Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “La sagoma arancione” di Marco Giampieri

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

“Il segreto per un buon risotto è l’inizio: il riso si deve tostare bene prima di bagnarlo, questo fa sì che i chicchi rimangano ben separati fino alla fine senza disperdere l’amido durante la cottura”.
“Senti Giorgio, me l’hai detto un sacco di volte, ma la cosa migliore è mangiarlo qui da te. Ah ecco Elisabetta, vieni, questo è il padrone di casa e anche bravissimo cuoco”
“Ciao, sono Giorgio, Laura è una fannullona, non ha voglia di cucinare e confonde la bravura con la disponibilità”
“Ciao, bellissima terrazza e profumo davvero invitante, cosa prepari?” altro che bellissima terrazza, il suo sorriso è davvero inebriante, ed alla parola invitante non ho potuto fare a meno di guardare il suo seno lasciato abbondantemente scoperto sotto la camicia bianca. Lei se ne è accorta e la richiude con naturalezza.
“Risotto con zucca, taleggio e cioccolato amaro”. Quando ho detto cioccolato amaro le sue labbra si sono leggermente socchiuse quasi volessero morderlo.
“Ah, ma Laura non mi aveva detto che saremmo venute a cena in un tempio della cucina creativa!
“Laura, non ti bastava sfottermi da sola, ti sei portata l’aiutante”
“Mi sembra una  buona idea, ti va se ti faccio da aiutante?”
Certo non si può dire che entri in punta di piedi, è appena arrivata ed ha già rotto l’equilibrio della serata. Laura ormai, dopo tanti anni passa inosservata, Mauro ed Anna sono fuori in terrazzo e parlano di lavoro, mentre Aldo ha acceso la televisione e guarda il tg.
Amici.
Così tutti insieme celebriamo spesso la mediocrità, per sentirci un po’ meno soli.
La guardo meglio. Occhi profondi color argilla, con uno strano effetto brillante, simile ai colori metallizzati delle automobili,  ciglia lunghe e nere, come i capelli che si appoggiano accattivanti sulle spalle. Il seno pesante e rotondo, abbronzato, porta pantaloni beige a righe, e la camicia. Mi ricorda una bellezza un po’ caraibica, meticcia insomma, dai tratti marcati e sensuali. Si, soprattutto è sensuale, senza esibizione però, forse una punta di malizia nello sguardo così penetrante, o forse è quello strano arricciarsi del naso quando pronuncia alcune vocali che te la fa immaginare adolescente e con un’aria un po’ più ingenua di quella che ha ora.
“Ce l’hai una maglietta da prestarmi però, non voglio lavorare vestita così”.
Oddio, mi sembra una richiesta così intima, familiare, me la immagino mentre si toglie la camicia, slaccia i bottoni o se la toglie sfilandola dalla testa?, sono sicuro che prima di mettersi la mia maglietta, si guarderà allo specchio riaggiustandosi un po’ il reggiseno, poi se la infilerà, prima la testa o prima le braccia?, sentirà il profumo del sapone e proverà una piacevole sensazione.
Condividere un indumento è una cosa difficile da fare al primo incontro.
“Certo, vieni, ho una t-shirt arancione, sono sicuro che ti dona”
L’accompagno nella cabina armadio, accendo la luce, tiro fuori la maglia.
“Se ti serve uno specchio, è nello sportello dell’armadio, la misura è quella che è, ma per cucinare può andare”
“Grazie Giorgio, arrivo subito”.
Ecco ha detto Giorgio e le si è arricciato il naso e le labbra si sono incurvate all’insù. Torno in cucina, controllo il soffritto. Tutti i risotti partono nello stesso modo: burro, cipolla, far appassire leggermente, poi si butta il riso,  si fa tostare e si bagna con il vino bianco, far evaporare e cominciare ad aggiungere acqua o brodo. La fiamma deve essere vivace ed anche la mescolatura frequente e rapida. Il riso deve essere sempre asciutto, se no si lessa.
Eccola Elisabetta, avevo indovinato. Il colore le accende la pelle, che sembra di rame brunito,  la maglia è molto più accollata della camicia, il seno è più libero, non si vede niente ma mi immagino i suoi capezzoli scuri e grandi. Mi piacciono le donne in abiti maschili, mi danno un’idea di libertà e di ambiguità che ho sempre trovato eccitante.
Comunque lei è un fuoco vivace che può bruciarti. E’ così a suo agio in questa casa, nella mia maglietta, nella mia cucina, in quel suo sorriso, mai forzato, mai falso. E’ l’idea stessa della naturalezza, e mi sembra sempre più bella.
“Allora Giorgio come posso aiutarti, cosa posso fare?” quando dice Giorgio mi si scaldano le vene.
“Preferisci il riso o gli antipasti?”
“Adoro gli antipasti, ma non voglio usurpare la tua creatività, mi accontento di mangiarli!”
“Beh, diciamo che mi ispiri fiducia, ti cedo gli antipasti, metterti ai fornelli non mi sembra giusto, almeno la prima volta, ci tengo a riaverti qui altre sere!”
Era quello che voleva, glielo leggo negli occhi e in un movimento dolce del collo, quasi a dire mi rimetto alla tua volontà, che comunque era la mia.
“Guarda, abbiamo un po’ di pesce affumicato, affettati, formaggi, frutta, non so possiamo fare qualche carpaccio con le verdure, mozzarella e pomodoro … vuoi un aperitivo prima di iniziare?”
“MMhh si, un Pernod, grazie”
“Chi ti dice che io abbia il Pernod?”
“Mi sembri il tipo, non so, non hai una casa banale e la tua cucina promette molto, mi aspetto che tu non mi dia il solito Prosecco!”
Il bello è che mi ha detto questa cosa senza nessuna malizia, senza quello sguardo patinato da pubblicità, senza nessun equivoco, anzi ora che la guardo meglio non ha neanche un’ombra di trucco, né sugli occhi né sulle labbra. Il suo modo di dire cose per certi versi incredibili mi affascina.
“Ok, il Pernod ce l’ho, per la cucina però non vorrei tu rimanessi delusa”
“Non credo, e poi non sono qui per mangiare, ma per cucinare, no?”.
Ci prepariamo due bicchieri, ghiaccio, acqua e un po’ di Pernod, lo faccio leggero.
“A te che Francia ricorda?” le chiedo.
“La provincia, parenti di una mia amica dove sono andata dopo la maturità, era un giro continuo da una casa all’altra, e al terzo o quarto non riuscivo a trascinare le gambe, però mi è rimasto quel gusto particolare della atmosfera familiare, semplice e dignitosa di quella gente, che non puoi deludere rifiutando quel piccolo segno di ospitalità”.
