Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Una sana pazzia” di Anna Rosa Perrone

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Livia, alle 7, era sveglia da un pezzo.

Aveva già rassettato la cucina e preparato sul tavolo le tazze per la colazione dei ragazzi che si sarebbero alzati con “comodo” alle nove.

Non appena aveva sentito Michele uscire dalla camera da letto e la porta del bagno aprirsi con il solito cigolio, era scattata come una molla: subito in camera a disfare il letto e aprire la finestra per cambiare aria nella stanza.

Dopo i suoi piedi, con passo veloce, l’avevano nuovamente portata in cucina e le sue mani, con rapidi gesti, avevano “caricato” la piccola moka che ora troneggiava sul fornello, aspettando di compiacersi nel sentire gli umori aromatici uscire dalla “pancia” sotto la pressione incalzante del fuoco.

Il mattino registrava sempre quella sua “corsa” da una stanza all’altra della casa, il suo fiato, con ritmo accelerato, guidava cadenzando le braccia mentre tentava di sistemare più cose possibili, senza ostacolare Michele che doveva lavarsi prima di tutti ed uscire velocemente, lui era l’unico a non far colazione a casa il mattino.

Michele aveva un capo ufficio un po’, come dire per essere gentili, “severo”, per questo doveva essere puntuale, pena trovarsi una lettera di richiamo ai doveri contrattuali.

Quando aveva sentito il solito ciao frettoloso di Michele sovrastare lo scatto del portone di ingresso e i passi veloci sulle scale, aveva per un momento abbandonato quello strano efficientismo che induriva l’espressione del suo viso, si era seduta, quasi avesse finito di recitare una parte e sorridendo fra sé aveva lentamente portato alle labbra la tazza ricolma di caffè bollente.

Mentre si vestiva, guardava la sua immagine riflessa sul grande specchio dell’anta interna dell’armadio: non dimostrava proprio 40 anni né le gravidanze avevano tolto armonia al suo corpo, a parte la pancetta che riusciva sempre a contenere, con qualche sforzo, dentro i blue Jeans più piccoli di mezza taglia, eppure Michele…

Lo sguardo all’orologio era giunto prontamente a dire che anche lei non poteva arrivare al lavoro troppo tardi e ancora non aveva deciso come vestirsi e la sacca per la palestra del pomeriggio non era pronta.

La giornata di lavoro era trascorsa come sempre, fra pratiche d’ufficio sempre uguali e qualche esclamazione di insofferenza…finalmente le 16!

Un saluto veloce alle colleghe e in dieci minuti già dentro la tuta, sdraiata sul tappeto sintetico della palestra.

Da un po’ di tempo era quella l’ora della giornata in cui stava meglio non solo per quel tempo dedicato a sé stessa.

Lì avvertiva su di sé occhiate curiose che la facevano sentire non più trasparente ma nuovamente materia, lì abbandonava davvero all’oblio “l’armadio” dei suoi pensieri inconfessabili e trovava la voglia di fingere di non accorgersi di nulla mentre sentiva le sue labbra schiudersi in sorrisi improbabili.

Per Dio, era nuovamente viva!

Era piacevole seguire i ritmi frenetici, abbandonarsi ad altri cilici, soffrire per tentare di stare al passo con le più giovani, costringere i propri muscoli ad impegnarsi negli attrezzi più faticosi e Michele…Michele finalmente fuori dalle sue ossessioni.

Adesso era lì, in quella grande palestra fra corpi sudati, allineati di fronte agli attrezzi ginnici o stesi sul tappeto in mezzo a sguardi che fingevano di incrociarsi casualmente.

Ogni tanto però aveva qualche “ricaduta”, le veniva in mente Michele e lo vedeva sempre del solito cupo colore e provava angoscia pensando al “campo” notturno e ai loro corpi che ormai non sapevano stringersi che in tiepidi e svogliati abbracci ma in fondo tutto era normale: doveva avere solo la solita pazienza, venticinque anni di vita comune non potevano passare senza mutare almeno l’entusiasmo.

