Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Il nido” di Donatella Mecucci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Una mattina  aveva ricevuto un haiku in tre versi sulle foglie gialle d’autunno, che poi era stato pubblicato su un blog e si era sentita parte di qualcosa. Perciò , guardando fuori dalla finestra del lavoro, si soffermò sulle foglie dorate dell’albero vicino. In effetti era arrivato l’autunno. Tra un’attività e l’altra, durante le pause, guardava fuori . Intanto passavano le settimane e gli alberi in strada erano ormai spogli, mentre quelli  che poteva osservare da quella finestra indossavano ancora le foglie dorate. Sembrava quasi che le quattro mura che delimitavano quell’anomalo boschetto, cinque giovani fusti disposti come i pallini sulla faccia di un dado, quattro ai vertici e uno al centro, avessero fermato il tempo, determinando una specie d’incantesimo. Ormai era arrivata la stagione delle piogge e quella del gelo e le foglie erano sempre lì, salde e dorate. Si sentiva quasi vittima di una magia, che le impediva di riscuotersi da quel pensiero, dall’haiku e dal suo autore. Non era possibile che lei, sempre estremamente razionale, potesse essere ammaliata da uno stupido albero. Così iniziò una ricerca su internet anche se non sapeva da dove cominciare. Non ricordava nulla di alberi, foglie, stagionalità. Aveva in mente solo la forma frastagliata di quelle foglie e la presenza di piccole ghiande. Le sembrava di ricordare che le ghiande nascessero sulle querce, ma chissà perché associava l’idea di quercia a un albero solido, dal fusto ben piantato, mentre quelli che aveva davanti erano alberelli. Che stupida! Erano giovani querce! E cerca che ti ricerca, che la determinazione non le mancava di certo, ebbe  la conferma  che di querce si trattava. Una specie oltretutto davvero particolare, che non perdeva le foglie in autunno come gli altri alberi, mantenendo inalterato, per giunta, quel bel colore dorato. Ed ecco spiegato l’arcano, macchè magia e magia! Poi un giorno, mentre guardava fuori, la sua attenzione venne attirata da due tortore dal collare orientale. Sembravano proprio una coppia. Avanzavano su un ramo , dirigendosi  verso un nido disabitato dalla stagione precedente. Una  si siede e l’altra la veglia da vicino. Pochi minuti e volano via. Che strano. Sembrava quasi fosse una prova, un test, per saggiarne tenuta e comodità. L’indomani tornano e una delle due si siede stabilmente. Ma allora è vero! Si stavano scegliendo casa!  Vuoi vedere che inizia una cova? Ma non è troppo presto per covare? Fa un freddo cane, siamo a gennaio. Niente, lei imperterrita cova, incurante delle intemperie, degli acquazzoni e dei rami gelati. L’altra intanto è sempre più affascinata da questo evento naturale. Sembra incredibile che, con questo freddo assurdo, le temperature polari e i rami ghiacciati, la tortora resti inchiodata là. Verrebbe voglia di fare qualcosa, aiutarla, costruirle una copertura. Il nido è dritto davanti al vetro, così vicino che, se la finestra non fosse fissa, potresti toccarlo allungando una mano. Invece non possiamo darle noia, né aiutarla. Ci limitiamo a scambiarci sguardi, occhi negli occhi, di reciproca curiosità. Quando piove, piove per piovere. Ingenuamente ci si chiede se non si sia sbagliata. Possibile che in questa stagione le sia venuta voglia di covare? Ma i disegni della natura sono per noi imperscrutabili.  Mentre noi continuiamo ad interrogarci così, una mattina presto, ci capita di assistere a un suo momentaneo allontanamento. Si assenta per pochi minuti, dovrà procacciarsi del cibo. Grande è la sorpresa nel vedere finalmente l’uovo. Un uovo! Che non resta affatto incustodito, infatti il compagno le da prontamente il cambio nella cova. Sbalorditivo, anche se a pensarci bene appare del tutto naturale. Il calore di cui necessita l’uovo non può venir meno, nemmeno per poco, né può essere lasciato in balìa dei predatori. Disarmante nella sua ovvietà. Così come si sorprende ad estrarre dal taschino il cellulare con l’intento di