E’ sorprendente la totale mancanza di imbarazzo che proviamo nel parlare, nello stare vicini, non sappiamo niente di noi, poco più del nome, non so dove vive, se è sola, che macchina ha, se dorme in un letto singolo, se la mattina fa colazione in casa o al bar, se ha un amante, dei figli, se crede in Dio, per chi vota, non so neanche perché è qui.
Guardando gli altri fuori, le persone di cui so tutti i dettagli, di cui conosco tutte le abitudini, le manie, gli orari, mi vengono in mente una serie di sagome grigie, tutte uguali, senza volto.
Elisabetta invece è la sagoma arancione, quella in evidenza, il personaggio che emerge rispetto ai manichini che rimangono sullo sfondo.
La sottolineatura di un piccolo tempo che non andrà più perduto, perché non è legato ad un fatto, ad un gesto, alla ripetizione che consuma irrimediabilmente i colori, ma all’indecifrabile sfumatura che impasta possibilità e desiderio in un accento tonico che non è più né l’una né l’altro, grazie al quale smettiamo per un attimo, per una sera, per un giorno, di dare importanza a ciò che accade, rimpiangendo per sempre ciò che non è mai accaduto.
Elisabetta appoggia le labbra sul bicchiere freddo guardandomi negli occhi. Il calore del suo alito scioglie per un attimo la patina creata dal liquido gelato. L’impronta del suo respiro è lì, su quel bicchiere ed io non riesco a distogliere gli occhi dai suoi.
“A me invece fa pensare a Marsiglia, la transizione tra Africa e Mediterraneo, che si respira più che a Cadice o a Gibilterra, la vicinanza non sempre sintonizza umori ed odori, insomma tra nafta, piscio, sudore, marcio del sale, l’odore di anice riesce comunque a soffiare tra i vicoli.. anche se lì si chiama Pastis, ma il sapore è lo stesso.”
La lascio a  scegliere gli ingredienti per gli antipasti. Esco in terrazzo per respirare un po’, mi sento stordito, confuso, emozionato per questo incontro.
Fuori è quasi notte, è una serata calda e senza vento, il mare nella baia qui davanti è immobile, ed ha assunto tutte le sfumature del tramonto ormai passato, perla, rosa, porpora, mentre la linea di confine tra acqua e cielo è un orizzonte indistinto dove la luce cerca ancora disperatamente di sopravvivere.
Guardo ancora lei, e l’arancione della maglia, sua, mia, nostra penso stupidamente, guardo le sue gambe veloci tra il tavolo, il frigo, i piatti davanti a sé. Non è affatto impacciata, chiede a Laura qualcosa, apre il cassetto delle posate, sta lavorando con una grazia ed una eleganza che basterebbero da sole a farti innamorare. Mi accendo una sigaretta e guardo il mare. Sopra il promontorio a sinistra è già alta Venere e mi sembra di sentire la mancanza della luna.
Era tantissimo che fumare non mi dava un piacere simile.
Fumare e bere il Pernod.
Incrocio Laura “Vedrai Elisabetta ti sorprenderà!”
Non riesco veramente a dire niente.
Torno in cucina e mi avvicino a lei.
“Ah Giorgio, meno male! Ti volevo far vedere un paio di cose che ho iniziato, così tanto per capire se possono andare.
Qui sto facendo un carpaccio di tonno affumicato con i fichi freschi, queste invece sono piccole tartare di tonno fresco con pompelmo rosa e foglie di menta, che ne dici? Io amo molto l’armonia di colori e sapori, non sempre l’equilibrio, è una scelta, forse è anche un dono. L’equilibrio rende tutto più facile, però quando arrivi alla fine della cena rischi che tutto sia passato come acqua fresca, un po’ come nella vita no? Spezzare gli equilibri ti porta a dover assumere delle tonalità azzardate, un po’ come la maglia che mi hai prestato. Se il risultato è buono però è più forte anche il piacere ed il gusto resiste più a lungo: l’accostamento diventa allora unico e fortemente armonico. Se pensi che la trama sia accettabile vado avanti con lo stesso genere, se no cambiamo canale”
Sul piatto ovale c’è una splendida composizione da sembrare un Cezanne. Le fettine di tonno affumicato sono i petali di un fiore con al centro il fico sbucciato, il viola della buccia aperto in quattro parti  a formare il calice e la polpa  appoggiata sopra. Sull’altro piatto, invece otto piccoli tronchi di cilindro di tonno crudo, circondati da quattro spicchi di pompelmo rosa e sormontati da due piccole foglie di menta. Sparsi sul piatto pinoli e una spolverata di bottarga di muggine.
“Sono bellissimi…. Ma, mi avete preso in giro, Laura ma chi mi hai portato in casa?” Laura dal terrazzo mi fa l’occhiolino.
“Bene, allora procedo su questa strada, ok. Senti però mi devi fare un favore, ho le mani sporche e mi danno fastidio i capelli, me li dovresti legare, guarda ho un fermacapelli qui nei pantaloni, tasca destra, non voglio distrarmi”.
Non è possibile, mi tremano le gambe, sarà il Pernod, ma perché sono così stupido, mi ha chiesto solo di legarle i capelli.
Riesco solo a dire:“Ci provo”. Si gira ed ho come la sensazione che sia indifesa, abbandonata, con le braccia piegate, le mani inutilizzabili, la testa leggermente reclinata all’indietro per facilitarmi, quella strana sensazione per cui una donna si affida a te e tu capisci che non è il momento di deluderla. Nel taschino destro dei jeans c’è un piccolo elastico, lo prendo, con le due mani cerco di fare una coda stringendole leggermente i capelli. Il contatto con quella soffice pesantezza è bellissimo ed alzando i capelli lascio scoperto il suo collo, leggermente sudato, dove c’è il segno leggero di una collana che ora non ha. Dio mi tremano le mani, quasi dovessi slacciarle il reggiseno, riesco con fatica ad infilarle i capelli nell’elastico e a ripassarlo un’altra volta. I capelli ricadono sul collo, Elisabetta si gira, mi dice “Bravo, è la prima volta che un uomo mi lega i capelli”.
La butto sullo scherzo e le sussurro all’orecchio “Lo rifarei”, lei sorride, “Guarda che io il tuo risotto lo vorrei mangiare, non trascurare la cucina!”.
La zucca la metto a metà cottura, poi quando il riso è al punto giusto, spengo il fuoco, copro e lascio riposare per qualche minuto. Poi in ogni piatto metto un po’ di taleggio e sfoglie finissime di cioccolato, tagliate con la grattugia da tartufo. Sistemo il riso a cupola sopra il formaggio e spolverizzo con altro cioccolato.