Se lo diceva ripetutamente durante la giornata anche se la sua insoddisfazione assumeva di frequente il colore viola dell’insofferenza e troppo spesso banalità divagavano in discussioni estenuanti e senza senso nelle quali era sempre lei, Livia, ad ammutolire Michele.

Da qualche tempo a peggiorare l’umore si era aggiunta una strana inquietudine, un sospetto che aveva messo radice fra i suoi pensieri, nato da un caso.

Un sabato, mentre Michele era fuori di casa per la solita corsa di due ore, riponendo i pantaloni, lasciati sul letto frettolosamente, aveva sentito il peso del cellulare di Michele in una tasca e con stupore aveva notato che era ancora acceso.

L’idea di passare dalla schermata generale del telefono alla rubrica, sin dentro ogni minima opzione del menù, da prima l’aveva lasciata indifferente: avrebbe trovato traccia di qualche stringata telefonata al suo cellulare o al suo ufficio, era così parco Michele.

Subito dopo invece aveva iniziato a scorrere la rubrica ed aveva visto materializzarsi un elenco di nomi, molti dei quali di donne a lei sconosciute.

Aveva provato vergogna per quella debolezza e quasi immediatamente aveva riposto dentro la tasca il telefono e chiuso l’indumento dentro l’armadio, fingendo a sé stessa disinteresse.

Dopo un attimo invece si era sorpresa nel vedere le mani cercare freneticamente ed estrarre nuovamente dalla tasca la piccola massa scura: il suo stomaco aveva provato un sussulto chiudendosi sotto il tambureggiare frenetico del suo cuore…

Oddio pensava è già passata più di un’ora e se Michele tornasse prima del solito?

Ma già le sue dita colpivano i tasti del cellulare cercando rapacemente nella cartella dei messaggi:

Messaggi ricevuti, lista vuota, sì, Michele era proprio come lei lo pensava, senza alcuna fantasia per nessuno

Messaggi inviati, a 333678900, Come Stai? Coraggio “ciccia” la vita è bella

un abbraccio Michele

 

Per un attimo stupore, subito dopo la pressione di un macigno sul fondo della sua sacca gastrica e da quel giorno accese discussioni con Michele, discussioni che molto spesso avevano lasciato senza parole lui e i  figli.

Sandra e Marco non sapevano che il loro padre continuava ad addormentarsi accanto a lei mostrando la schiena quasi fosse in posizione di rifiuto, quasi nel loro letto ci fosse una linea di confine.

Sandra e Marco non sapevano le notti insonni ad aspettare una mano sfiorare la sua pelle…

Alcune volte aveva pensato di stupire quell’uomo sdraiato di schiena vicino a lei eppure così lontano, tutto vano non poteva essere lei a “iniziare”, era lei ad avere desiderio di essere “cercata”, anzi di mostrare pure ritrosia per palpare come nei tempi di gioventù tangibilmente il suo desiderio e invece… “coraggio “ciccia”!

Ma a chi rivolgeva l’invito, a chi l’abbraccio, lui così laconico così “poco” tutto.

E da quel giorno aveva deciso di braccarlo, di tenerlo costantemente sotto controllo ed aveva iniziato ad andare spesso in ufficio.

Michele non mostrava di essere proprio contento, per via del capo ufficio diceva lui.

E più i suoi tentativi di incastrarlo risultavano vani, più sentiva la testa implodere e la rabbia farsi prima gatta furiosa e dopo tigre ed il desiderio del “sangue” di Michele era ormai l’unica cosa capace di   colorare le sue giornate.

-Mamma ho preso un appuntamento con lo psicologo, ci vai da sola o vuoi che ti accompagni? Sandra di fronte a lei sosteneva il suo sguardo interrogativo fissandola negli occhi.

– Ma Sandra, perché?

