Premio Racconti nella Rete 2018 “Il mio nome è….” di Monica Vodarich
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Il primo giorno di scuola, quando la mia compagna di banco Nina mi sgomitò e mi sussurrò all’orecchio “guarda quella non è dei Quartieri”, scoprii che esisteva anche un mondo che andava al di là di Piazza del Plebiscito.
– Che ti credevi scimunito che fosse il confine del mondo?- mi scherzò mamma mentre cucinava e cambiava il pannolino a Carmelo.
– E che ne sapevo io che Napoli era così grande! – ho ribattuto mentre papà si lavava le mani prima di mangiare.
– E’ grande, è grande assai…. – mormorò mio padre creandomi ancora più confusione di quanta non ne avesse già provocata Nina. Lui aveva girato tutta Napoli ed era andato anche a Roma e Milano. Per lavorare ma anche per vedere il mondo.
– Una mia compagna di classe non è dei Quartieri – dissi rivolto a mio padre che si era seduto a tavola –
Mi guardò come se avessi bestemmiato, poi sorrise e si riempì la bocca di pasta al sugo.
– Ti piace eh? E’ bionda? – ridacchiò sporcandosi di sugo la canottiera.
Io sentii le guance che si scaldavano come se fossi steso al sole. Un calore strano, bello ma anche brutto, un calore che non avevo mai provato.
– Ma che dici papà! Ci hanno messo in gruppo insieme, dobbiamo fare una ricerca sui “Quore spinato” quindi lei deve venire ai quartieri –
Mio padre sorrise di nuovo, guardò la mamma che si era messa a imboccare Ciro con i maccheroni tutti spezzettati e le disse senza considerarmi : – Gennaro è innamorato!-
Avrei voluto gridare, avrei voluto ribattere, ma riuscii solo a bere un po d’acqua per mandare giù il boccone che mi si era bloccato nel petto e faceva un male del diavolo. Adesso cominciavo veramente ad avere paura di invitare Camilla a casa mia. L’unica femmina che girava per casa era Nina ma lei era come mia sorella, eravamo nati a venti metri di distanza e le nostre mamme “sbattevano le panze” come diceva mia mamma quando erano ancora ragazze e sognavano di scappare dai quartieri.
La mattina dopo andai a scuola con i capelli pieni di gel, il profumo di mamma sul maglione che puzzava di fritto e nel telefonino le foto dei murales che avrei voluto mostrare a Camilla. In casa nostra c’era sempre uno strano odore e anche se d’estate la porta era sempre aperta gli odori si impregnavano nei vestiti e anche nelle scarpe, perché nei bassi si mangia e si dorme dove si mangia.
Camilla era bellissima. Entrò nella classe con la testa dritta, i capelli sciolti appena lavati che svolazzavano sulla testa e uno zaino nuovo nuovo di quelli che si trovano a quaranta euro nei negozi di lusso.
Camilla profumava di buono e Nina mi aveva detto che forse abitava in un castello con cento stanze e quindi l’odore di fritto non le spuzziva i vestiti.
– Cento stanze! Ma a cosa servono cento stanze? – avevo chiesto a Nina.
– A niente Gennarino, a niente! – aveva risposto Nina scuotendo i riccioli neri – E’ che i ricchi ti vogliono far sapere che sono ricchi e se vivono nei bassi con una sola stanza tu come fai a capire che sono milionari?-
Già come fai a saperlo? – Se hanno il SUV e te lo piazzano davanti a casa! – risposi camminando all’indietro per vederla in faccia.
– Lascia perdere Gennarino! – mi riproverò Nina – Quello non è ricco quello è un delinquente e se ti mette il SUV pure sul letto dice mamma che devi stare zitto se no vedi cosa succede- sussurrò Nina come se mi stesse confidando un pericoloso segreto.
Io rimasi zitto fino all’ingresso a scuola. Avrei voluto dirle che non era giusto, che ero stufo di tornare da scuola e scavalcare la finestra perché il SUV mi impediva di entrare in casa, oppure di sentire il sapore di gas di scarico in bocca quando il suo padrone lo metteva in moto e sgasava apposta davanti a casa. Io in quelle occasioni guardavo mio padre. Lui abbassava lo sguardo e fissava il piatto continuando a mangiare, come nulla fosse, come se nulla si potesse fare.