Se l’è tolta prima di andare via e l’ha lasciata nella cabina armadio.
La sua sagoma arancione.
Ci pensavo da quando l’ha indossata.
La prendo e la passo leggermente sul mio viso, cercando di ritrovare il suo profumo, immaginando il suo corpo ancora sotto il tessuto. Un piccolo foglio cade a terra. Lo raccolgo e leggo.
“Non mi capita spesso di passare serate così, grazie per l’ospitalità e la tua compagnia. Il tuo riso era ottimo: io però ti consiglierei di provare un brie della Normandia al posto del Taleggio, secondo me è più intrigante, più istintivo sul sapore dolciastro della zucca, è la cosa che non ti aspetti, appena lo assaggi ti può sembrare esagerato, ma mano a mano che il palato si abitua l’accostamento diventa esaltante e ti stupisci della complessità di gusto che riesci a percepire. E poi non avere paura della banalità, io avrei spolverato con briciole di amaretto, soprattutto per non svelare agli occhi la sorpresa del cioccolato, che va serbato come l’affondo decisivo per arrivare al piacere. Proprio quando il palato, dopo le prime esitazioni ha raggiunto un suo equilibrio e in fondo si ritiene appagato, ecco la distorsione dell’amaro intenso, ecco un nuovo stimolo che cambia e prolunga il piacere.
Il cibo, come l’amore, è un’opportunità e, come ti ho detto prima, mantenere l’equilibrio non sempre è la soluzione migliore. Però stasera sono felice”
3  2  2  7  6  5  2  2  4  5…..