-Perché? Hai il coraggio di chiedermi perché? Non ti accorgi che la vita è diventata un inferno in questa casa, che tu non fai altro che aggredire babbo senza nessun motivo?

– Senza nessun motivo? In questa casa mi sembra di essere diventata solo la governante! E voi sempre dalla parte di vostro padre, ma sì, io sono aggressiva, io sono polemica e quel sant’uomo a subire… E io?

– Ecco, ho preso l’appuntamento perché stai male e una bella chiaccherata con uno specialista ti potrà aiutare a vedere le cose diversamente, da un’altra luce!

-Non ci vado, non sono io ad aver problemi! aveva risposto categorica ed invece dopo una settimana si era presentata all’appuntamento.

Il dottor Morelli, seduto dietro la scrivania l’accolse con un tono rassicurante ma dalle prime battute capì subito che Sandra doveva aver parlato dei suoi frequenti malumori, come si dice in questi casi per far rientrare tutto nella pseudo normalità: depressione, stanchezza psicologica?

Nonostante la sua iniziale diffidenza, i suoi silenzi, si trovò con le mani sul viso nel tentativo di interrompere un irrefrenabile pianto e poi tutta d’un fiato a parlare dei suoi dubbi e della sua infelicità.

Da quel giorno le sue visite al dottor Morelli diventarono una boccata di ossigeno settimanale a cui non avrebbe rinunciato per niente al mondo come del resto alla prescrizione delle preziose gocce per dormire.

Il clima si era rasserenato anche se, quando era sola, continuava il controllo frenetico delle tasche di Michele fino a quando non ebbe la certezza che davvero esisteva qualcos’altro oltre il vento tiepido della ventennale vita in comune, ma che fare? Sconvolgere la vita dei figli con i suoi problemi e magari essere presa per visionaria come il solito?

E un giorno…

-Michele ti devo parlare, non possiamo più fare finta di niente, non pensi sia meglio separare le nostre strade, ognuno vivere nuovamente la propria vita, io ti capisco sai, anch’io non sono più quella di un tempo…quella mattina Livia era decisa ad affrontare i mille discorsi carcerati per mesi dentro le mandibole.

Michele l’aveva guardata e ancora una volta le aveva detto che no, tutto andava bene c’era solo lei nella sua testa ma doveva capire: si invecchia e il corpo ha meno desideri…E poi era stufo, era ora di finirla con le battute come se lui avesse un’altra storia!

Livia aveva iniziato a urlare, a prenderlo a schiaffi a graffiarlo, a buttargli in faccia il nome della “ciccia” con cui aveva reso meno vecchia la sua vita, ma lui no ancora a negare a prenderla per pazza.

Lei sapeva della sua relazione con una collega d’ufficio, aveva scoperto le sue tresche e le aveva dato una ulteriore possibilità, ma ora capiva, nulla di quello che c’era stato fra loro era più recuperabile.

Michele dopo aver nuovamente negato, aveva aperto la porta lasciandola sola.

Pazza! si Michele con i suoi dinieghi voleva farla diventare pazza con la complicità pure dei figli e anche del dottor Morelli che con mille discorsi e con gli antidepressivi era riuscito a farle ingoiare mille tensioni, forse sarebbe stato più di sollievo lo sfogo con un prete che almeno loro un senso alla vita te lo danno, magari la santità.

Cosa doveva fare?

La rabbia che aveva dentro la condusse di fronte allo specchio di camera: voleva guardarsi, vedere che faccia aveva.

L’immagine riflessa le diede una sensazione di nausea, improvvisamente le sue mani iniziarono a colpire quel viso e la sua gola a urlare, sempre più forte, parole prive di senso.

 

Livia alle 7 era già sveglia da un pezzo.

Aveva già disfatto il letto buttando a terra coperte e lenzuola ed ora dopo aver aperto tutte le finestre della casa, respirando l’aria fresca del mattino, sorseggiava un caffè seduta nella piccola cucina.

