Premio Racconti nella Rete 2018 “I miei lavori” di Marino Tarizzo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Tra i miei desideri bambini non c’è mai stato quello di voler fare il camionista o il vigile del fuoco o l’astronauta.
Da piccolo, oltre a voler crescere ma anche rimanere piccolo, e ciò pur non essendo Peter neppure il mio secondo nome, solo un mestiere per qualche tempo si fece strada tra i miei radi pensieri. Fare il maestro elementare. Il Maestro! Forse già allora era il mio piccolo narciso: insegnare agli altri, pensa un po’. Oppure una malcelata tensione al potere. Da cui, quale esito opposto e simmetrico, non poté che spuntare un’alba libera all’orizzonte da Dio e padroni. Ma quell’aspirazione durò poco, gli anni della prima scuola, per l’esattezza.
Subito dopo presi a praticare quello che davvero ero convinto sarebbe diventato il mio lavoro per sempre. Anche se ancora ne mancavano di anni prima che fosse inventato. Per il tempo medie inferiori e poco oltre mi dedicai, con la stessa intensità con la quale una corporation si adopera nell’ingegnarsi a come non pagare le tasse, alla Pallastrada. Quella proprio letterale, il campo, oltre ad un cortile selciato, comprendeva l’adiacente porzione di strada. Caratterizzata da un asfalto discretamente ruvido, forse ancora oggi memore dei miei, pressoché gli ultimi, ginocchi graffiti.
Passò quel tempo e il periodo successivo fui chiamato fortemente da una nuova vocazione lavorativa. Che sentivo, una volta ancora, avrebbe potuto appagarmi per la vita intera. Non c’era niente di meglio da prospettarsi di fare che non studiare.
Purtroppo i sogni infantili terminarono presto. E allora mi sono dovuto dedicare a lavori veri, concreti, quelli che oltre a soddisfare l’aspetto economico formano la dignità del lavoratore. Come primo di questi lavori ho cominciato come tracciatore di cerchi nei campi di grano. Lavoro preciso, si esaltano doti geometriche e di immaginazione, si sta in campagna. Combatte la monotonia, ogni anno è tutto nuovo, tutto da rifare. Sì, insomma, una gran bella occupazione. Andò avanti bene per un bel po’ ma ad un certo punto qualcosa cominciò a non soddisfarmi appieno.
Non erano solo quei disagi pratici che si incontravano nei campi, tipo vento/pioggia che rovinavano l’opera, o l’esubero di concimi chimici sui luoghi di lavoro, a creare quella sorta di insoddisfazione. E neanche l’aumento a dismisura del numero di colleghi. Eppure sentivo che avrei dovuto cambiare qualcosa, che mi sarei dovuto magari specializzare ulteriormente, scegliere una nicchia di mercato. Quando trovai la soluzione ne fui veramente appagato. Mi ci applicai totalmente e probabilmente a fare quel mestiere fui anche il primo. Il primo tracciatore di cerchi nei campi di farro. Rispetto al grano c’erano molti pro. I campi di farro di solito non hanno concimi chimici, sono in numero inferiore, per cui maggior salubrità e niente straordinari. Le spighe sono meno fitte, di conseguenza ce ne sono meno da tagliare. Inoltre i campi erano sparsi nelle varie regioni e quindi ci venivano fuori dei bei viaggetti. E qualche contro. Chi li coltiva sta più attento a che non subiscano quelli che chiamano danni, mistificando quella che invece è arte. Sommando tutto posso dire a posteriori che quello sì che fu il mio miglior tempo di lavoro.
Ad un certo punto però il prodotto, i cerchi, perse interesse sul mercato. In un niente fu la crisi. E dovetti rassegnarmi a cercare un’altra occupazione. In pochi mesi ne sperimentai diverse. Cominciai con il fare il lettore dei giornali esposti nelle vetrine delle edicole. Lavoro interessante, che tiene informati. Buono per i mesi estivi (d’inverno non ti fanno entrare). Ma incompleto, espongono sempre solo le prime pagine. Provai poi a fare il tatuatore di palloncini colorati ma nonostante la mia mano ferma e delicata fu un insuccesso totale. Per un certo periodo feci il disoccupato vigile, anche se non ero nonno. Il guaio è che mi confondevo, chi cercava lavoro lo indirizzavo al parco, mentre i cortei dei centri sociali li mandavo alle agenzie interinali. Ogni tanto facevo i mercatini. Il mio compito era contare quanti pezzi delle più incredibili cianfrusaglie stavano su quei lunghi banchetti. Lo facevo poco dopo che l’espositore li aveva apparecchiati e poco prima del reinscatolamento. Quando vidi che il numero era sempre uguale, mi licenziai.
Provai anche nel campo della tecnologia. Nelle sale giochi e nei bar spesso le slot indossano veli di polvere o vere e proprie incrostazioni. Allora io andavo lì con un panno e una bottiglietta in tasca e ci versavo sopra, in particolare negli angoli e nelle fessure, la soda caustica. Il mio impegno non ebbe il riconoscimento che avrebbe meritato.
Per qualche mese ho fatto l’accompagnatore di cani ciechi ma questi non volevano saperne di portare il bastone bianco. E comunque le carezze delle ragazze erano solo per loro. Mi sono dedicato anche a quei lavori che dicono che noi non vogliamo più fare per farli fare agli immigrati, in particolare alle immigrate. Naturalmente reinventandoli quanto bastava. Per un breve lasso di tempo ho fatto il badato. Cioè ho costretto una novantenne a venirmi a fare le pulizie in casa. Era un po’ lenta ma mi trovavo bene, molto scrupolosa. Peccato sia durata così poco.