Allora mia madre si alzava e qualche volta gli sfiorava il braccio, lentamente, come a fermare un movimento immaginario che non aveva nessuna intenzione di fare. La mamma sospirava e mi faceva quel gesto lieve, con la mano che passa davanti alla bocca come a dire – Stai zitto Gennarino che papà è stanco e non lo dobbiamo stancare! –
Io ci avevo sempre creduto che non si poteva fare niente, anche perché Nina non dice mai le bugie. Lei sa di cosa parla, suo zio è al 41bis e sa quello che bisogna dire e quello che è meglio tacere. Nina sa quando è meglio per tutti lasciar perdere e siccome mi vuole tanto bene si preoccupa per me che ho l’abitudine di parlare troppo.
Ci avevo sempre creduto fino al giorno in cui ho visto Roberto Saviano in tv. Ero da solo in casa a guardare Ciro e Carmelo che giocavano sul letto quando è apparsa quella faccia che avevo già visto a scuola. La maestra aveva portato un giorno un libro e ci aveva letto due pagine. Mentre reggeva il libro io guardavo la copertina e c’era proprio quella faccia li. Per quello mi sono fermato ad ascoltare e ho dato un calcio a Ciro che continuava a fare rumore.
Roberto Saviano parlava difficile e non è che ho capito proprio tutto tutto, ma sono sicuro che ha detto che non bisogna stare seduti a tavola a mangiare i maccheroni se qualcuno ti fa del male e che dobbiamo unirci per sconfiggere quegli schifosi che ti parcheggiano il SUV o che ti rubano l’aria con il gas.
– Gennaro hai la testa fra le nuvole? – gridò la maestra sbattendo la mano aperta sulla cattedra mentre tutti si mettevano a ridere.
Mi girai cercando Camilla con lo sguardo. Lei non rideva, sorrideva e io mi sentii che la faccia diventava calda calda.
– No, pensavo al lavoro da fare con i “Quore spinato” ho fatto le foto con il cellulare e volevo iniziare la ricerca – risposi sentendo gli occhi azzurri di Camilla che mi perforavano la guancia. Sarei morto ma non potevo fare la figura dell’idiota. Nina seduta al mio fianco mi guardava stranita masticando la cicca a bocca aperta.
La maestra sorrise e mi parve fosse impressionata dalla mia precisione.
– Buona idea Gennaro, facciamo i gruppi e poi vi racconterò qualcosa del graffitista che ha realizzato queste magnifiche opere –
Il mio gruppo era composto, per ragioni di vicinanza da Nina, Lorenzo, Concetta, Gigino e Camilla che avevo promesso di andare a prendere con Nina e guidare verso casa nostra. – – Mi raccomando Gennaro – aveva detto la maestra – lo sai che nei quartieri non ci sono ne le vie ne i numeri – e avevamo tutti ridacchiato complici mentre Camilla sbarrava gli occhi incredula.
Il venerdì era il giorno prefissato. Io mi ero fatto il bagno e avevo chiesto alla mamma di non friggere ma lei aveva riso poi si era arrabbiata e aveva preparato le cotolette di baccalà con le patate perchè mio padre le vuole proprio il venerdì e non va scontentato.
Mentre camminavamo per le vie dei quartieri fianco a fianco a Camilla e guardava affascinata i panni stesi sopra la sua testa e correva a destra e a sinistra per toccare e fotografare i graffiti io pregavo di arrivare a casa e di trovare la porta libera. Per una volta nella vita chiedevo qualcosa di molto importante, non potevo far entrare Camilla dalla finestra e non volevo che succedesse.
– Che meraviglia! – mormorava come stesse ammirando un opera d’arte e io mi sentivo così fortunato perchè abitavo in un posto davvero specialissimo. Attraverso i suoi occhi i vicoli non erano sudici, le immondizie non puzzavano come al solito e anche i muri scrostati mi pareva avessero un senso.