Sì, in fondo, si sentiva soddisfatta e se pensava al “botto” le veniva pure da ridere.

La lettera del suo trasferimento in un Comune del Centro Italia era arrivata dopo circa un anno.

In quel periodo di attesa più e più volte aveva tentato un appiglio per restare, un momento di vera comunione con Michele e di comprensione dei figli, ma tutto inutile e tutto sempre per lei più chiaro.

Era stata dura portare avanti la finzione, preparare la partenza senza che nessuno in famiglia avesse alcun sospetto, pretendere nel suo ufficio un cordone di riservatezza che la mettesse al riparo dall’essere scoperta.

Ora era lì in un altro paese: nuovo lavoro, nuovi colleghi di ufficio, nuove relazioni… era pazza ad aver abbandonato tutto? In molti la pensavano così, in primis Michele, chiuso nella sua torre di bugie. Anche Sandra e Marco non erano stati da meno: ci abbandoni, ne hai di coraggio!  come se a 23 e 21 anni non fossero in grado di camminare da soli.

Forse, forse era pazza, ma per una volta malata di una “sana pazzia” da cui non voleva guarire.

Ora prima di uscire per andare al lavoro, di fronte al suo specchio poteva finalmente guardarsi con un sorriso e magari dire rivolta a quell’immagine riflessa: Livia, sei proprio “ganza”!

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16 commenti »

  1. Brava Anna Rosa, mi è piaciuto il tuo racconto e come hai descritto il personaggio di Livia.
    una donna trascurata che da tutta se stessa per ricevere un attenzione e un amore che non arriva.
    interessante la prima parte dove “l’ efficentismo ” mattutino diventa espressione di questa richiesta insistente ma non corrisposta.
    una profonda incomunicabilità famigliare traspare dal racconto e porta il personaggio verso
    La ricerca di una ragione , il tradimento vero o presunto di Michele , che è l’appiglio per la fuga.
    Ben scritto

  2. Mi piaciono i tuoi racconti che analizzano l’esistenza femminile. Trovo che questo sia ancora più interessante degli altri due. In primo luogo è ben scritto, poi la figura di Livia, così come l’hai sviluppata, lascia al lettore libertà di interpretazione. Non è chiaro se Michele la tradisce o se è lei che semplicemente si lascia sopraffare da questa convinzione. Ma tutto questo non ha nessuna importanza, ciò che conta veramente è la quotidianità che lei si è costruita addosso. Recita in presenza del marito e nell’istante in cui lui esce di casa cambia atteggiamento. Certo, si sente trascurata, ma lei stessa ne è in parte responsabile perchè è malata di quella malattia che porta le donne, troppo spesso, ad assumere il ruolo casalingo della donna di servizio. Quando poi, inevitabilmente, non ce la fà più, lascia casa e famiglia. Io vedo questo nel tuo bel racconto. Brava.

  3. Mah …contenta lei! Se poi contenta lo era veramente. Dubito!. Mi è piaciuto molto il commento di Pasqualina che secondo me ha colto in pieno le caratteristiche di una donna che è contemporaneamente vittima e carnefice di sé stessa senza minimamente rendersene conto. Cambiare il contesto diventa inutile se portiamo il problema di noi. Secondo me in questi casi la pazzia non è affatto sana…ma questa è il mio pensiero. Certo è che i tuoi smuovono pensieri ed emozioni! Brava Anna Rosa