scattare una foto. Altro che malìa, è completamente andata. Lei che non sa nulla di foto, non le ha mai amate, non si piace come soggetto, è una frana a scattarle, taglia teste a chiunque, scatta una foto a quell’uovo. Poi si rende conto che non potrà nemmeno riguardarsela per bene, se non compra il cavetto del cellulare per scaricarla nel pc. Ma tant’è.Ormai si è innescato un processo irreversibile. Seguire l’evento fino alla fine, documentarlo,  informarsi sui tempi di cova, sui giorni necessari ai nuovi nati perché possano spiccare il volo, ne è la naturale conseguenza. Gli appostamenti dietro al vetro, l’immortalare il secondo uovo, imparare che il primo viene deposto a sinistra e il secondo a destra, danno forse una misura del grado di dipendenza in breve raggiunto. Interesse che oramai non sfugge nemmeno ai colleghi. Danno voce però a pensieri distanti dai suoi. Mentre lei prova per la tortorella sentimenti di solidarietà materna, c’è chi la chiama quaglia, chi la invidia perché ha disposizione un ricovero senza dover pagare affitto e bollette, chi si domanda se sia commestibile. Li distoglie per un po’ dallo scambiarsi ricette sul maialino in crosta o dritte su dove trovare i pelati in offerta. Apparirà forse comprensibile, a questo punto, perché possa nascere la ferma volontà di guardare fuori, la determinazione a proiettarsi altrove, il desiderio di estraniarsi. Per fortuna arriva il giorno tanto atteso. Dapprima passa inosservato, la madre lascia sempre meno il nido. Delusa, che il conto alla rovescia è decisamente avanti, quasi dubita che la cova sia andata a buon fine. Poi una mattina, guardandola con insistenza, si nota uno strano movimento. Ma cos’è? Qualcosa sporge da sotto l’ala. Sarà vero o sarà un’illusione ottica dettata dalla lunga attesa? Una collega giura di aver visto un occhietto in più. Ma vi pare possibile che possa essere sfuggito a un controllo così assiduo? Non può essere, si sarà sbagliata senz’altro. Passa ancora qualche giorno prima che la madre cominci a lasciare per pochi minuti il nido. Ed eccolo lì. Accidenti quant’è grosso! Occupa già metà del nido. L’uovo a sinistra non si è schiuso, invece. Per qualche giorno ci si culla nell’illusione che la schiusa avverrà a momenti. In fin dei conti non sono stati deposti nello stesso giorno. Ma il piccolo cresce sempre più, ormai il nido basta solo per lui. La madre lo lascia solo sempre più spesso, per intervalli di tempo gradualmente più lunghi, nei quali viene raggiunto dai raggi del primo tiepido sole. Continua a tornare per nutrirlo più volte al giorno. Il piccolo comincia a sgranchirsi le ali, proprio come se facesse degli esercizi di ginnastica. Poi piano piano , si mette ritto sulle zampe e ci resta per parecchio tempo. Guarda fuori dal nido, come se volesse provare ad uscirne ma non ne avesse ancora il coraggio. Ricorda l’incertezza di un bimbo, quando deve decidersi a staccare il primo passo. E tutti gli spettatori sono lì a fare il tifo per lui, a rivolgergli frasi di incoraggiamento che non può sentire. Ammazza quanto sappiamo essere impazienti, molesti perfino! Ci tocca quindi rispettare i suoi tempi, che a noi sembrano eccessivi, limitarci ad osservare i suoi spostamenti sul ramo. Ogni giorno qualche centimetro più in là. Poi i primi voli, brevi, a distanza ravvicinata, da un ramo all’altro, fino ad appollaiarsi sui rami più alti, a raggiungere l’antenna sul tetto, a scomparire per sempre dalla nostra vista. Che brutta sensazione! È finito il nostro personalissimo Grande Fratello, ci sentiamo un po’ orfani, come quando si spengono le luci della casa più spiata d’Italia. Ma intanto , nel giro di pochi giorni, le foglie son cadute. Anche se l’albero non resta nudo nemmeno un po’, perché  son già spuntate quelle nuove, di un verde brillante, più fitte. Il nido ha adesso una bella copertura naturale che, da certe angolazioni, ce ne cela la vista. E qualche giorno dopo arriva una coppia di tortore. Saranno le stesse? Guarda un po’…ma che fa? Una si siede!

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