“Elisabetta? Giorgio”
“Giorgio, ma sono le tre, è successo qualcosa”
“Secondo te?”
“Ti sei offeso per il mio biglietto?”
“No, anzi grazie per il numero di telefono”
“Volevo lasciarti un ricordo carino di me”
“Dopo aver lasciato il profumo della tua pelle sulla maglietta non ti puoi migliorare”
“Sai, se mi avessi dato una maglietta bianca non ti avrei mai chiesto il Pernod”
“Anch’io capisco qualcosa di armonia ed equilibrio e tu non passi inosservata”
“Beh, l’arancione è sempre un azzardo”
“Azzardo per azzardo, mi piacerebbe darti qualcosa di più di una t-shirt”
“Forse stiamo già scambiandoci qualcosa, non credi?”
“Domani il tuo profumo non ci sarà più”
“Ma rimane il colore, profumi e colori non sono poi così distanti”
“Insomma non vuoi rivedermi?”
“Certo, ma domani devo tornare al lavoro”
“So accontentarmi, il dopolavoro è più che sufficiente”
“Vado a Londra, sono chef in un ristorante a Chelsea”
“Mi sento veramente uno stupido”
“E perché? L’ho fatto per piacere, mica per tenermi in esercizio, anche le puttane riescono a fare l’amore provando piacere se sono innamorate.”
“E tu sei innamorata?”
“E tu?”
“Non so niente di te”
“Credi? Pensi che conoscere gli ingredienti migliori il gusto di un piatto? O non crei piuttosto un’idea distorta o preconcetta di quello che andrai ad assaggiare? Pensi che conoscere i colori di un impasto renda più piacevole lo sguardo su un dipinto? Non sarebbe meglio prendere atto della complessità senza scomporre quello che è indivisibile? Vuoi sapere chi sono prima di amarmi? E come potresti conoscermi senza amarmi?”
“Saresti disponibile a rivelarmi qualche ingrediente, è da tanto che non vedo Londra”
“Certo. Ti prometto che ti presterò qualcosa di mio, anche se non ho ancora deciso il colore”
“A proposito, come si chiama il ristorante?”
“Orange Dream”.

 

 

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6 commenti »

  1. Ancora uno straordinario racconto,
    La tua prosa è calda intrigante e ti abbraccia delicata.
    Mi è piaciuto moltissimo il filo fortemente sensuale che attraversa tutta la storia. Una sensualità globale concepita come provocazione sensoriale che attraversa l’attrazione fisica per una persona e per una pietanza.
    Cucina come seduzione e seduzione come attento accostamento di sensazioni fisiche e cerebrali.
    Bellissimo il viaggio di ricordi vivi e tangibili evocati dal Pernod.
    Riuscitissima questa ricetta…e poi scrivi meravigliosamente!
    Ancora una volta complimenti Marco!

  2. Grazie Gianluca, sono contento che il mio racconto ti abbia emozionato e hai veramente colto lo spirito dell’incontro tra Giorgio ed Elisabetta. Grazie ancora.

  3. Qui leggo una maggiore asimmetria rispetto ai protagonisti dell’altro racconto: lui sceglie la maglietta, ma lei sembra condurre il gioco alla grande 🙂 Risulta facile immaginarla grazie alla descrizione e alle sensazioni che suscita in Giorgio. Mi associo ai complimenti di Gianluca per l’accostamento cibo – seduzione e per lo stile di scrittura!

  4. Piacevolissimo da leggere e molto intrigante. I rapporti di forza dei protagonisti sono più o meno simili a quelli del precedente racconto, ma il gioco di seduzione che qui hai sviluppato con un equilibrio perfetto tra cucina, accostamenti cromatici e linguaggio del corpo, ne fa una narrazione estremamente sensuale ma al tempo stesso delicata.

  5. Molto bello questo racconto.

  6. Grazie a tutti!!!

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