  4. È la seconda volta che rileggo questo racconto. La figura di Livia mi inquieta e mi rattrista. Sì, è vero che si è ripresa in mano la propria vita, ma a che prezzo? È facile comprendere il gesto di liberarsi del marito, sacrosanto e sano, ma i figli? Come ci si fa a liberare dei figli? Ecco, questo gesto mi è sembrato estremo e mi fa riflettere su quanti tipi di solitudine ci sono al mondo. Livia mi sembra una donna profondamente sola, che non è riuscita ad aprire una breccia nella comunicazione neanche dopo l’aiuto del terapeuta. Non è colpa sua, le sono tutti contro? Ma la colpa non sta mai tutta da una parte. È una donna malata, fragile, si porta addosso traumi infantili, insicurezze, una donna che ha subito per troppo tempo e finalmente si è ribellata? Oppure è una donna profondamente egoista? Non saprei definirla, sinceramente. Forse sono io che non sto riuscendo a cogliere o forse il personaggio femminile avrebbe dovuto essere delineato meglio. Ma credo che tu ci abbia voluto lasciare di proposito con tutti questi interrogativi, farci riflettere. Come si possono mai capire mai a fondo le scelte che noi non faremmo mai? I mille volti della solitudine? Lo dice il tuo stesso titolo: “Una sana pazzia”, un ossimoro. “I mille discorsi carcerati per mesi dietro le mandibole”: questa frase mi è piaciuta moltissimo e rende proprio l’idea 🙂

  5. Vi ringrazio per aver letto e commentato il mio racconto. Mi fa davvero piacere che la storia ponga così tante riflessioni.

  6. Stessa impronta e stile in questo racconto che suscita inquietudine e riflessione.
    Mi inquieta la scelta di Livia e mi interrogo sul perché sia arrivata a tanto, cosa e chi poteva fare qualcosa per lei, perché non arrivasse a questo strappo.
    Penso che purtroppo molte donne vivano un desiderio di fuga altrettanto drastico ma poche lo ammettono o lo raccontano con la tua stessa cruda lucidità e coraggio.
    Complimenti per gli interrogativi che susciti.

  7. Dovrò rimettermi a commentare… non mi legge più nessuno!

  8. Ti commento io.
    Come già è successo mi trovo d’accordo con Antonella Caputo: il personaggio di Livia – per certi aspetti – anche a me sembra non del tutto risolto. Non che pensi, come Antonella, che dei figli non ci si possa “liberare” mai. Anzi, al contrario, mi è capitato diverse volte di vedere e sentirmi raccontare di persone, per lo più uomini, è vero, a cui sono capitati figli con i quali era difficile riuscire a stabilire un contatto. Però, ecco, la cosa che ho trovato meno plausibile in questo personaggio è la pervicacia con la quale ha voluto tenere nascosta la sua intenzione di andarsene, di cambiare vita, di smettere di “accudire” per il dovere di accudire. In fondo, come lei stessa dice a se stessa, a ventuno e ventitré anni si può anche pensare che un figlio provveda da sé alle sue necessità senza che ci debba pensare la madre. Anzi, il contrario si dà solo in questo nostro strano Paese. Ok. Perfetto. Allora, perché non concedere al tuo personaggio una chance in più, lontana da quella casa ma in pace con quello che si lascia dietro?
    Non so, ma mi sembra che invece di una donna fatta ci troviamo di fronte a un modo di pensare e di agire un po’ adolescenziale. Sbaglio?

  9. Questa storia ci presenta una figura di donna irrisolta. Non esiste un lieto fine, non ho avvertito la gioia di un nuovo inizio, una nuova possibilità . Ho immaginato che entro poco tempo la vita della protagonista avrebbe nuovamente e inevitabilmente preso la stessa piega routinaria e di insodiisfazione. Un racconto pervaso da un senso di solitudine che hai saputo descrivere molto bene. Com0limenti per la scrittura molto efficace.