Girammo l’angolo ed eccolo li, il motore acceso, il finestrino abbassato, la musica a palla e Vito Cammarata seduto dentro il SUV con la sigaretta in una mano e l’i phone nell’altra. La mia porta era completamente ostruita e io mi misi a piangere. Non volevo farlo ma le lacrime scesero senza che potessi arrestarle.
Nina portò via Camilla e andarono a casa sua, venti metri più su. Gli altri bambini mi passarono a fianco, Lorenzo mi diede una piccola pacca sulla spalla, Gigino passò senza il coraggio di dire nulla. Sarò per sempre grato a Nina per non aver lasciato che Camilla vedesse la mia disperazione.
Cammarata finì la telefonata, chiuse l’auto con il telecomando e fece per infilare la chiave in tasca, ma la chiave cadde per terra e lui continuò a parlare al telefono allontanandosi. Fu come se quella chiave me l’avesse mandata Roberto Saviano, dal posto lontanissimo o vicinissimo dove si nascondeva per non farsi ammazzare.
Aspettai che le schiena enorme di Cammarata sparisse all’orizzonte, mi guardai intorno e aprii il SUV. Salii sul sedile e ringraziai mentalmente mio padre per le lezioni su come si guida il SUV che mi faceva spingendo la mia faccia contro il vetro e facendomi vedere il cambio automatico.
Mettere in moto, spingere il piede sul gas e schiantarmi contro il muro di una casa disabitata in fondo alla via fu questione di pochi secondi. Poi scesi, presi un foglio a quadretti dal quaderno e scrissi ” Il mio nome è Saviano…..Roberto Saviano”.
Tornando a casa sentii l’odore del baccalà, invadeva la via e mi riempiva le narici e mi venne da ridere.
Ho letto entrambi i tuoi racconti e devo dirti che mi sono piaciuti molto. Lo schema, pur essendo le storie diversissime, appare molto simile.
Iprotagonisti sono, in entrambi i casi, personaggi sensibili e carichi di umanità, che cercano un equilibrio quotidiano.
In entrambi i casi sono vessati da una realtà prepotente e invasiva che li rende infelici e frustrati.
Il riscatto arriva alla fine con un colpo di scena che riporta gisutizia ed equilibrio.
entrambi mi sono piaciuti molto anche per il tuo scrivere scorrevole e coinvolgente, complimenti Monica!
Un bel racconto nel quale il piccolo protagonista profuma di cose semplici dentro una realtà non a misura di bambino. Colpisce il necessario adattamento, senza tristezza, ad una vita difficile e come nonostante il “basso” non manchi un senso di giustizia che si amplifica e trova la capacità di rivalsa attraverso la scuola. iI tuoi personaggi meriterebbero di non “morire” dopo poche righe, chiedono di diventare “grandi” magari in un romanzo. Inutile dire che mi piace come scrivi e ciò che racconti.Complimenti
Complimenti per questo racconto che ho letto con l’accento napoletano/campano … per cui un po’ sono di parte! Scherzi a parte é veramente un racconto drammatico pur nella sua semplicità e il linguaggio usato é coerente con l’età del protagonista. Brava! Piacevolissima lettura.
La figura di Gennarino così semplice a momenti ingenuo e dolce in un contesto così difficile e ingiusto fa davvero tenerezza. Bello il colpo di scena finale, il riscatto di un ragazzo che dice “Io non ci sto!”. Brava Monica!
Sapevo che dovevo trovare il tempo per assaporarmi con calma questo racconto (intendo senza figli urlanti intorno 🙂 ). Avevo più volte iniziato a vivere insieme a Gennarino la sua frustrazione e finalmente ho appena vissuto insieme a lui nel finale la rivincita! Molto belle le immagini e il modo in cui le rendi, mi sono vista accanto a Camilla a guardare i vicoli e ho sentito i vestiti impregnati di fritto. Complimenti!
Ah, quanti Gennarino servirebbero… e non è facile essere un bambino e “tenere coraggio”. Brava Monica sia per la scrittura che per il messaggio!
Mi ha preso veramente, mi è sembrato di vivere le situazioni del racconto. Complimenti per lo stile e il contenuto… si leggono parecchie storie con questi argomenti ma il tuo rende davvero bene l’ idea… Gennarino e Camilla, peró, mi lasciano comunque il sentore di un amore di difficile realizzazione