Premio Racconti nella Rete 2018 “Il signor F.” di Monica Vodarich
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Era tempo di decidere. Dopo quella brutta, bruttissima giornata, il signor F. non ebbe più dubbi : qualcosa doveva cambiare, ed anche al più presto. S’infilò la giacca da camera a quadrettini rossi e gialli e sedette alla scrivania di fronte alla finestra. Fuori pioveva e le luci dell’Hotel Corso erano accese sulla strada trafficata. Questa volta avrebbe programmato ogni cosa. Un promemoria dettagliato sarebbe stato il punto da cui partire. Accese il computer e cominciò a segnare il da farsi, una sorta di piano a cui attenersi scrupolosamente. Di colpo di sentì invadere da un senso di profondo benessere, come gli capitava ogni volta che riusciva ad avere un po’ di tempo per se.
Posizionò le dita sulla tastiera, rimase immobile per un istante e poi prese a scrivere con l’urgenza di vedere nero su bianco, di rileggere il piano e di assaporare il momento in cui si sarebbe trasformato in realtà. Ventiquattro anni ! ventiquattro lunghi anni durante i quali, ogni singola mattina, aveva ascoltato quella voce gracchiante che gli ripeteva, in una lunga e rancorosa litania, tutte le cose che non aveva fatto e che avrebbe dovuto fare. L’aveva amata, Dio solo sa quanto l’aveva amata, ma in quel momento con il viso illuminato dalla luce che emanava lo schermo del computer, non gli veniva in mente il motivo per il quale si era innamorato di lei. Creò un’altra tabella, due colonne, a destra i motivi per il quali l’aveva amata e a sinistra quelli per i quali l’aveva profondamente odiata e dopo pochi istanti la parte sinistra dello schermo era piena mentre quella a destra era tristemente e desolatamente vuota. Chiuse gli occhi e appoggio i pollici sulle tempie massaggiandole con delicatezza. Questo piccolo atto consolatorio ebbe l’effetto di tranquillizzarlo, il cuore decelerò i battiti e il respiro divenne regolare. La pioggia continuava a battere sui vetri, il suono dolce e carezzevole aprì lo scrigno dei ricordi. C’era stato un tempo in cui Carmen era una donna dolce e bellissima. Lavorava in un bar all’angolo con l’edificio dove lui ogni giorno andava al lavoro. Lo chiamava ragioniere, con voce dolce e sensuale, gli sfiorava leggermente il dorso della mano quando gli consegnava il resto e sorrideva con le labbra ma soprattutto con gli occhi ogni volta che i loro sguardi si incontravano. Lo faceva sentire bello e importante. Ascoltava con le labbra dischiuse e umide quando lui le parlava di tasse e di conti, come se stesse rivelando la formula segreta per curare il cancro, inclinava leggermente il capo e i capelli biondi e soffici gli sfioravano il bavero della giacca. Le aveva chiesto di sposarlo dopo due mesi perché era sicuro di non poter vivere un minuto di più senza di lei. Carmen aveva accettato e lui si era sentito in paradiso. Un senso di nausea lo colse all’improvviso e sentì l’acido risalire lungo l’esofago e raggiungere la bocca. Tornati dal viaggio di nozze le cose erano cambiate. Non una lenta e inesorabile trasformazione alla quale sarebbe stato possibile abituarsi ma un colpo di mano, un rovesciamento di fronte che l’avevano convinto si trattasse di un piano preordinato per incastrarlo. Che altro poteva essere ? Come è possibile essersi sbagliato a quel modo ? Dove era finita la fata che l’aveva sedotto con i lunghi capelli, i fianchi torniti e la vita sottile? Quando la guardava rimpinzarsi di cibo avvolta nella vestaglia rosa, sporca di sugo e marmellata, con i denti ingialliti dalla nicotina e i capelli grigi e unti sparpagliati sulle spalle, ipnotizzata dalle telenovelas che aveva giurato di odiare si convinceva sempre di più che quella non era la sua vita e che non poteva continuare in quel modo. Usciva ogni mattina con la speranza che il colesterolo, o un infarto oppure anche un automobile impazzita prima o dopo l’avrebbero portata via da lui ridonandogli la pace e la tranquillità che non provava da un quarto di secolo, ma ogni sera rientrando, sentiva la puzza di fritto mischiato al tanfo di fumo e capiva che non sarebbe stato accontentato. Si era quasi rassegnato ad attendere quando un angelo era comparso nella sua vita. Lavorava nell’ufficio accanto al suo, caviglie sottili, vita stretta in giacche colorate che lo mettevano in evidenza e spingevano in fuori il seno. Una carnagione bianca e levigata e due labbra tumide e imbronciate. Lo chiamava per nome e condivideva con lui la passione per i numeri e la scienza. Quando aveva visto spuntare dalla sua borsetta di vernice rossa una copia di una rivista scientifica aveva capito che era ora di cambiare. Tornò alla lista delle cose da fare. Un punto dopo l’altro, un piano meticoloso come era giusto fare per affrontare quell’incresciosa situazione. Non sentiva nessun senso di colpa. Era lui ad essere stato ingannato, aveva sposato una donna dolce e attraente e si era ritrovato un mostro che cresceva a dismisura uccidendo la sua voglia di vivere. Andava scacciato, andava eliminato. Tre ore dopo, con la giacca da camera a quadrettini rossi e gialli, e una tazza di the bollente fra le mani si faceva rincuorare dai vicini di casa.
– Doveva accadere prima o poi, era inevitabile. Con tutto quello che mangiava e beveva, il sovrappeso e la pressione alta ! Riposati pensiamo a tutto noi –
Il Signor F. annuì sentendo la boccetta di digitale che premeva nella tasca dei pantaloni e soffiando sul liquido dolce e profumato. Una lacrima scese dall’occhio destro quando passò la barella coperta dal lenzuolo bianco, ma era una vecchia congiuntivite mai curata a dovere.