  10. Livia è una Medea che non uccide i suoi figli anzi rivoluziona la loro vita aprendo le sue braccia, perché di fronte al deserto potranno crescere davvero. E’ egoista in questo? io penso di no perché certo non può dirsi abbandono la sua “uscita”, hanno più di ventanni . Livia è una donna “trasparente” dentro le mura di casa incatenata in un ruolo che incatena tutti, marito e figli. La sana follia è proprio questa riprendersi la vita e donarla anche agli altri protagonisti che dovranno decidere cosa fare “da grandi”. “La madre” avrebbe potuto sviluppare nei confronti dei figli le “solite dinamiche” , fare la vittima, “spogliare ” Michele di fronte ai loro occhi ma non lo fa, non uccide neanche il padre. Reagisce inizialmente con la collera senza dire perché, diventa lei la pazza da curare ma alla fine capisce che quelle “cure” sono dentro il solito gioco e decide per il bene di tutti, prima di tutto il suo, di cambiare. Non so alla fine se tutto ciò traspare dal racconto, mi fa comunque un piacere infinito riscontrare che la storia riesca a stimolare riflessioni. Un’ultima cosa mi fa riflettere quanto ancora il ruolo di “madre” pregni ogni commento e nella mentalità corrente imponga ancor oggi il sacrificio. Nel mio racconto la scelta di Livia è soprattutto razionale e legata alla necessità di una risposta dirompente e fuori schema, sarà felice? Non lo so…

  11. Concordo con l’assennatezza del tuo commento. Però, guarda, forse questa scelta consapevole, da donna libera che dona un’altra volta la vita, forse non viene fuori. Quel che esce è una donna che decide di cambiare sì, ma non in pace e cercando di far comprendere le sue posizioni, che sono legittime, perché appunto, lì dentro, in quel ruolo non la vede più nessuno, bensì una donna che cambia contro tutto e tutti, di nascosto addirittura, tanto è arrabbiata e allora sembra una rivalsa. E allora sembra un’altra donna, no?

  12. Un racconto perfetto che dice molto sulle donne, sui loro rapporti, sulla vita che scorre senza saperci rendere felici se non ci conquistiamo da soli questo privilegio.
    Mi è piaciuto molto

  13. Che dire? Ancora una bella storia di donna. In effetti sarebbe stato auspicabile che Livia, pur tagliando i ponti con il marito, fosse riuscita a conservare un rapporto corretto e costruttivo con i figli. Ma non è andata così. Questa libertà conquistata non può evitare di fare i conti con il rimpianto per qualche grave errore commesso nella relazione con i figli, errore che ha fatto schierare questi ultimi dalla parte del marito. Immaginando una situazione ribaltata nei generi, con la donna che tradisce e l’uomo che abbandona la famiglia alla ricerca di una sua libertà, sono giunto alle stesse considerazioni. Sembra ovvio e scontato, ma il rischio di un diverso giudizio a seconda che si tratti di uomo o di donna è sempre in agguato. Però … Quanto fa riflettere questo breve racconto!

  14. grazie Les Ubu del tuo commento. Mi fa piacere soprattutto che questo breve racconto ponga in chi lo legge molte domande ed è in fondo proprio quello che mi ponevo come obbiettivo rappresentando questa storia fuori dai soliti meccanismi di coppia e genitoriali.

  15. Carissima Anna, sei coraggiosa nel tema, un tema vero, un tabù di cui mai si parla nella nostra società che mette il sesso sempre prima di tutto. Il tema dello smettere di far sesso tra coniugi esiste c’è. Ma se è l’uomo che non vuol più farlo allora…. c’è altro… Non so io sono anche propensa a dare il beneficio del dubbio al marito. Magari non ha un’altra, l’altra è solo nella testa di lei che ha disperatamente bisogno di un perché per tutto il freddo che sente nel letto.
    Quanto alla scelta di prendere e andarsene…io qui appoggio la tua scelta di far di Livia una mamma che si salva e se ne va. I figli sono grandi e forse restando tutto sarebbe precipitato. Meglio così. Forse questo viene fuori meno, forse andrebbe messo a fuoco meglio qualche passaggio. Ma sono d’accordo con te: la follia a volte è sana e salva tutta la famiglia.

  16. Grazie Germana per il tuo commento e per le tue osservazioni.

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