! Apprezzo molto il tuo commento e faccio tesoro dei tuoi consigli. 🙂
    Buon proseguo! 🙂 😉

  3. rappresenti con efficacia una situazione piena di effervescenza innaturale finalizzata a colmare il vuoto di una festa creata artificiosamente e degenerata nella cattiveria. La tua scrittura é disinvolta, brava. Forse potresti incrementare un po’ la trama con qualche colpo di scena.Grazie per aver letto il mio racconto.

  4. Hai rappresentato con vivacità una situazione di effervescenza fittizia, una festa tanto innaturale perché creata con artificio. Forse potresti incrementare un po’ la trama con qualche colpo di scena: un piccolo incidente, una delle “maligne” che viene smascherata, un imprevisto. Sei efficace nella scrittura. Grazie per aver letto il mio racconto. Auguri.

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