A volte, per arrotondare, oltre al lavoro che avevo, facevo un secondo lavoro. Uno di questi è stato il raccoglitore di punti degli altri al supermercato. Stavo alle casse, chiedevo a chi pagava se mi regalava i suoi punti e li strappavo: non ci ho mai creduto a ‘ste cose. Come raccontatore di barzellette ai funerali ebbi un certo successo, di solito maggiore nelle ultime file del corteo.
Provai anche un’occupazione di alto rilievo sociale anche se spesso sottaciuta e sottovalutata. Il taglio dei colletti, altrimenti nota come taglia e cuci. Mi avvicinavo alle spalle al cliente, gli chiedevo se consentiva e di solito la risposta era positiva. Quando però le forbici iniziavano il lavoro però cambiavano idea e umore. Presi alcune denunce e diverse percosse. Ma non mi giunse mai notizia che qualcuno ne avesse parlato male.
Mi cimentai per provare a recuperare antichi mestieri, come il raccoglitore di cacca di cavallo, ottima per fiori e orto. Mio nonno ragazzo seguiva i carri lungo polverosi tratturi con secchio e cazzuola per portare a casa qualcosa. Io progettai di avere lo stesso risultato con meno fatica. Anche perché sulle strade di oggi sputano altra merda. Pensai quindi a luoghi di presenza cospicua di produttori. Così mi indirizzai al circo, al meglio del circo. Precisamente al Cirque du soleil.
Quando cominciarono a presentarsi solo offerte di occupazioni estreme o troppo poetiche intuii presto che il mercato non mi avrebbe più proposto adeguate opportunità, quasi le offerte venissero scelte proprio perché non adeguate al mio curriculum. Tanto che un convinto pensierino per una causa per mobbing sinceramente mi visitò molto amichevolmente. E mi abbandonò all’idea di quali complicità avrei dovuto forzare.
Comunque non ottenni né il posto da contatore di stelle nane, né quello di lettore di storie orali. Neppure quello di disegnatore a gessetti sui massi dei torrenti in fase di magra. E manco quello di autista di lama. Quest’ultimo lavoro un po’ m’è spiaciuto non averlo, con il comando giusto avrei potuto facilmente suggerire l’indirizzo dello sputo al mezzo di trasporto come meglio avrei voluto e nessuno se la sarebbe presa con il simpatico animale. Peraltro la posizione di guida era troppo scomoda. Alla fine capii che per me ormai le occasioni erano proprio finite.
Fortunatamente a suo tempo mi ero iscritto al Fondo di tutela e sostegno dei venditori di Bond Subprime già proclamati insoluti. Lavoro che ho dichiarato di aver svolto per i dieci mesi minimi richiesti. Anche se, a difesa del mio onore, giuro di non aver mai fatto firmare neppure un contratto. Bastava versare una piccola quota annuale e si era tranquilli per tutta la vita. Il Fondo era in costante perdita progressiva ma ogni anno riceveva immediata copertura dalla fiscalità generale. Di tale fatto si vociferava relativamente ad una stretta correlazione tra la conoscenza professionale dei componenti il CDA del Fondo circa modalità, provenienza ed entità degli investimenti degli estensori del bilancio statale, e la prontezza dei decreti di ripianamento. Probabilmente mere illazioni. L’unico dato, di certo mera coincidenza, è che per un paio di volte la copertura fu attuata ridestinando somme già allocate al capitolo Ricostruzione Scuole con criteri antisismici. Di sicuro c’è che ora sono un esodato. Dopo dieci lavori che mi hanno rifiutato mi era maturato il diritto come iscritto al Fondo. Dal quale ora ricevo ogni mese un assegno di sostegno. È un assegno modesto, non riesco a farci star dentro più di due/tre viaggi all’anno e a mettere via poco più dello stipendio di un addetto ai call center.
Ogni mese, mentre vado a ritirare l’assegno, spesso mi capita di passare accanto a un qualche cantiere. E un moto interiore di gratitudine, contro la mia stessa volontà, si rivolge a quei pensionati che stanno guardando i lavori. E a tutti i loro colleghi dell’intero paese, passati e presenti (di futuri credo non ne sia ipotizzabile l’esistenza, o, nel caso, data l’età, difficilmente autosufficienti per raggiungere le postazioni di lavoro). Senza il loro fulgido esempio non sarei mai riuscito ad avere la giusta ispirazione per una breve quanto appagante vita lavorativa come quella che ho avuto in sorte. E soprattutto ora, a quarant’anni suonati, non potrei beneficiare di quel piccolo conforto mensile, implicito riconoscimento della collettività alla mia dedizione al lavoro, che quasi mi muove a sincera, serena commozione. Che voi ci crediate o no.
Divertente 😀
Mi piace immaginare questo personaggio, che con enorme serietà tenta tutte queste nuove strade. Sicuramente è giusto premiarlo perché cercar lavoro attualmente è diventato per molti un lavoro! Personalmente candido il tuo racconto per il premio Buduar ;). Bravo!
Molto istruttivo, con simpatica ironia hai fatto un quadro perfetto di una certa Italia e di certi italiani.